Approfondimento Il sistema elettorale statunitense: non tutti i voti sono uguali

Di Helene Laube

31.10.2020

Donald Trump (terzo da sinistra) parla con il suo predecessore Barack Obama (a sinistra) e il suo attuale sfidante Joe Biden (secondo da sinistra) durante la sua investitura come presidente degli Stati Uniti, il 20 gennaio 2017, tra gli applausi del senatore Chuck Schumer (a destra), capogruppo democratico al Senato.
Donald Trump (terzo da sinistra) parla con il suo predecessore Barack Obama (a sinistra) e il suo attuale sfidante Joe Biden (secondo da sinistra) durante la sua investitura come presidente degli Stati Uniti, il 20 gennaio 2017, tra gli applausi del senatore Chuck Schumer (a destra), capogruppo democratico al Senato.
Paul J. Richards/AFP via Getty Images

Al Gore ha avuto il numero maggior numero di voti alle elezioni presidenziali statunitensi del 2000, esattamente come Hillary Clinton sedici anni dopo. Ma sono George W. Bush e Donald Trump ad essersi insediati alla Casa Bianca in virtù di un sistema elettorale obsoleto che maschera i risultati.

Come viene eletto il presidente degli Stati Uniti?

La peculiarità del sistema elettorale statunitense è che le elezioni presidenziali non sono nazionali ma organizzate in base agli Stati federali. Inoltre, il presidente degli Stati Uniti non è eletto direttamente dal popolo ma attraverso il collegio elettorale, un gruppo di grandi elettori. In altre parole, non è importante avere la maggioranza dei voti ma la maggioranza all’interno del collegio elettorale.

Cos’è un collegio elettorale ?

Il collegio elettorale si compone di 538 voti: 100 per i due senatori di ciascuno dei 50 Stati, 435 per i membri della Camera dei rappresentanti e tre per il distretto della Columbia (DC) che non è uno Stato (si veda sotto). Ad ogni stato vengono assegnati almeno tre elettori, indipendentemente dalla sua popolazione. Lo Stato più popoloso, la California, con circa 40 milioni di abitanti, ha 55 grandi elettori (che corrispondono a due senatori e 53 membri della Camera dei rappresentanti) mentre lo Stato meno popoloso, il Wyoming (579 000 abitanti), ha tre grandi elettori. Per vincere, un candidato alla presidenza deve ottenere la metà dei 538 voti del collegio elettorale più uno, ossia 270.

Focus sulle presidenziali statunitensi 2020

Gli statunitensi alle urne: «blue News» segue la fase cruciale del duello per la Casa Bianca, non solo dalla Svizzera ma anche attraverso dei reportage di giornalisti svizzeri residenti negli Stati Uniti. Donald Trump o Joe Biden? Il voto è previsto per il 3 novembre.

In ogni Stato, i partiti politici stilano una lista dei grandi elettori potenziali prima delle elezioni che si tengono ogni quattro anni a novembre e li designano poi attraverso varie procedure di selezione. Al momento del voto, gli elettori di ogni Stato scelgono automaticamente i loro grandi elettori presentando il loro voto. Questo gruppo di grandi elettori elegge il presidente poche settimane dopo.

Chi può diventare grande elettore?

La costituzione degli Stati Uniti non fornisce indicazioni sulle qualifiche che deve avere un grande elettore. È tuttavia vietata la nomina di un membro del Congresso, di un senatore o di alcune persone che ricoprono incarichi nel governo degli Stati Uniti.

Il principio «the winner takes it all»

Tranne il Maine e il Nebraska, tutti gli Stati applicano il principio della maggioranza. Questo significa che il candidato che raccoglie più voti in uno Stato riceve tutti i voti dei grandi elettori. Secondo questo principio chiamato «the winner takes it all», un candidato può ottenere il 49,9% dei suffragi in uno Stato e vedersi attribuire lo 0% dei voti dei grandi elettori.

In Maine e in Nebraska, dove viene applicato il «sistema dei distretti» per ottenere una ripartizione più rappresentativa degli elettori, questa differenza ha raramente effetti concreti poiché in generale tutti i distretti votano per lo stesso candidato. Dall’introduzione di questo principio (nel 1972 in Maine e nel 1996 in Nebraska) solo in due occasioni i voti dei grandi elettori sono stati suddivisi tra i candidati secondo questo sistema: nel 2008 John MCain ha ottenuto quattro dei cinque voti dei grandi elettori in Nebraska, mentre Barack Obama ne ha recuperato uno. Nel 2016 Hillary Clinton ha ottenuto tre voti dei grandi elettori in Maine e Donald Trump ne ha avuto uno.

La peculiarità del collegio elettorale, o il potere degli «swing states»

Il sistema elettorale quindi produce sempre risultati problematici sul piano democratico e gioca un ruolo importante che, a volte, falsa la volontà degli elettori. Durante le campagne elettorali questo sistema mette in evidenza gli Stati in cui la maggioranza è debole, chiamati «swing states», e provoca spesso delle maggioranze artificiali. In effetti il principio «the winner takes it all» fa sì che i voti degli elettori non abbiano importanza sul piano politico a meno che non vivano in uno Stato in cui democratici e repubblicani sono testa a testa.

In effetti i candidati fanno campagna elettorale principalmente negli «swing states». Negli Stati in cui ha già una netta maggioranza, il candidato repubblicano o democratico generalmente si accontenta di fare qualche apparizione per raccogliere donazioni.

L’identità degli «swing states» cambia da un’elezione all’altra ed è fortemente legata all’evoluzione demografica. I «battleground states» particolarmente contesi quest’anno sono l’Arizona, la Florida, la Georgia, il Michigan, il Minnesota, il Nevada, il New Hampshire, la Carolina del Nord, la Pennsylvania, il Texas et il Wisconsin.

Una maggioranza relativa è sempre sufficiente per vincere le elezioni e negli ultimi vent’anni i grandi elettori hanno addirittura eletto alla presidenza, per due volte, dei candidati che avevano perso a livello popolare: alle elezioni del 2000, il vicepresidente uscente Al Gore ha ottenuto la maggioranza popolare con un distacco di più di 540'000 voti. Tuttavia George W. Bush ha ottenuto 271 voti di grandi elettori ed è arrivato al potere.

Sedici anni dopo, Hillary Clinton ha ottenuto circa 3 milioni di voti più di Donald Trump (48,2% contro 46,1%), ma Donald Trump ha raccolto più voti dei grandi elettori (304 contro 227).

In uno Stato che, alle presidenziali, vota sempre con una solida maggioranza democratica (come la California o New York), i sostenitori dei repubblicani sono poco motivati ad andare alle urne poiché il loro voto non influenza affatto il risultato a causa del principio del collegio elettorale. Il contrario è vero per gli elettori democratici in Stati come il Wyoming, lo Utah, il Montana o l’Alabama, in cui vince sempre il candidato repubblicano.

In uno Stato che, alle presidenziali, vota sempre con una solida maggioranza democratica (come la California o New York), i sostenitori dei repubblicani sono poco motivati ad andare alle urne poiché il loro voto non influenza affatto il risultato a causa del principio del collegio elettorale. Vale la stessa cosa per gli elettori democratici in Stati come il Wyoming, lo Utah, il Montana o l’Alabama, in cui vince sempre il candidato repubblicano.

Perché questo collegio elettorale?

È così che è entrata nella costituzione la clausola detta dei «tre quinti», secondo la quale uno schiavo conta solo per tre quinti di una persona libera nei censimenti demografici e non come una «persona intera» allo stesso modo di un bianco – un compromesso che ha permesso agli Stati del Sud di mandare un numero relativamente più alto di rappresentanti al Congresso, anche se gli schiavi non avevano diritto di voto, anche con tre quinti di un voto.

Questo strumento non solo ha permesso agli Stati schiavisti di avere una rappresentanza sproporzionata al Congresso, ma ha anche aumentato il loro numero di voti all’interno del gruppo dei grandi elettori che eleggono il presidente. La Virginia e la Pennsylvania, per esempio, avevano un numero paragonabile di cittadini liberi, ma alla Virginia sono stati attribuiti tre seggi aggiuntivi alla Camera dei rappresentanti in virtù degli schiavi dello Stato e ha quindi inviato sei grandi elettori in più. Un altro compromesso ha garantito a ogni Stato l’invio di due senatori a Washington, indipendentemente dal numero di abitanti dello Stato.

Verso una modernizzazione del sistema elettorale?

Secondo i sondaggi condotti in questi ultimi anni, la maggioranza della popolazione statunitense intervistata si è sempre pronunciata in favore di un’elezione diretta del presidente. I sostenitori di questa misura sperano che in questo modo aumenti la partecipazione elettorale. Tuttavia non ci sono segnali che in tempi brevi si possa trovare un accordo per la modernizzazione del sistema elettorale.

Diversi anni fa l’organizzazione National Popular Vote ha proposto una soluzione che non richiederebbe né un emendamento costituzionale né l’intervento del Congresso: si invitano gli Stati ad adottare una legge che gli permetterebbe di attribuire la totalità dei voti dei loro grandi elettori al candidato che ha avuto la maggioranza dei voti a livello nazionale. Secondo l’organizzazione, il National Popular Vote Interstate Compact garantirebbe la presidenza al candidato che ottiene la maggioranza dei voti nei 50 Stati e nel distretto di Columbia.

Fino ad oggi, molti Stati che raggiungono in totale 187 voti di grandi elettori hanno approvato progetti di legge corrispondenti. Mancano ancora 83 voti per rovesciare il sistema dei grandi elettori. Se si arrivasse a questo punto, i repubblicani potrebbero tentare di bloccare questo processo attraverso procedimenti legali.

Per poter votare, bisogna iscriversi

A differenza di quanto avviene in Svizzera e in numerose altre democrazie, i cittadini con più di 18 anni non diventano elettori e non ricevono la scheda elettorale automaticamente. Spetta a loro stessi iscriversi per poter votare.

Ogni Stato federale è libero di organizzare la procedura d’iscrizione come preferisce. Di conseguenza alcuni gruppi della popolazione possono essere esclusi dalle elezioni a discrezione delle autorità. Anche coloro che cambiano residenza o partito devono riscriversi. Secondo i contestatori di questo sistema, tutti questi ostacoli portano a una rappresentanza falsata del popolo statunitense in occasione delle elezioni.

235 dei 330 milioni di abitanti degli Stati Uniti godono del diritto di voto. Alle elezioni presidenziali del 2016, risultavano iscritti 157,6 milioni di elettori. 100 milioni dei 235 milioni di elettori – ossia il 43% - non si è recato alle urne. 

Calendario della 59esima elezione presidenziale

Primarie: Le «primarie» e il «caucus», durante i quali i candidati si affrontano per l’investitura di ogni partito, hanno preso il via quest’anno nel New Hampshire l’11 febbraio e sono terminate in Connecticut l’11 agosto.

3 novembre 2020: le elezioni principali, organizzate ogni quattro anni, si tengono il primo martedì di novembre; quest’anno, la data cade il 3 novembre 2020. Quel giorno saranno coinvolti nelle elezioni il presidente, 35 seggi al Senato, tutta la Camera dei rappresentanti e undici governatori.

14 dicembre 2020: i membri del Collegio elettorale si riuniscono nei rispettivi Stati il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre per eleggere il presidente e il vice presidente. Quest’anno il giorno cade il 14 dicembre.

6 gennaio 2021: in questo giorno, il Congresso degli Stati Uniti procederà alla conta dei voti del collegio elettorale e verranno annunciati ufficialmente i due vincitori.

20 gennaio 2021: il mandato di Donald Trump si concluderà. Lo stesso giorno, alle dodici, il nuovo presidente eletto – Donald Trump o il suo avversario democratico Joe Biden – presterà giuramento.

Perché il voto per corrispondenza è così controverso?

Il voto per corrispondenza o anticipato è una pratica comune e di lunga data in numerosi Stati, sia repubblicani sia democratici. Per molto tempo queste procedure non sono state controverse e raramente si riscontravano irregolarità. Quest’anno, a causa della pandemia da coronavirus, molti più statunitensi voteranno per corrispondenza alle elezioni presidenziali e del Congresso. Con l’avvicinarsi della data del 3 novembre, è scoppiato un acceso conflitto in cui sono state coinvolte anche le poste statunitensi.

Ricchi finanziatori di destra e di sinistra, spesso anonimi, investono più di 100 milioni di dollari nella lotta per la semplificazione del voto per corrispondenza, alla luce dell’ipotesi secondo cui ques’ultimo potrebbe decidere la rielezione o la sconfitta di Donald Trump.

Le ricerche e i dati sulle richieste di voto per corrispondenza dimostrano che quest’anno negli Stati Uniti gli elettori democratici hanno più probabilità di votare per corrispondenza rispetto agli elettori repubblicani. In base al finanziatore, i milioni di dollari investiti servono ad ampliare o limitare il voto per corrispondenza.

I repubblicani hanno avviato numerose azioni legali per impedire l'allargamento di questa modalità di voto. Evidentemente Donald Trump e i suoi sostenitori temono per la sua rielezione, motivo per cui il presidente spesso lancia avvertimenti contro eventuali frodi alle prossime elezioni. Non ci sono prove che avvalorino le sue affermazioni e quelle di altri repubblicani secondo le quali il voto per corrispondenza consentirebbe frodi elettorali su larga scala. Gli esperti e i responsabili elettorali contestano l’idea secondo la quale i documenti elettorali inviati per posta aumentino significativamente il rischio di brogli.

Per quando ci si può aspettare un risultato?

Se Donald Trump e Joe Biden si trovano testa a testa, non ci si può in nessun modo aspettare un risultato già la notte delle elezioni a causa della moltitudine di risultati e dei ritardi di voto negli Stati. La conta dei voti per corrispondenza potrebbe richiedere più tempo, potenzialmente diverse settimane. Il conteggio dei voti aveva già preso più tempo alle primarie, in parte per il numero record di schede inviate per posta, il cui conteggio richiede molto più lavoro, ma anche a causa dei ritardi provocati dal coronavirus ai seggi elettorali.

Uno spoglio prolungato potrebbe giocare a favore di Donald Trump. Il presidente, che spesso mette in guardia contro pratiche fraudolente senza produrre prove concrete, potrebbe sfruttare un eventuale ritardo per contestare risultati a lui sfavorevoli. Dopo le interviste a numerosi rappresentanti del partito democratico, l'agenzia di stampa Reuters riferisce che i democratici si stanno preparando in particolare alle controversie sui voti postali e sul conteggio dei voti in generale nonché sui possibili tentativi di intimidazioni dei sostenitori di Trump contro gli elettori ai seggi.

Washington D.C., il 51esimo Stato

La capitale del Paese spinge da molti anni per diventare uno Stato. Nel novembre del 2016, è stato organizzato un secondo voto su questo tema. La maggioranza di elettori di Washington, D.C. si è pronunciata a favore dell’«Advisory Referendum B». Restano però numerosi ostacoli da superare prima che il distretto di Colombia prenda il nome di «State of New Columbia». Il distretto della capitale non sarebbe allora più direttamente subordinato al Congresso e disporrebbe di membri con diritto di voto alla Camera dei rappresentanti e al Senato, invece di un unico rappresentante in seno alla Camera dei rappresentanti e senza diritto di voto.

Nessuno sa ancora se la regione potrà rivendicare la 51esima stella sulla bandiera degli Stati Uniti. I repubblicani si oppongono all’indipendenza di questo distretto fermamente blu, che modificherebbe gli equilibri di potere al Senato mandandovi due senatori democratici.

Helene Laube è giornalista a San Francisco. Dal 2000 fino alla pubblicazione dell'ultimo numero del "Financial Times Deutschland" nel dicembre 2012, è stata corrispondente per il quotidiano economico della Silicon Valley. Fa parte dei membri fondatori del «FTD». In precedenza è stata redattrice per «ManagerMagazin» ad Amburgo. I suoi articoli sono stati pubblicati anche su media come il «Financial Times», «Der Spiegel», il «Los Angeles Times», «Die Zeit», «Stern», la «Neue Zürcher Zeitung», e «brand eins».

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