Al Locarno Film Festival Laurie Anderson: «Troppe armi negli Stati Uniti, temo una guerra civile»

SDA

10.8.2022 - 15:15

Laurie Anderson
Laurie Anderson
archivio EPA

Appena arrivata a Locarno, Laurie Anderson, grande artista visuale, musicista e performer alla quale quest'anno il festival attribuisce il Vision Award Ticinomoda che onora ogni anno i «creativi pionieri» è subito andata al cinema. 

«Ho visto un bellissimo film portoghese (Where Is This Street? or With No Before And After, di Joao Pedro Rodrigues e Joao Rui Guerra da Mata), senza una reale storia e con solo una canzone alla fine», racconta, solare e garbata, parlando con i giornalisti.

«È un ritratto di Lisbona, semplice e originale. È stato fantastico visualizzare quelle immagini, che pur senza esserci una trama ti lasciavano un profondo significato».

Reduce dal successo a Washington della più grande mostra-retrospettiva mai dedicata alla sua arte, allestita all'Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Anderson, che negli ultimi anni sta lavorando molto anche con la realtà virtuale, è curiosa di scoprire quale sarà nei prossimi anni il futuro del cinema: «Quando vedi un bel film alla fine ti senti fuori dal tempo e dallo spazio, ti perdi nella mente, mentre nella Vr (realtà virtuale) hai bisogno del tuo corpo per vivere l'esperienza. Sono modi così diversi di usare l'immaginario. Non so cosa succederà, anche considerando che ormai le persone girano per strada tutte così (dice mimando qualcuno con gli occhi incollati sul cellulare, ndr)».

Le crisi sociali

Venendo alle crisi sociali, «come americana, devo dire che le cose non si stanno mettendo bene. Nel mio paese, ci sono così tante armi, che non può finire bene. Siamo molto divisi, temo ci possa essere una sorta di guerra civile. E l'arte sta riflettendo questo momento: In molti raccontano con le loro creazioni un crollo di qualche tipo, arrivando a quella che io definisco una 'pornografia dell'apocalisse'».

D'altronde «una prossima pandemia potrebbe facilmente eliminare milioni di persone. Non sappiamo cosa potrà succedere». Eppure «come artista che lavora in questo mondo fragile e al collasso, io resto una completa ottimista, per una ragione molto semplice e un po' stupida. Perché ti permette di avere una vita più felice di chi è pessimista. Nessuno può provarti che il mondo andrà peggio o meglio e in questa situazione è una tua scelta cosa pensare. Io da ottimista lavoro a migliorare ciò che ho davanti, per un puro livello di felicità. È anche quello che mostro nel mio film Heart of a Dog (documentario del 2015 che è stato candidato all'Oscar, riproposto a Locarno insieme a un'altra delle sue opere, Home of the Brave, del 1986). Nel mondo ci sono così tante cose terribili e tristi e non possiamo ignorarle, vanno affrontate, ma non bisogna per questo fare nostra quella tristezza. Bisogna aprirsi a ciò che vediamo e che accade ma le cose peggiori non devono bloccarci, impedirci di agire».

Nel suo percorso artistico, l'avventura con la Vr «l'ho intrapresa anche perché l'uso che si fa di questa tecnologia nei videogiochi era soprattutto violento. Volevo realizzare qualcosa che permettesse di guardare, di volare. Mi sono accorta che il pubblico migliore per le mie opere in Vr sono proprio i bambini, molto abili nell'usare il proprio corpo velocemente. Ed è bello creare qualcosa per loro che non parli di uccidere».

Gli Stati Uniti «sono il paese più violento del mondo»

Gli Stati Uniti «sono il paese più violento del mondo – osserva – e vediamo grande violenza anche da parte della Russia. Essere artisti in un momento come questo ti fa chiedere se l'arte possa servire a rendere il mondo migliore. Credo che la risposta sia sì, perché ha la capacità di creare empatia. Pensiamo anche a Bob Dylan, che con le sue canzoni ha raccontato i perdenti, rendendoli protagonisti, ricordandoci che non c'è niente di male ad esserlo, lo siamo tutti in qualche momento della nostra vita. Succede a tutti di perdere qualcuno o qualcosa», sottolinea l'artista, vedova di Lou Reed.

«Viviamo in un sistema nel quale ci dicono che più hai più stai meglio, ma riconoscere il senso di perdita è un'esperienza molto profonda e ti avvicina agli altri».

Ma come si riconosce una grande opera d'arte? «È difficile dirlo, a volte tu ne riconosci una che infrange tutte le regole in cui hai sempre creduto. I miei maestri mi consigliavano di 'fare del mio peggio', senza pensare alle regole, perché è qualcosa che può insegnarti ad essere più libero».

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