Un film ticinese in Piazza Caterina Mona: «Il cinema è una cosa magica»

sifo, ats

11.8.2022 - 07:01

La regista Caterina Mona, a sinistra, e la produttrice Michela Pini, a destra. Un team ticinese per il film "Semret", che festeggia questa sera in Piazza Grande la sua prima mondiale.
La regista Caterina Mona, a sinistra, e la produttrice Michela Pini, a destra. Un team ticinese per il film "Semret", che festeggia questa sera in Piazza Grande la sua prima mondiale.
Keystone

Il film «Semret» della regista ticinese Caterina Mona, ha festeggiato la sua prima mondiale ieri sera in Piazza Grande. Semret, una madre single eritrea, deve superare i sensi di colpa e affrontare il trauma del suo passato. Keystone-ATS a colloquio con la regista.

11.8.2022 - 07:01

«Semret» è il primo lungometraggio della ticinese Caterina Mona, nata e cresciuta a pochi passi da Zurigo ma originaria di Ambrì. Il film narra la storia di una madre single eritrea, Semret (Lula Mebrahtu), che lavora nel reparto maternità di un ospedale di Zurigo, a stretto contatto con mamme e neonati.

Sua figlia 14enne Joe (Hermela Tekleab) vorrebbe saperne di più sulle sue origini e sul padre, un tema tabù che la madre vuole evitare a tutti i costi, isolandosi, a causa del profondo trauma che si cela dietro la verità.

L'immersione nella comunità eritrea

Per scrivere questo film la regista ha dovuto fare varie ricerche ed immergersi nella comunità eritrea di Zurigo, imparando a conoscere la loro storia.

«Ad un certo momento della mia vita ho iniziato a pormi la domanda di come una mamma vive il fatto di avere un bambino nato da uno stupro», spiega Caterina Mona in un'intervista a Keystone-ATS.

La regista si è quindi chiesta quale potesse essere il rapporto con un bambino nato da un'esperienza traumatica come questa e se fosse possibile amarlo. Dall'altro canto, «sono andata a vivere a Zurigo in una cooperativa dove c'erano due famiglie eritree e i bambini di queste famiglie andavano a scuola con i miei figli», spiega Mona.

«Volevo mostrare un altro lato delle persone»

«In quel momento, alla fine del 2015 credo, in Svizzera interna c'è stata una grande campagna contro i rifugiati eritrei. Mi sono detta che bisognava cercare di mostrare anche l'altro lato di queste persone, che cercano di integrarsi, di trovare un lavoro», dice Mona.

In Eritrea è in vigore una dittatura, «spesso le persone fuggono quando sono molto giovani», prosegue. «Non è ovvio per loro venire in un altro Paese e imparare una nuova lingua», aggiunge.

La regista ha poi fatto altre ricerche trovando su un giornale un articolo su una donna eritrea «con una storia molto simile a quella che volevo raccontare», dice.

L'ha poi incontrata e le ha fatto leggere la sceneggiatura perché confermasse la correttezza delle informazioni. «Ho in parte inventato la storia ma è molto basata sulla realtà e ritrae diverse donne», spiega Mona.

Un trauma profondo

«Non penso si possa dire che sia un trauma collettivo della comunità eritrea», dice Mona. «Spesso sono gli uomini a fare il tragitto per primi», spiega, «poi una volta stabilitisi in Svizzera o in un altro Paese le famiglie fuggono dall'Eritrea per raggiungerli».

«Semret ha subito un trauma profondo che cerca di nascondere anche a sé stessa», spiega la regista. Questo trauma però la perseguita di notte negli incubi che fa. In questi momenti si sdraia vicino alla figlia cercando conforto e «ha questa canzone che funge da ninna nanna e che le da un po' di pace», prosegue.

Tramite le domande insistenti della figlia e il legame con Yemane (Tedros Teclebrhan), rifugiato eritreo che lavora anch'egli in ospedale, Semret viene confrontata a guardare negli occhi il suo passato traumatico e iniziare un cammino verso la guarigione, spiega ancora la regista.

Joe, quando parla con la madre, passa dal tigrino allo svizzero-tedesco senza alcun problema. Una pratica diffusa in tutti i bambini di persone immigrate, afferma la regista. «Mi sembrava una cosa molto tipica e bella da includere nel film», indica.

Una produzione molto ticinese

Che effetto le fa avere la prima mondiale del suo primo film in Piazza Grande? «Ovviamente è un po' come una partita in casa, anche perché ho lavorato sette anni per il festival e conosco tutto e anche tanta gente che ci lavora o lavorava. Venivo sempre al festival a vedere i film, anche in Piazza. Il cinema è una cosa magica. È un grande onore essere qui.»

Mona, classe 1973, è nata e cresciuta «a 20 minuti da Zurigo, città dove vive da molto tempo. Ma da bambini passavamo le vacanze ad Ambrì. Io sono di Ambrì non di Zurigo», dice ridendo, «Con i miei bambini parlo italiano».

Un omaggio a mamma Tiziana, giornalista conosciuta

Il film è prodotto da Cinédokké in coproduzione con la RSI e con Cineworx Filmproduktion di Basilea. La produttrice Michela Pini è anch'essa ticinese.

Nei titoli di coda, un toccante messaggio dedicato alla madre Tiziana, scomparsa lo scorso aprile, dove la ringrazia per averle dato la vita e per averle trasmesso la passione per il cinema.

La giornalista Tiziana Mona era infatti «una grande cinefila, una grande amante di Locarno, e ha fatto tanto per il cinema svizzero», ha affermato la regista. «Una frase che ha anche a che fare con il film», aggiunge.

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