Medio Oriente Si punta a colloqui di Ferragosto, Hamas vuole Barghouti

SDA

9.8.2024 - 21:50

«Non ci sono più scuse, né tempo da perdere». A dieci mesi dall'inizio della guerra scoppiata con il massacro del 7 ottobre e dopo quasi 40.000 morti nella Striscia di Gaza, gli Stati Uniti, con i mediatori Egitto e Qatar, aumentano la pressione su Israele e Hamas affinché raggiungano un accordo per la tregua e il rilascio degli ostaggi israeliani ancora nelle mani della fazione islamica.

a scia di razzi sparati da Gaza verso Israele, vista dal sud della Striscia di Gaza, 05 agosto 2024 (immagine illustrativa).
a scia di razzi sparati da Gaza verso Israele, vista dal sud della Striscia di Gaza, 05 agosto 2024 (immagine illustrativa).
KEYSTONE/EPA/HAITHAM IMAD

Un pressing cui si unisce tutto l'Occidente e che intende smorzare anche la minaccia di una rappresaglia dell'Iran all'uccisione di Ismail Haniyeh sul suo territorio: rappresaglia che rischia di far esplodere l'intera regione in una guerra che, a quanto pare, anche a Teheran vorrebbero scongiurare.

Forte del punto a favore segnato con la morte del capo dell'ufficio politico di Hamas, Israele ha accettato di inviare suoi negoziatori ai colloqui indiretti fissati per il 15 agosto nel luogo che sarà indicato, al Cairo o a Doha, per concordare i dettagli del quadro di un cessate il fuoco formulato da Usa, Egitto e Qatar, ha fatto sapere l'ufficio del premier Benyamin Netanyahu.

Al quale ha fatto eco il ministro della Difesa Yoav Gallant che al telefono con il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha convenuto sull' «urgenza» di trovare un'intesa: «E' importante raggiungere rapidamente un accordo che garantisca la restituzione degli ostaggi».

Dettagli non ancora chiari

I dettagli non sono ancora chiari e saranno l'oggetto della riunione di Ferragosto: la base negoziale sarebbe ancora quella illustrata dal presidente Joe Biden a fine maggio per una tregua di 6 settimane e lo scambio di prigionieri, con la possibilità di presentare «una proposta ponte che soddisfi le aspettative di tutte le parti».

Ma, dopo la morte di Hanyeh e la nomina come successore di Yahya Sinwar – che aveva fatto temere per uno stop alle trattative -, Hamas avrebbe inserito nelle sue richieste un altro tassello: il rilascio nella prima fase di Marwan Barghouti e di altri capi delle fazioni palestinesi condannati all'ergastolo per terrorismo.

Secondo una fonte a Sky News Arabia, Hamas è consapevole di non poter più governare a Gaza dopo la fine della guerra, ma vede nel popolare esponente di Fatah un utile alleato di cui fidarsi per gestire la Striscia. Secondo la stessa fonte «la richiesta è stata accettata dagli Usa e dai mediatori Egitto e Qatar».

L'UE preme per un accordo

Anche l'Unione europea e le principali capitali europee premono per un accordo «per porre fine all'insopportabile ciclo di sofferenza».

E in un'inusuale dichiarazione anche il ministro degli Esteri libanese, Abdullah Bou-Habib, si è unito al coro di chi sostiene che «sia il momento di agire» senza «ulteriori ritardi»: «I palestinesi a Gaza, i sequestrati e le loro famiglie stanno soffrendo molto, bisogna aiutarli».

Il governo di Beirut, stretto tra l'ira di Hezbollah e il timore di una guerra su vasta scala con Israele che il Paese – già allo stremo – non sarebbe in grado di sopportare, cerca a sua volta di trattenere le milizie filo iraniane dal vendicare l'uccisione del suo comandante Fuad Shukr e, su mandato di Teheran, quella di Hanyieh.

Tregua meglio della vendetta?

Premere per una tregua, preoccupandosi della sorte dei civili palestinesi più che della vendetta, potrebbe infatti essere una via di uscita diplomatica accettabile anche per il regime degli ayatollah.

Sebbene l'agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana Tasnim agiti lo spettro di «nuovi missili da crociera con testate altamente esplosive non rilevabili» in dotazione alla Marina dei Guardiani della rivoluzione, secondo altre fonti, l'Iran starebbe tuttavia riconsiderando la portata e la forma della rappresaglia contro Israele a favore di azioni più mirate, anche per l'assenza di un sostegno esplicito da parte degli Stati musulmani a una sua risposta militare.

Gli Stati Uniti tuttavia restano «in massima allerta» pur ritenendo che un'eventuale operazione iraniana contro Israele «non sarà più ampia» di quella del 13 aprile, hanno detto due funzionari Usa al Wall Street Journal. Nella regione sono arrivati gli F-22 Raptor americani che «rappresentano uno dei tanti sforzi per scoraggiare l'aggressione, difendere Israele e proteggere le forze statunitensi nell'area», ha confermato Austin su X.

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