Guerra in Medio Oriente La tela di Blinken, che incontra i rappresentanti dei Paesi arabi a Londra

SDA

25.10.2024 - 19:16

Il Segretario di Stato americano Antony Blinken
Il Segretario di Stato americano Antony Blinken
Keystone

Il sussurro della diplomazia nelle stanze ovattate dei palazzi del potere, il boato delle esplosioni e l'urlo di morte di masse di disperati sui fronti di guerra.

Si consuma sullo sfondo della convergenza finora impossibile di queste due linee parallele il destino del Medio Oriente in fiamme, segnato oggi da altre immagini di sangue e dagli spettri di un'escalation che non sembra conoscere requie, a dispetto della girandola d'incontri dell'ennesima missione del segretario di Stato americano Antony Blinken fra gli interlocutori della regione.

Missione intessuta di parole, appelli e moniti che per il momento restano sulla carta: come espressioni di buona volontà impotente, nella migliore delle ipotesi; di affettata ipocrisia diplomatica nelle interpretazioni più maliziose.

Una via verso la tregua

Reduce dalle tappe delle scorse ore in Israele, in Arabia Saudita e in Qatar, Blinken si è fermato a Londra per incontrare altri rappresentati di Paesi arabi di passaggio nel Regno, più che gli alleati britannici: dal premier libanese ad interim Najib Mikati, al ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, a quello degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed.

Nel mirino la ricerca di una via verso la tregua, se non la pace, sia in Libano (terra di scontro fra le forze israeliane e le milizie sciite filo iraniane di Hezbollah), sia nella Striscia di Gaza palestinese, martoriata da oltre un anno di attacchi militari della rappresaglia senza fine voluta dal governo di Benyamin Netanyahu in riposta alla feroce incursione di Hamas del 7 ottobre 2023.

Si allunga l'ombra di un conflitto ancora più vasto

Operazioni di cui non s'intravvede un punto di caduta, oltre le sequenze di botta e risposta, nemmeno dopo le uccisioni di Hassan Nasrallah o di Yahya Sinwar. E dietro le quali s'allunga semmai l'ombra di un conflitto ancor più vasto Israele-Iran.

Il capo del dipartimento di Stato affida ora all'ennesimo tentativo di rilancio della mediazione del Qatar, in agenda a partire da domenica, le carte di una qualche prospettiva di cessate il fuoco nella Striscia, o in quel che ne resta.

Ma non va oltre il limite degli avvertimenti verbali nei confronti dell'alleato israeliano e della linea dura di Netanyahu, mentre si avvicina la scadenza – cruciale quanto incerta – della sfida fra Kamala Harris e Donald Trump per le elezioni presidenziali d'oltre oceano.

E mentre i sopravvissuti di Hamas tornano a far sapere dal canto loro di non aver alcuna intenzione di accettare un accordo parziale, senza ritiro «degli invasori», che nelle indicazioni israeliane potrebbe prevedere una tregua temporanea in cambio del rilascio di un primo contingente di 5 ostaggi superstiti.

Per il Libano urge una «soluzione diplomatica»

Quanto al Libano, Blinken evoca la meta di una «soluzione diplomatica» come «davvero urgente». Ma, di nuovo, e nonostante la potenziale leva di un sostegno vitale per Israele come quello garantito dagli Usa, non riesce a dare uno stop agli scontri.

E si ritrova costretto ad incontrare Mikati mentre il Paese dei cedri denuncia altre morti, incluse quelle di tre giornalisti, e accusa apertamente gli israeliani, all'unisono con l'Onu, di «atroci crimini» contro l'umanità.

O ancora mentre rimbalza la notizia di nuove sparatorie di tank con la Stella di Davide contro postazioni (anche italiane) dei Caschi Blu dell'Unifil, la cui sicurezza il segretario di Stato s'affanna a richiamare come «essenziale».

«Catastrofe umanitaria»

«Siamo impegnati in una corsa contro il tempo» per evitare «una conflagrazione generalizzata dalle conseguenze incalcolabili», ammonisce da parte sua l'alto rappresentante Ue per la Politica estera, Josep Borrell.

In Libano come a Gaza, dove nel nord della Striscia lo scenario descritto pressoché da tutta la comunità internazionale è già quello di una «catastrofe umanitaria» in piena regola, dinanzi alla quale il capo della diplomazia giordana Safadi non esita a parlare in faccia a Blinken di «pulizia etnica»: sollecitando in sostanza Washington a fare qualcosa di più concreto per indurre Israele «a fermarsi».

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