Bötschi domanda Philipp Plein: «Durante l'isolamento, ho vissuto dai miei genitori»

Di Bruno Bötschi, Lugano

16.7.2020

Philipp Plein: «Gli stilisti cambiano azienda come i calciatori durante il mercato. Uno stilista entra in gioco, lavora tre o quattro stagioni. Se le cifre sono positive, il contratto è prolungato, altrimenti, si trasferisce altrove».
Philipp Plein: «Gli stilisti cambiano azienda come i calciatori durante il mercato. Uno stilista entra in gioco, lavora tre o quattro stagioni. Se le cifre sono positive, il contratto è prolungato, altrimenti, si trasferisce altrove».
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È considerato come il re della moda “bling-bling”. Philipp Plein si pone domande su Dio e sulla pandemia di coronavirus, confida cosa pensa di Heidi Klum e di Anna Wintour. E racconta perché ha dormito in un postribolo.

Siamo nell’ufficio dello stilista Philipp Plein a Lugano: ci sono dei divani di vetro, metallo e pelle, tappeti a pelo lungo, uno schermo, un suo grande ritratto. Quando arriva, si staglia in tutta la sua presenza, per intero. Alto e dalle spalle piuttosto larghe, Philipp Plein è raggiante: “Buongiorno! Che bello trovarla qui. Sta bene?».

Se non fosse una persona conosciuta e se non avessimo già letto molto sul suo conto, potremmo dirci che abbiamo di fronte un uomo prestante. I capelli neri corti, Philipp Plein indossa pantaloni da jogging bianchi e una t-shirt nera che copre un torace muscoloso. Porta un orologio scintillante al polso e mostra un grande sorriso. Ci ha invitati nel suo ufficio perché vuole parlarci delle sue ultime creazioni: due profumi.

Il Philipp Plein International Group ha sede in un immobile di uffici non lontano dal lago di Lugano. Contrariamente agli articoli alla moda che vi sono venduti, l’edificio appare piuttosto discreto: quattro piani, cemento in vista e vetri.

Signor Plein, faremo un gioco di domande e risposte oggi: le porrò quanti più quesiti possibili nel corso dei prossimi 30 minuti e la invito a rispondere il più rapidamente e il più spontaneamente possibile. Se una domanda non le piace, dica semplicemente: «La prossima».

Nessun problema.

Thierry Mugler o Jean-Paul Gaultier?

Sono un grande fan di Thierry Mugler. Quando penso alla moda di Mugler, penso all’architettura. E mi piace.

Claudia Schiffer o Heidi Klum?

Sono molto amico di Heidi Klum, ma preferisco Claudia Schiffer.

E perché?

Heidi Klum è fantastica. Ma quando guardo la carriera di Claudia Schiffer, la trovo più impressionante. Tuttavia, occorre dire che Heidi e Claudia hanno avuto delle carriere totalmente differenti. Non è possibile paragonarle. Claudia era una top model, Heidi no. Ma sul piano commerciale, Heidi Klum si è venduta benissimo e ha ottenuto molto più di tante altre.

A letto: pigiama, maglietta o nulla?

Nulla.

Ha già inventato qualcosa a letto?

Ho già vissuto e scoperto molte cose a letto, ma non so se sono stato il primo. [Ride fragorosamente]

A proposito di Bruno Bötschi
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Il redattore di «Bluewin» Bruno Bötschi intervista regolarmente personalità famose con il gioco domanda-risposta «Bötschi fragt». Bötschi vanta notevole esperienza nelle interviste. Per la rivista «Schweizer Familie», ha seguito per molti anni la serie «Traumfänger». A tal proposito, ha posto a oltre 200 persone la domanda: Da bambini si hanno tanti sogni – se ne ricorda? Il libro della serie «Traumfänger» è uscito presso la casa editrice Applaus Verlag, Zurigo. È disponibile in libreria.

Caffè, doccia fredda o altri consigli per svegliarsi rapidamente al mattino?

Doccia fredda.

È sempre piacevole guardarsi allo specchio?

Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più bello del reame?

Quanto tempo le serve la mattina in bagno?

Da quando ho i capelli corti, sette o otto minuti al massimo, doccia compresa.

Lo stilista Tom Ford dice di non utilizzare deodoranti ma profumo. E di fare tre bagni al giorno per rilassarsi. Qual è la sua mania in materia di bellezza?

Mi piace fare il bagno, ma non ho tempo di farne tre al giorno. Molte persone potrebbero pensare che io sia un massimalista. Ma quando si tratta di cura del corpo e bellezza, sono totalmente minimalista. I prodotti cosmetici non mi dicono granché.

Perché?

A 16 anni, avevo l’acne sul viso. Ne ho sofferto a lungo, finché un giorno non ho più voluto utilizzare creme. Ho sviluppato una fobia. Da quel momento, detesto che mi si tocchi il volto e che mi si applichino prodotti sulla pelle.

La scuola le ha insegnato qualcosa di veramente utile?

A scuola si impara a scrivere e a contare, ma si imparano troppe poche cose sulla vita.

Lei era in un collegio.

Un collegio assomiglia molto ad un luogo protetto. Vivevo in un mondo ideale. È stato molto piacevole, ma le regole che si applicavano in collegio non sono di certo utilizzabili all’esterno. In seguito, hanno posto problemi a numerosi compagni di scuola: in collegio erano tra i migliori scolari ed erano molto popolari. Ma poi, da adulti, non erano buoni a nulla.

Philipp Plein: «A 16 anni, avevo l’acne sul viso. Ne ho sofferto a lungo, finché un giorno non ho più voluto utilizzare creme.»
Philipp Plein: «A 16 anni, avevo l’acne sul viso. Ne ho sofferto a lungo, finché un giorno non ho più voluto utilizzare creme.»
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Il «New York Times» l’ha soprannominata «King of Bling», mentre per il «FAZ» lei è il «Versace tedesco»: come si descriverebbe in due o tre parole al massimo?

Il sacerdote delle paillettes.

Seriamente?

Scherzavo. Sono un massimalista e un sognatore. Ma c’è una cosa molto importante: sono un sognatore che cresce nei suoi sogni finché non li realizza.

Un acchiappasogni quindi.

Esattamente. Sono convinto che il nostro successo vi sia fortemente legato, lo vivo con il mio marchio. I clienti lo apprezzano dandogli il giusto valore. Al giorno d’oggi, molti marchi di moda non sono più autentici. Ciò è dovuto al fatto che numerose case non sono più gestite come lo erano una volta.

Cosa intende con questo?

Un tempo, la creazione era l’anima della moda. Oggi non ci sono praticamente più marchi nei quali il fondatore è ancora al comando. Oggi la maggior parte dei marchi è gestita come un qualsiasi altro settore commerciale. Lo si può constatare osservando la velocità con la quale gli stilisti cambiano azienda. Vanno e vengono come i calciatori durante il mercato. Uno stilista entra in gioco, lavora tre o quattro stagioni. Se le cifre sono positive, il contratto è prolungato, altrimenti, si trasferisce altrove. Per me, è una sorta di prostituzione, di prostituzione creativa.

Perché?

Si compra una persona, si rapisce la sua creatività e a un certo punto, quando il limone è spremuto, se ne ingaggia un’altra.

Oggi ci stiamo incontrando perché lei ha lanciato il profumo per uomini No Limit$. Qual era il suo profumo preferito quando aveva 20 anni?

Acqua di Giò di Giorgio Armani. Era il profumo di mia madre. E sa una cosa? È Alberto Morillas che ha creato Acqua di Giò…

… colui che ha concepito il suo nuovo profumo, No Limit$?

Una meravigliosa coincidenza, no?

Assolutamente. Qual era il suo profumo preferito a 30 anni?

Gucci Nobile. Si tratta di un profumo che non esiste più, purtroppo. Ero un cliente molto fedele e perciò fui triste quando la produzione venne bloccata. Mi piaceva molto anche Joop di Wolfgang Joop e Cool Water di Davidoff.

Qual era il suo profumo preferito prima di lanciare lo scorso anno The Skull, la sua prima fragranza?

Alcuni anni fa, mia sorella mi ha regalato un set di profumi Tom Ford per Natale. Non credo che sia disponibile in commercio. Li mescolavo spesso tra di loro. E la cosa piaceva al mio entourage.

Il simbolo della sua azienda è un teschio. Da dove viene l’idea?

È una storia lunga ma banale. Davvero vuole sentirla?

Con piacere, se riesce a raccontare questa lunga storia in poche parole.

Ho fatto i primi passi da imprenditore nel settore dei mobili. Quando ho esposto al salone Maison&Objet a Parigi, il rappresentante di Swarovski è venuto ad incontrarmi. Voleva vendermi i suoi cristalli Home Elements, ma non ne volevo sapere. In seguito, è venuto a trovarmi a Monaco. Un tipico commerciale che passa all’improvviso. All’inizio, ancora una volta, non ero interessato, ma dopo ho deciso di provarci e di lanciare una collezione di cuscini con pietre Swarovski. Nessuno faceva cuscini decorativi di questo tipo all’epoca. Il cuscino che risultò il più venduto fu quello sul quale era cucito un teschio di Swarovski.

Philipp Plein: «Fa parte della vita: sbattere ogni tanto la testa, cadere, ma anche sgomitare. Se non si sbatte mai la testa, non si capisce cosa è buono e cosa non lo è.»
Philipp Plein: «Fa parte della vita: sbattere ogni tanto la testa, cadere, ma anche sgomitare. Se non si sbatte mai la testa, non si capisce cosa è buono e cosa non lo è.»
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Che è successo poi?

In seguito, ho concepito un appendiabiti minimalista interamente in acciaio inossidabile. Mia sorella, che aveva dieci o undici anni, amava indossare vestiti militari all’epoca. A un certo momento, ho avuto l’idea di appendere dei vestiti di quel genere sull’appendiabiti durante un salone affinché non fosse vuoto. Per farli risaltare, ho cucito sopra dei teschi di Swarovski sulla schiena. Secondo la teoria del «tutto ciò che brilla attira».

E la gente si è avvicinata?

Senza mentire, quasi tutti i visitatori mi hanno posto domande sulle giacche. Giovani o anziani, donne o uomini, etero o gay. Tutti hanno trovato le giacche fantastiche. Ma non avevo alcuna intenzione di venderle. Ho cominciato a farlo al secondo giorno.

Pare che lei abbia venduto quelle giacche a 700 euro.

È vero.

Si dice che fu in quel momento che capì che avrebbe potuto guadagnare molti più soldi con i vestiti che con i mobili.

Da quel momento in poi tutto è andato molto veloce. Con la giacca ornata con un teschio ho guadagnato due milioni di euro in un anno, ovvero molto denaro per un giovane imprenditore. Al contempo, il teschio era diventato il marchio di fabbrica della mia impresa.

Sbattere la testa ogni tanto è una cosa utile per tutti?

Fa parte della vita: sbattere ogni tanto la testa, cadere, ma anche sgomitare. Se non si sbatte mai la testa, non si capisce cosa è buono e cosa non lo è.

Quando è l’ultima volta che si è fatto fare una «lavata di capo»?

Mi capita spesso. Significa anche che si testano i propri limiti. I propri, ma anche quelli degli altri. Così facendo, si creano automaticamente degli shock. Se si resta seduti senza fare nulla, non si corre il rischio. Ma non è mai stato il mio modo di fare.

Cos’ha contro il «non fare nulla»?

Niente. Nel corso delle ultime settimane, forzatamente, sono stato spesso seduto ad aspettare.

A causa della pandemia di coronavirus.

Esattamente. Questi ultimi mesi mi hanno insegnato a vedere il mondo in modo diverso. Quando si fa la stessa cosa per anni e si lavora sempre con le stesse persone, si finisce inevitabilmente per avere i paraocchi. Non ci si rende più conto di cosa succede a destra e a sinistra. Può sembrare banale in questo momento, ma negli ultimi tempi ho riflettuto molto sul senso della vita.

Potrebbe essere un po’ più concreto?

Quando sono arrivato a Manhattan, a New York, ero al centro di tutto, ma allo stesso tempo mi sentivo in qualche modo perso in quei canyon urbani. In seguito, ho sorvolato Manhattan in elicottero e ho visto i palazzi e le strade dall’alto. È in quel momento che mi sono reso conto che si ha una vista molto migliore dall’esterno.

La pandemia di coronavirus ha cambiato il suo modo di vedere la vita?

Sì. Mi sono reso conto che avevo spesso passato gli anni precedenti in una sorta di ruota per criceti. Mi alzavo al mattino e correvo. Non avevo molto tempo per occuparmi di altro al di là della mia azienda.

Lei vive da più di 15 anni nel Ticino, dove si trova anche la sede della sua impresa. Dove ha passato l'isolamento?

Non ho familiari in Ticino, per cui ho passato molto tempo in Germania. Con la mia compagna, mia sorella e suo marito, sono rimasto a lungo a casa dei nostri genitori. Questi ultimi si sono trasferiti in campagna otto anni fa. E sa una cosa? Non sono mai stato da loro tutto questo tempo. Venivano spesso a casa mia, ma non ero mai andato a trovarli.

Che penserebbe il Philipp Plein di 15 anni del Philipp Plein di oggi, a 42 anni?

Penso di aver fatto tutto ciò che immaginavo a 15 anni. Quando ero adolescente, avevo molti sogni. Ho raggiunto molti di questi obiettivi nel corso degli ultimi anni. Una persona che non ha sogni non ha la motivazione per alzarsi la mattina e arrivare alla fine della giornata. I sogni sono un elisir di vita importante. E come tutto nella vita, i sogni hanno ovviamente il loro lato oscuro.

Philipp Plein (qui con la sua amica Lucia Bartoli e Patrizio Stella, CEO dei Profumi Philipp Plein): «Non ho familiari in Ticino, per cui ho passato molto tempo in Germania. Con la mia compagna, mia sorella e suo marito, sono rimasto a lungo a casa dei nostri genitori».
Philipp Plein (qui con la sua amica Lucia Bartoli e Patrizio Stella, CEO dei Profumi Philipp Plein): «Non ho familiari in Ticino, per cui ho passato molto tempo in Germania. Con la mia compagna, mia sorella e suo marito, sono rimasto a lungo a casa dei nostri genitori».
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Cosa intende con questo?

Quando un uomo sogna di scalare il monte Everest, prepara meticolosamente la sua spedizione per anni, fino al giorno in cui si ritrova in cima. Poco tempo dopo, si renderà conto di aver distrutto il suo sogno. I sogni che si realizzano non sono più sogni. Spesso, in situazioni simili, si scopre anche che il sogno era molto più bello della realtà. Nell’immaginario, tutto è sempre molto più bello, molto più folle, molto più affascinante. In altri termini: l’importante non è la destinazione, è il viaggio.

È lo stesso per i suoi profumi?

Devo essere onesto, e non sono chiacchiere né stupidaggini: per i miei due profumi, il risultato è migliore di quanto avessi potuto immaginare. Li adoro, benché non sia uno specialista. Avevo una squadra formidabile attorno a me che mi ha aiutato a realizzare questo sogno. In primo luogo, vorrei citare l’esperto Alberto Morillas. Non lo conoscevo prima, non sapevo fosse stato il creatore di Acqua di Giò, il mio vecchio profumo preferito. Non sapevo che avesse lanciato CK One, il primo profumo unisex. Suppongo che lei conosca CK One, no?

Sì.

Lo trovo veramente straordinario e sono fiero di ciò che Alberto Morillas ha fatto con il profumo The Skull e del modo in cui lo ha interpretato. È esattamente così che immagino il marchio Philipp Plein: elegante e senza tempo. E qualunque sia l’angolo dal quale si osserva il flacone, lo scheletro tridimensionale resta visibile. Come ho detto, sono un grande fan dell’architettura.

Secondo il comunicato stampa, No Limit$, il suo primo profumo, invita a «celebrare la vita eccessiva, edonista, senza limiti e palpitante». Non trova sia un po’ inappropriato, visto che attualmente è impossibile celebrare la vita senza limiti a causa della pandemia?

Da questo punto di vista ha ragione, chiaro. Ma come ho detto, sono intimamente convinto che la pandemia sia l’occasione per riflettere sulla nostra vita. Purtroppo, però, negli ultimi giorni ho constatato che molte persone dimenticano fino a che punto la situazione sia ancora grave.

Pensa che la società neghi troppo gli effetti della pandemia?

È angosciante vedere a che punto alcuni siano negligenti. Il virus è ancora qui. La sola cosa che è cambiata, è che possiamo tornare al lavoro. Perché i nostri governi ritengono che i danni sarebbero ancora peggiori se rimanessimo a casa. In queste ultime settimane e questi ultimi mesi abbiamo vissuto cose che avevamo visto solo nei film di Hollywood. L’idea che esse potessero un giorno trasformarsi in realtà non era concepibile. Ora, l’incredibile è accaduto e penso che l’umanità sia un po’ più rispettosa su questo.

Cosa fa concretamente per lottare contro il virus?

Quando faccio la spesa al supermercato e c’è molta gente indosso una mascherina. Cerco anche di proteggere, per quanto possibile, i miei dipendenti dal virus. Abbiamo introdotto misure specifiche: in particolare, la metà del personale è ancora in telelavoro. Detto ciò, non ero un fan del lockdown. Penso che con un po’ più di tatto avremmo potuto gestire meglio la situazione. Al contrario, non comprendo perché tutto sia stato improvvisamente riaperto. Ho l’impressione che si sia passati da un estremo all’altro.

Philipp Plein a proposito di Alberto Morillas (a destra): «Sono fiero di ciò che Alberto Morillas ha fatto con il profumo The Skull e del modo in cui lo ha interpretato.»
Philipp Plein a proposito di Alberto Morillas (a destra): «Sono fiero di ciò che Alberto Morillas ha fatto con il profumo The Skull e del modo in cui lo ha interpretato.»
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Cambiamo argomento: in quanto giovane stilista ha mai sognato di diventare come Karl Lagerfeld?

Karl Lagerfeld è uno dei miei rari modelli. Mi affascina vedere come si sia imposto nell’industria della moda e come sia diventato poi un marchio internazionale. Ci sono pochissime persone che ci sono riuscite senza il loro marchio personale. Ho trovato tutto questo lodevole. Detto ciò, a titolo personale, ho scelto un approccio diverso. Di base, non volevo per nulla diventare uno stilista.

Cosa desiderava diventare quando era giovane?

Volevo diventare un uomo d’affari e avere successo come imprenditore. Ma ciò che volevo fare esattamente, in quale settore, all’epoca non lo sapevo.

Qual è stato il suo secondo abito dopo la giacca militare con i teschi di Swarovski?

Una borsa di pelle [ride]. Sa, vivo secondo il principio dell’apprendimento attraverso la pratica. È una delle ragioni per le quali sono sempre considerato come un outsider nell’industria della moda. Non ho seguito il percorso classico. Nell’industria della moda, tutti si conoscono: i designer si conoscono, le modelle e i giornalisti si conoscono. Io, al contrario, vi ho fatto irruzione per caso senza essere invitato. Ma non ho nemmeno supplicato di esserlo. Conosco questa situazione fin dalla mia infanzia. Con i miei genitori, ho traslocato almeno sei volte e perciò ero sempre «quello nuovo» a scuola.

Questo l’ha resa immune alle critiche?

Oh, faccio semplicemente le cose a modo mio e non pretendo in alcun modo di appartenere ad un gruppo. È possibile che ciò comporti conseguenze negative. Ma non voglio essere per forza in accordo con gli altri, come fa la maggior parte delle persone nell’industria della moda. Ho spesso detto e fatto cose che non piacciono a tutti.

Cosa le dà il successo nella moda?

Il successo non mi ha cambiato. Devo dire che vengo da una famiglia benestante. Mio padre era medico. Eppure, i miei genitori non mi hanno sostenuto all’inizio della mia carriera professionale.

Per quale ragione?

Avrebbero preferito che terminassi i miei studi prima di pensare a guadagnare denaro. Oggi capisco le loro obiezioni. Ma avevo altri obiettivi all’epoca. Per cui ho abbandonato lo studio del diritto e ho cominciato a progettare mobili e cucce per cani e a venderli nei saloni. I miei genitori non apprezzavano, ma mi hanno lasciato fare. Suppongo che pensassero che avrei riflettuto dopo i miei primi fallimenti e che sarei tornato a bussare a casa.

E lo ha fatto?

Anche se non sono riuscito ad ottenere successo sin dall’inizio, ero troppo orgoglioso per tornare a bussare ai miei genitori. Invece, mi sono battuto e ho chiesto in prestito del denaro alla mia ragazza dell’epoca. Mi ricordo ancora di una volta in cui fummo costretti a dormire parecchi giorni in un postribolo nel corso del salone del mobile di Milano. Non avevo abbastanza denaro per pagare una camera d’albergo normale. Ogni mattina dovevamo fare i bagagli perché le camere venivano affittate ad ore durante la giornata.

Cosa pensano oggi i suoi genitori della sua carriera?

Credo siano fieri di ciò che ho ottenuto.

Philipp Plein: «Nell’industria della moda, tutti si conoscono: i designer si conoscono, le modelle e i giornalisti si conoscono. Io, al contrario, vi ho fatto irruzione per caso senza essere invitato.»
Philipp Plein: «Nell’industria della moda, tutti si conoscono: i designer si conoscono, le modelle e i giornalisti si conoscono. Io, al contrario, vi ho fatto irruzione per caso senza essere invitato.»
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Gli influencer le piacciono?

Gli influencer che trovo interessanti sono quelli che sono unici nel loro genere, ovvero che hanno un talento che altri non hanno.

Quali influencer e blog di moda raccomanda, e perché?

Sono un uomo piuttosto pragmatico, preferisco leggere il «FAZ».

Cos’ha più degli altri la direttrice di «Vogue» Anna Wintour?

Anna Wintour è «completely overrated». Sono stato uno dei primi a pensarlo e sono sicuro che non sarò l’ultimo: sono convinto che questa era sia al termine. Anna Wintour e compagnia sono paragonabili a dei dinosauri. Sono estinti da parecchio tempo. Ma hanno lasciato una grossa impronta. Anna Wintour è stata accompagnata al trono, ormai ci si è seduta e resterà regina per il resto dei suoi giorni. Ma sono convinto che, dopo, la monarchia non sopravvivrà e lascerà spazio alla democrazia.

Il diavolo veste Prada o Plein?

Nel film veste Prada, ma nel mondo reale veste Plein.

E che indossa Dio?

Probabilmente un abito divino.

A chi sconsiglierebbe di indossare le sue creazioni?

Ho un approccio molto liberale: i miei vestiti possono essere indossati da tutti coloro che lo desiderano.

Lei indossa esclusivamente i suoi capi o anche quelli di altri stilisti?

Al momento, indosso solo abiti Philipp Plein. Concepisco solamente la moda che preferisco a titolo personale.

Quale capo ogni donna non può non avere nel suo guardaroba?

Una giacca di pelle: è talmente più «cool» di un vestito. Con un vestito, occorre sempre verificare che sia adatta all’occasione. Capita spesso che delle donne vogliano indossare un vestito una sola volta. Una giacca di pelle è più multifunzionale.

Quale capo ogni uomo non può non avere nel suo guardaroba?

Una giacca di pelle.

Qual è l’abito più brutto del suo guardaroba?

Non ci conservo abiti brutti.

Philipp Plein: «Al momento, indosso solo abiti Philipp Plein. Concepisco solamente la moda che preferisco a titolo personale.»
Philipp Plein: «Al momento, indosso solo abiti Philipp Plein. Concepisco solamente la moda che preferisco a titolo personale.»
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Il più bel complimento che le è stato fatto in merito ai suoi tatuaggi?

Ho ricevuto un meraviglioso complimento per il nome di mio figlio che mi sono fatto tatuare sulla schiena.

Lei si è fatto tatuare il suo stesso nome sull’avambraccio destro…

… l’ho fatto 20 anni fa.

Perché?

Volevo farmi un tatuaggio da anni, ma mio padre non mi aveva mai autorizzato a farlo. Quando ero un giovane imprenditore, una volta sono andato ad un salone negli Stati Uniti. Poco prima, avevo deciso di abbandonare gli studi. Come simbolo di un nuovo inizio, mi sono fatto tatuare nome e cognome sull’avambraccio destro.

Non è qualcosa di piuttosto arrogante?

Con questo volevo mostrare che avevo deciso di fare tutto per il mio marchio. Philipp Plein non era ancora un nome all’epoca. Solo un pugno di persone lo conoscevano. Da allora, questo tatuaggio mi ricorda ogni giorno ciò che ho deciso di fare. È un mio promemoria, per così dire. Qualunque cosa accada, devo superare gli ostacoli.

Lei crede al destino?

No. Credo che noi, in quanto esseri umani, siamo responsabili di tutto ciò che ci accade attorno a noi. Certo, ci sono delle situazioni nelle quali non possiamo incidere: la nostra salute, ad esempio. Quando qualcuno si ammala il destino non c’entra nulla. Nella maggior parte dei casi, una persona non può fare nulla se si ammala.

Crede in Dio?

Sì. Prego ogni giorno. Sono stato chierichetto. Quando andavo a scuola, andavo in chiesa due volte alla settimana alle sei del mattino per servire la messa. Ero un chierichetto molto attivo e sono cresciuto in un’atmosfera piuttosto religiosa.

Va in chiesa nel Ticino?

Purtroppo non parlo italiano, per cui non vado a messa. Non mi piace andare in chiesa senza comprendere cosa dice il sacerdote. Ma ci regolarmente per pregare: d’altra parte, l’ho fatto anche a Los Angeles, dove sono proprietario di una casa. Per me, le religioni sono fantastiche. Mia sorella si è convertita all’ebraismo prima del suo matrimonio. È stato meraviglioso vedere l’entusiasmo con il quale si è preparata.

Ha paura della morte?

Non so dire se ho paura della morte. In ogni caso, non ho voglia di morire oggi.

Le piacerebbe essere immortale?

Non lo so. Ma mi piacerebbe restare ancora a lungo in questo mondo, perché ho ancora molti progetti, tante cose da realizzare. Prima era così: si nasceva in una città e normalmente vi si moriva. Oggi viviamo in una società globalizzata. Posso prendere un aereo ed essere all’altro capo del mondo nel giro di poche ore. Allo stesso tempo, capita che il tempo ci sfugga di mano perché siamo molto occupati. A volte, mi sveglio e mi dico: «Porca miseria, ho già 42 anni e ho ancora 16 o 17 anni nella testa».

Lei non sembra abituato ad invecchiare.

Senza dubbio. Quando qualcuno mi ha domandato l’altro giorno quanti anni avessi, ho dovuto riflettere un attimo (ride).

Potrebbe pensare all’eutanasia?

Diciamo così: l’eutanasia può avere senso, ma è importante che sia un passo davvero ben riflettuto. Per quanto mi riguarda, oggi non riesco ad immaginarlo. Ma chissà cosa penserò quando sarò vecchio.

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