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Omaggio H.R. Giger: «Riesco a parlare normalmente solo con persone che conosco bene»
Di Bruno Bötschi e Michael Solomicky
18.5.2020
Sei anni fa H.R. Giger è passato a miglior vita. Era divenuto famoso in tutto il mondo grazie al mostro creato per il film «Alien». Per commemorare l’artista svizzero e le sue opere tetre, «Bluewin» pubblica una vecchia intervista.
Il creatore di mostri e vincitore dell’Oscar H.R. Giger è scomparso il 12 maggio 2014 per le conseguenze di una caduta. Era diventato famoso grazie ai suoi disegni per il film di fantascienza «Alien» di Ridley Scott del 1979.
Per questo lavoro, Giger vinse l’Oscar nella categoria «migliori effetti visivi». Le sue creature oscure e aggressive sono state successivamente esposte in alcune mostre d’arte moderna. La sua intenzione non era però quella di scandalizzare con i suoi mostri. Desiderava piuttosto tenere a bada le proprie paure.
Nel novembre 2007 il redattore di «Bluewin» Bruno Bötschi, che all'epoca lavorava ancora per la «Schweizer Familie», ha potuto condurre, insieme al suo collega di redazione Michael Solomicky, una lunga intervista con Giger. Per commemorare il grande artista svizzero, «Bluewin» pubblica nuovamente l’intervista, che si basava su un'analisi astrologica dell'artista.
Signor Giger, ha un buon rapporto con i suoi vicini?
Direi di sì. Ho sempre avuto dei vicini gentili. Credo di piacergli. Una volta mi hanno persino aiutato a posare i binari della mia ferrovia da giardino.
I bambini del quartiere non corrono a casa in lacrime perché il suo giardino è popolato da creature che potrebbero essere uscite dall’inferno?
Niente affatto. I bambini sono fieri di me. A volte mi chiedono un autografo, ma sono contento quando la gente non mi riconosce.
Evita le persone?
Partecipo agli eventi solo se devo.
Sul suo campanello c’è scritto: «Ci siamo sempre.» Non va mai via?
Non ho praticamente alcun contatto. Non mi piace nemmeno rilasciare interviste perché riesco a parlare normalmente solo con le persone che conosco bene.
Cosa vuole fare adesso con questa intervista?
Sono semplicemente gentile con lei. Non voglio offenderla con un rifiuto.
Abita a ...
Scusi, ma preferirei che non scrivesse dove abito.
Perché?
Non voglio che la gente si presenti qui.
Bene. Da 37 anni abita in un ex quartiere operaio alla periferia di Zurigo. Qui ci si aspetterebbe di trovare molte persone, ma sicuramente non lei.
Mi è sempre piaciuto questo posto perché mi sento un po’ nascosto. La sola cosa terribile è che tutti si portano dietro qualcosa ma poche cose vengono portate fuori. Poi tutto questo si accumula negli anni. Puro caos.
Secondo quanto dicono le stelle, le piacerebbe uscire dall'ambito dell'ordinario. Tuttavia vive in un ambiente normale, del tutto ordinario.
Mi ci sento a mio agio.
Resta però una contraddizione.
A parte i miei quadri, qui tutto ha un aspetto più semplice.
Con la sua arte, però, le piace spingersi ai confini della società.
Ma questo lo fa ogni artista. Mi destreggio fra la mia vita ordinaria e la mia arte. O le sembra impossibile?
Chiediamo semplicemente come funziona.
Funziona benissimo.
Forse perché è cresciuto in una famiglia normale e cerca con la sua arte di uscire da questi confini. Almeno, questo è ciò che ipotizza la nostra analisi astrologica.
Ho sempre cercato di rimanere entro i limiti della mia arte e di non offendere. Non sono mai stato un artista che vuole scandalizzare la gente. In sostanza, ho fatto il mio lavoro per me.
Secondo l’analisi, la sua arte sarebbe un’elaborazione degli incubi che la perseguitavano da bambino.
Diciamo di sì.
Cosa sognava all’epoca?
Non potevo sopportare che gli animali venissero torturati. Questo è poi emerso nei miei sogni. Per un po’, da bambino ho sofferto di claustrofobia. Avevo la sensazione di soffocare. Questo l’ho poi rielaborato con le gabbie e i camini stretti.
Ha attacchi di claustrofobia anche oggi?
Una volta, in aereo, ho dato di matto. Ero a Milano. Eravamo saliti da un pezzo in aereo e abbiamo dovuto aspettare. Ma non accendevano l’aria condizionata e ha cominciato a fare sempre più caldo. Questo mi ha quasi «fatto perdere le staffe». A un certo punto ho perso la calma e ho colpito la parete dell’aereo con un pugno, ma nessuno ha reagito. È stato orribile. Volare è una cosa terribile.
I suoi incubi erano l’espressione di un’infanzia angosciosa?
Ho avuto una bella infanzia. I miei genitori sono stati molto bravi. Non sono mai stato picchiato o maltrattato in alcun modo.
Lei è nato nel 1940, nel pieno della Seconda guerra mondiale. Ha qualche ricordo di quel periodo buio?
Quello che ricordo ancora oggi è la paura collettiva che regnava all’epoca ...
... e che da bambino non riusciva a spiegarsi.
Quella era la cosa peggiore. Sentire che qualcosa non andava ma non sapere cosa fosse. E a volte, la sera, l’appartamento veniva oscurato.
I suoi genitori le avevano spiegato la situazione?
Mio padre era un ufficiale e diceva sempre che non avrebbe lasciato che i nazisti lo portassero via senza opporre resistenza. A casa avevamo molte armi. E ne ho avute anch’io da adulto.
Perché?
Mi piacciono le armi. Sono belle e hanno un meccanismo affascinante.
E le piace sparare?
La gioia di sparare è svanita rapidamente quando facevo il militare. Ho fatto la scuola reclute, cannoniere di lanciamine, truppa leggera motorizzata, a Winterthur. Una bella scemenza.
E dove sta la connessione tra le esperienze della sua infanzia e i suoi quadri ipotizzata dall’analisi astrologica?
Prendiamo ad esempio le scale: nella nostra casa di Storchengasse a Coira c’era una finestra in cima alle scale. Era sempre chiusa. Ma nei miei sogni era aperta. Dietro la finestra si nascondeva un pozzo profondo da cui proveniva una luce gialla e una scalinata che conducevano verso il basso. Già da allora sapevo che sotto le case di Coira c’erano delle scale che portavano al castello episcopale. Questo ha scatenato la mia immaginazione infantile.
E 20 anni dopo l’hanno ispirata nella creazione dei suoi quadri con il pozzo.
Esatto. Per me, queste sono scale che portano a un altro mondo.
Anche la farmacia di suo padre è stata una fonte di ispirazione da bambino?
Una volta mio padre ricevette in regalo via posta un teschio dall’azienda Sandoz. Lo presi subito in mano.
Era affascinato dai teschi da bambino?
Incredibilmente. Avevo circa cinque anni. All’inizio non osavo nemmeno toccarli. Capii che una volta quelle erano delle persone.
Si sentiva attratto dalle cose che la spaventavano. Dall’analisi risulta che lei ha esorcizzato queste paure dipingendole. È stato davvero così?
Solo molto più tardi. All’improvviso mi sono reso conto che i sogni opprimenti scomparivano non appena li dipingevo.
E se non avesse avuto questa valvola di sfogo?
Allora mi sarei sfogato in un altro modo. Non bisogna solo dipingere, si può anche scrivere.
L’analisi suggerisce che lei è sull’orlo della pazzia.
Questo mi sembra eccessivo.
Non ha mai avuto paura di impazzire?
Diverse volte ho avuto paura di dovermi uccidere. Avevo l’impressione di non farcela più nel mio corpo. Ma è stato molto tempo fa, intorno al 1968.
Perché non ha posto fine alla sua vita?
A quanto pare la sofferenza non era poi così tanta. Oggi dico: per fortuna non l’ho fatto.
Il 1980 segna una svolta nella sua vita. È diventato famoso in tutto il mondo con la creatura del film «Alien».
Famoso in tutto il mondo? Mi prende in giro.
No. Ha vinto un Oscar per Alien. È un classico del cinema.
Ci è voluto del tempo. Inizialmente la stampa ha stroncato il film.
Ha inventato Alien per il film?
È stato il contrario. Avevo due dipinti che contenevano già parti di Alien. All’inizio volevo fare qualcosa di nuovo ma il regista Ridley Scott mi disse che andava bene così.
In realtà, Alien non è un essere extraterrestre.
Certo che no, vive sulla Terra da molto tempo.
È stato il crostaceo Phronima sedentaria ad averla ispirata, vero?
La somiglianza è davvero impressionante. Tuttavia ho disegnato Alien prima di sapere dell’esistenza del crostaceo. Mi è stato regalato un crostaceo Phronima, ben conservato, solo dieci anni dopo.
Lei ha un’antenna parabolica e guarda la TV soprattutto di notte.
A volte la guardo per molto tempo e quando mi sveglio la mattina, la TV è ancora accesa ma non ci sono più programmi.
Quali sono le sue serie TV preferite?
«The King of Queens» e «Lost». Guardo più che altro programmi scientifici su Discovery Channel o History Channel.
Nella sua cucina c’è una statuetta di Alf, l’eroe alieno di una serie TV per bambini. Le piace?
Sì, molto. Le sue battute sono spiritose. Mi è piaciuto subito.
Cosa pensa Alien del fatto che il suo creatore si diverte guardando altre creature extraterrestri in TV?
Li ho presentati l’uno all’altro. E quindi? Non è successo niente, si piacciono. Dopotutto sono entrambi finti alieni. Sono solidali.
Nel suo giardino ci sono i cosiddetti biomeccanoidi, esseri metà uomo e metà macchina. Queste creature rappresentano – come suggerisce l’analisi – le paure sociali della tecnologizzazione?
Niente affatto. Penso che la tecnologia ci aiuti. Senza di lei non potremmo vivere.
Al momento si discute ad esempio se le persone con protesi alle gambe debbano essere escluse dai giochi olimpici perché ...
... forse perché le persone senza gambe non sono così belle da vedere.
No, perché ben presto le persone con protesi potranno correre più velocemente dei velocisti che hanno ancora le proprie gambe.
È fantastico. Questo renderà la vita molto più facile alle persone con un handicap.
L’essere umano è un modello fuori produzione?
E allora? Forse un giorno «scaccerà» l’umanità. Allora è così che stanno le cose. Prima o poi potremmo non essere più in grado di controllare tutto questo.
In passato voleva togliersi la vita. Oggi ha paura della morte?
Sì, soprattutto ho paura di soffrire. Alla mia età ci si rende conto di quanto il nostro tempo sia limitato. Tuttavia non si sa mai quanto ne avremo a disposizione, domani potrebbe essere tutto finito. In questi momenti vorrei averne un po’ di più.
Crede nella vita dopo la morte?
Mia moglie Carmen sì. Io non ne sono così sicuro. È solo una rassicurazione in modo che possiamo pensare che ci sia ancora qualcosa.
E l’idea del nulla?
Mi piace.
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