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Coronavirus «Tutte queste regole possono provocare inquietudine»
di Gil Bieler
16.3.2020
I media trattano ormai un solo argomento: il coronavirus. In che modo i lettori e i telespettatori devono rapportarsi a tale fatto? E perché i decessi provocati dagli incidenti stradali non preoccupano allo stesso modo? Ce lo spiega Daniel Süss, psicologo esperto di media.
Signor Süss, il coronavirus ha invaso tutti i canali: qual è l’impatto di un tale bombardamento sui fruitori dei media?
I media hanno una «funzione di orientamento» per la società, analoga al fischio dei suricati o delle marmotte. Gli utenti si aspettano informazioni aggiornate e pertinenti, in grado di indicare una direzione. Quando un argomento è posto in primo piano su tutti i mezzi di comunicazione, nei fruitori si genera una sensazione di emergenza. Si cerca di non perdere alcuna informazione e si utilizzano i media in modo più intenso rispetto alla normalità. Se in un momento come questo le informazioni fossero limitate, potrebbero diffondersi delle voci attraverso i social network e le persone potrebbero effettuare scelte irrazionali per proteggersi.
Come spiega questo interesse così rilevante?
La minaccia rappresentata da un virus non è direttamente percepibile tramite i sensi e per questo può rappresentare una grossa fonte di inquietudine. A ciò si aggiunge il fatto che per i profani è difficile distinguere il coronavirus da un semplice raffreddore o dall’influenza stagionale, basandosi sui sintomi.
L'esperto
Daniel Süss è docente di Psicologia dei media presso l’Alta scuola specializzata di Zurigo (ZHAW) e di Scienze della comunicazione all’università di Zurigo.
Eppure, la circolazione stradale miete molte più vittime rispetto al virus. Perché non suscita altrettanto pathos?
Ci siamo abituati ai rischi stradali e li accettiamo perché la mobilità comporta anche dei vantaggi. La maggior parte degli automobilisti si sente tra l’altro sicura perché pensa di essere capace di guidare bene. Eppure molti di loro sovrastimano la propria capacità di individuare una situazione di rischio. Facciamo innumerevoli volte lo stesso tragitto per andare al lavoro senza il minimo pericolo, per cui speriamo di rimanere al riparo da possibili incidenti. Per quanto riguarda il virus, non abbiamo questa certezza.
La sorprende vedere fino a che punto il tema domini i media in questo momento?
Se ci si attiene alla teoria del valore mediatico (che spiega quali eventi finiscono per essere mediatizzati e quali no), è del tutto normale che il coronavirus, la sua propagazione e le possibilità che abbiamo per proteggerci risultino ormai particolarmente importanti. In effetti, tutti gli abitanti del mondo sono potenzialmente a rischio e i principali attori del mondo politico ed economico devono agire. Inoltre, l’evoluzione è talmente rapida che ogni giorno è necessaria una nuova valutazione della situazione e vengono adottate nuove misure. In queste circostanze, gli altri temi possono facilmente smettere di suscitare interesse.
Quale ruolo ricopre l’evoluzione verso un’offerta d’informazione continua?
Di base, si tratta di un ottimo mezzo per raggiungere rapidamente un grande numero di persone e comunicare loro le misure che devono adottare per proteggersi. Ma quando dal mondo della politica, dai datori di lavoro, ecc. ogni giorno arrivano nuove raccomandazioni e istruzioni, si maneggia un’arma a doppio taglio: da un lato, le persone hanno la sensazione che la loro sicurezza sia garantita e che possano ricevere in ogni momento informazioni aggiornate. Ma, dall’altro, pensano anche di sentirsi di fronte a qualcosa di più grande di loro e possono non accogliere più con la dovuta serietà le differenti indicazioni, pensando che ciò che viene comunicato oggi possa non valere più domani.
Quando possiamo parlare di un «sano» interesse per il tema, e quando diventa invece problematico?
Come ho detto, è del tutto normale seguire l’attualità più da vicino in caso di situazioni così straordinarie. Il campanello d’allarme arriva nel momento in cui non riesco più a concentrarmi sulle cose da fare, o sul mio lavoro. Oppure quando non ci si riesce più a riposare perché si è troppo preoccupati per il coronavirus.
In che modo si può evitare questa deriva?
Utilizzando i media in modo coscienzioso. Ad esempio, al mattino, ascolto le informazioni su un’emittente radiofonica e leggo un giornale e poi la sera guardo «Tagesschau». Ciò fornisce una certa struttura alla fruizione e permette di evitare di seguire continuamente la situazione.
Malgrado la copertura mediatica costante, esistono ancora molte incertezze in merito al virus, e circolano numerose voci. Come fare per distinguere le informazioni vere da quelle false?
Di base, occorre chiedersi fino a che punto una fonte sia credibile. Concentrarsi sugli organismi ufficiali è una buona strategia. E tra gli svizzeri la fiducia nelle autorità è relativamente alta. La maggior parte ritiene che le fonti ufficiali – come appunto nel caso delle autorità – siano più affidabili di ciò che una persona qualsiasi pubblica sui social network. È ciò che mostrano alcuni studi condotti dall’Istituto di ricerca sul settore pubblico e la società (FÖG) del Politecnico federale di Zurigo (ETH Zürich). Se si legge qualcosa che contraddice ciò che è stato detto da altri media, è bene cercare di verificare l’informazione su altri canali e siti.
Altri temi la cui importanza è paragonabile, come nel caso della crisi dei rifugiati alla frontiera tra Grecia e Turchia, sono completamente scomparsi. Possiamo dire che semplicemente non c’è spazio per questi altri argomenti?
In Grecia e in Turchia, ad esempio, le informazioni sulla crisi dei rifugiati vengono certamente lette con altrettanta attenzione rispetto a quelle sul coronavirus in questo momento. Non appena un evento ci tocca personalmente, perché si verifica vicino a noi o perché conosciamo persone che sono coinvolte, la sua importanza soggettiva aumenta. Più un evento è vicino a noi e più il numero di persone e di istituzioni importanti coinvolte è vicino, più è probabile che vengano seguite con attenzione le relative informazioni. Ciò vale anche nel caso in cui ci siano ripercussioni dirette sulla vita quotidiana.
Quando si rischia di arrivare alla saturazione mediatica?
Se la situazione non si aggrava per qualche giorno, oppure migliora, si comincia a concentrare l’attenzione su altri temi. Tuttavia, nel caso della diffusione del coronavirus, all’orizzonte non sembra ci sia questo scenario. È possibile che i dati quotidiani riguardanti le nuove infezioni e i decessi siano innanzitutto relegati in secondo piano. Occorre sperare che siano messi presto a disposizione farmaci efficaci e che si possa riferire non soltanto di guarigioni spontanee, ma anche di successi terapeutici. Ciò permetterebbe alle persone di avvertire di nuovo una sensazione di sicurezza e la loro attenzione si rivolgerebbe altrove.
In che modo i media dovrebbero parlare della propagazione del virus senza essere allarmisti?
È certamente consigliabile la diffusione di informazioni basate sui fatti, il cui obiettivo non è di suscitare scandalo, al contrario di ciò che potrebbe accadere con una critica prematura della gestione della crisi da parte delle autorità. Una volta terminata l’emergenza, sarà possibile valutare se tutto si è svolto nel modo giusto. È altrettanto importante non diffondere speculazioni e voci non verificate. Per un giornalismo di qualità, è sempre essenziale effettuare ricerche minuziose, ma ciò vale ancor di più in una situazione così particolare. Reportage sulla diffusione del virus, la creazione di vaccini, l’adozione di misure di protezione appropriate: tutto ciò fornisce indicazioni importanti per i fruitori dei media.
Daniel Süss ha risposto a numerose domande in forma scritta.
Daniel Süss è docente di Psicologia dei media presso l’Alta scuola specializzata di Zurigo (ZHAW) e di Scienze della comunicazione all’università di Zurigo.
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