Diocesi di Lugano Alain de Raemy e gli abusi sessuali coperti: «Quanto rivelato ci sconcerta. Le scuse non bastano»

Swisstxt / pab

13.9.2023 - 14:15

La conferenza stampa della Diocesi.
La conferenza stampa della Diocesi.
RSI

La Diocesi di Lugano prende posizione sull'inchiesta dell'Università di Zurigo pubblicata martedì. Il vescovo Alain de Raemy: «Gli abusatori, che dovevano essere dei pastori, hanno agito come dei lupi. Non c'è peggior tradimento. Le scuse non bastano». In Ticino cinque casi dal 2019. Uno è stato trasmesso alla magistratura.

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  • La Diocesi di Lugano ha preso posizione sul rapporto dell'Università di Zurigo che ha censito 1002 casi di abusi sessuali nella Chiesa svizzera negli ultimi 73 anni.
  • Il vescovo Alain De Raemy ha usato parole dure per descrivere la situazione: «Quanto rivelato ci sconcerta. Le scuse non bastano».
  • Le vittime «vengono umiliate da ingiusti trattamenti di sconcertante disprezzo e palese ingiustizia».
  • I documenti eliminati? «L'errore fu quello di non aver lasciato alcuna traccia», ha spiegato Nicola Zanini, delegato ad omnia dell'Amministratore apostolico.
  • Fabiola Gnesa, presidente della Commissione diocesana di esperti per la gestione di casi di abusi sessuali in ambito ecclesiale, ha specificato che dal 2019 in Ticino ci sono stati 5 casi.
  • Quattro di questi si sono risolti, mentre per uno, che coinvolge un prete del Locarnese, il dossier è stato trasmesso alla giustizia civile.

La Diocesi di Lugano ha preso posizione su quanto emerso dallo studio presentato martedì dall'Università di Zurigo, secondo cui più di mille abusi sessuali sono stati perpetrati da chierici cattolici dal 1950 in Svizzera.

L'amministratore apostolico della Diocesi di Lugano Alain De Raemy ha aperto così la conferenza stampa mercoledì mattina: «Quello che mi ha colpito di più, e che mi colpisce sempre, è questo silenzio assordante. Sono poche le vittime che hanno potuto esprimersi. Dunque il silenzio che in chiesa viene vissuto come un momento di contatto con il Signore è un silenzio assordante».

«Queste donne e questi uomini in più vengono umiliati da ingiusti trattamenti di sconcertante disprezzo e palese ingiustizia. E questo proprio da parte delle persone che si presentano come pastori ma che agiscono come lupi. Non c'è peggior tradimento» ha poi continuato il vescovo.

«Non bastano le semplici scuse»

Ha poi proseguito spiegando che «la chiesa svizzera farà tutto quello che è umanamente possibile per rendere giustizia alle vittime e impedire da subito ulteriori abusi sessuali».

«Riconosciamo la nostra responsabilità. Ci vogliamo impegnare per un cambiamento definitivo e repentino per consegnare alle nuove generazioni una Chiesa più umana e degna, cioè del Vangelo».

«Quanto rivelato da questo documento ci spaventa, ci sconcerta, ci rattrista e ci sfida», ha ammesso poi l'amministratore apostolico della Diocesi di Lugano.

«Non bastano delle semplici scuse per superare questo passato su cui non si può e non si deve mettere una pietra sopra. Questo studio che proseguirà, per volontà dei vescovi svizzeri, per altri tre anni, non serve a voltare pagina, ma al contrario servirà ad aprire tutte le pagine» ha poi proseguito il vescovo.

Perché a Lugano i documenti sono stati distrutti?

In conferenza stampa si è anche parlato della distruzione dei documenti «compromettenti», unica traccia degli abusi del passato, avvenuta soprattutto negli anni novanta, quando la Curia era sotto la guida di Monsignor Eugenio Corecco

Ha provato a spiegare la situazione Nicola Zanini, delegato ad omnia dell'Amministratore apostolico: «Comprendiamo che la questione della distruzione dei documenti nell'archivio diocesano sia considerata una questione spinosa per stampa, fedeli e diocesi».

«L'errore non fu quello di distruggere la documentazione, poiché è una pratica prevista dal codice canonico, ma quello di non aver lasciato alcuna traccia. Per questo motivo il rapporto presentato ieri insiste sulla necessità della testimonianza orale, soprattutto per colmare la lacuna presente in Ticino».

Zanini ha poi precisato che «a partire dall'inizio del XXI° secolo, quindi con l'episcopato di Monsignor Grampa, in seguito di Lazzeri e De Raemy, nessuna documentazione è stata distrutta».

Una Commissione apposita costituita nel 2016

Fabiola Gnesa, dal canto suo, presidente della Commissione diocesana di esperti per la gestione di casi di abusi sessuali in ambito ecclesiale, ha spiegato la genesi e la missione del gremio che presiede: «A seguito del primo documento della Conferenza dei vescovi svizzeri sugli abusi sessuali nel 2009, è stata creata da Monsingor Grampa la Commissione esperti della Diocesi di Lugano e non è mai stata convocata fino al 2016».

«Nel 2014, nell’ambito dell’attuazione della terza edizione delle direttive della Conferenza dei vescovi svizzeri, Mons Valerio Lazzari ha riattivato e istituto nuovamente la Commissione di esperti diocesani».

Cinque casi in Ticino dal 2019

Dal 2019 sono emersi cinque casi, quattro dei quali, ha spiegato Gnesa, sono stati trattati direttamente dalla Commissione. «Le vittime sono state accolte e ascoltate. Tutte le persone coinvolte erano consapevoli che raccontare nuovamente l’abuso subito poteva portarle a rivivere questo dolore».

Due casi, ha proseguito Gnesa, hanno portato la vittima a ottenere da parte della Commissione nazionale un risarcimento per il torto subito. «Questo non ha risolto le loro sofferenze, ma le ha aiutate».

Il terzo caso si è risolto, come richiesto dalla vittime, con una lettera di scusa da parte del Vescovo. Il quarto con un incontro con il Vescovo e una lettera di scuse da parte della Chiesa.

Il quinto caso, quello che vede coinvolto un parroco del Locarnese, è stato trasmesso all’autorità penale civile.

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