Messina Denaro L'ombra del boss mafioso infesta la sua roccaforte siciliana

ATS / afp

20.1.2023

Immagine d'illustrazione
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AP

L'ombra del padrino siciliano Matteo Messina Denaro, arrestato lunedì a Palermo dopo 30 anni di latitanza, continua ad aleggiare sulla roccaforte del suo clan a Castelvetrano: alcuni esprimono sollievo, ma molti abitanti sono murati nel silenzio.

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Interpellati dall'AFP per le strade della città di quasi 30.000 anime sull'arresto del «capo» finito sulle prime pagine della stampa internazionale, molti passanti si nascondono dietro gli ombrelli o accelerano il passo per evitare di rispondere, con faccia scura o addirittura ostile.

«In questo paese non ci piace parlare molto», mormora un vecchietto prima di intrufolarsi in un ingresso, visibilmente esasperato dalle orde di giornalisti che hanno invaso il suo paese. «La mafia uccide, ma anche il silenzio», diceva Peppino Impastato, giornalista siciliano giustiziato da Cosa Nostra nel 1978, per denunciare l'omertà che regge la società siciliana.

Anche Michele, un architetto di 39 anni accompagnato dalla moglie e dal bambino, è riluttante prima di convincersi a parlare a condizione di restare anonimo: «Siamo molto contenti, finalmente è successo quello che sarebbe dovuto accadere tanto tempo fa. Adesso dobbiamo cambiare noi, tutta la città, ma avremmo dovuto cambiare già prima di questo arresto», osserva con una punta di amarezza.

A 60 anni, Messina Denaro, spietato assassino a capo di un impero criminale, ma ormai malato di cancro, è considerato l'ultimo membro della vecchia guardia di Cosa Nostra, il cui potere si estendeva in tutta la Sicilia occidentale fino alla sua capitale Palermo.

«I vasi di Pandora»

Dopo il suo arresto, il sindaco della città, Enzo Alfano, ha espresso cautela: «Sicuramente è stato chiuso un capitolo, ma non possiamo assolutamente dire che la mafia sia stata sconfitta. Non dobbiamo abbassare la guardia», ha insistito ai microfoni dell'AFP nel suo ufficio affacciato sulla piazza principale del centro storico.

Castelvetrano «vuole liberarsi da questo massetto di piombo che ha impedito a tanti suoi abitanti di respirare e presentarsi agli occhi del mondo per quello che è: un bel paese con parco archeologico» risalente alla dominazione greca, il sito di Selinunte, che allinea una sfilza di sontuosi templi rivolti verso il mare.

Se il centro storico si presenta bene, le periferie sono in cattive condizioni: strade sconnesse, edifici costruiti a metà, immondizia abbandonata in mezzo alla campagna... Le finanze della città, per un tempo amministrate direttamente dallo Stato a causa delle infiltrazioni mafie, sono esangui. Il sindaco conta sui turisti per rimpinguare le casse.

L'assessore comunale dalla barba bianca si augura anche che «si faccia luce sull'identità di chi lo ha aiutato a nascondersi». Il padrino, condannato più volte all'ergastolo in contumacia e rinchiuso in un carcere di massima sicurezza sulla terraferma, ha rifiutato giovedì di testimoniare in uno dei processi in cui è coinvolto.

In alto il Comune natale di Messina Denaro, Castelvetrano, e più in basso quello dove si nascondeva, Campobello di Mazara, a soli 8 km di distanza.
In alto il Comune natale di Messina Denaro, Castelvetrano, e più in basso quello dove si nascondeva, Campobello di Mazara, a soli 8 km di distanza.
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Pesce grosso

Marta Capaccioni, 23enne attivista antimafia, si aspetta che lo Stato faccia «collaborare il boss, perché non è un esecutore testamentario, ma uno dei principali capi di Cosa nostra che conosce molti segreti, in particolare sugli attentati contro i giudici antimafia Falcone e Borsellino» nel 1992.

La giovane, che vive a Palermo, ha voluto venire a vedere il nascondiglio del padrino, scoperto questa settimana in una piccola, anonima, ma confortevole palazzina sita a Campobello di Mazzara, a una decina di chilometri da Castelvetrano.

«Aprirebbe tanti vasi di Pandora sul nostro Paese e sui partiti politici che hanno collaborato con la mafia», ha detto, chiedendosi come il criminale più ricercato d'Italia sia riuscito a sfuggire così a lungo alla polizia, arrivata in massa nei giorni scorsi nella Regione.

«Peccato che questa persona sia rimasta latitante per 30 anni, beneficiando sicuramente di tutele, e abbia potuto vivere tranquillamente nella sua città natale», si lamenta, avvolta nella sua giacca bordeaux e nel suo foulard bianco.