Mafia Le ultime parole di Messina Denaro all'autista: «È finita»

SDA

20.1.2023 - 21:21

Messina Denaro durante l'arresto.
Messina Denaro durante l'arresto.
KEYSTONE

«Cercano me. È finita». Vedendo avvicinarsi i carabinieri ha capito. Ha abbracciato il suo autista e al militare del Raggruppamento operativo speciale (ROS), che gli chiedeva come si chiamasse, ha detto il suo vero nome: Matteo Messina Denaro. A raccontare la storia è Giovanni Luppino, uno dei più fedeli favoreggiatori del capomafia.

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L'ha riferita al giudice per le indagini preliminari (GIP) che oggi, accogliendo la richiesta della Procura di Palermo, dopo averne convalidato l'arresto, ha deciso che resterà in carcere con le accuse di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena.

In realtà Luppino ha riferito l'episodio per rafforzare la sua difesa e cioè che il passeggero portato in auto alla clinica Maddalena, luogo in cui è scattato il blitz, lui l'aveva conosciuto mesi prima col nome di Francesco tramite Andrea Bonafede (l'uomo che ha prestato l'alias al boss) e che per mesi non l'aveva più rivisto.

«È venuto domenica sera a dirmi di portarlo alla casa di cura per le terapie e io l'ho fatto», ha detto. Solo vedendo i militari Giovanni Luppino, ufficialmente imprenditore agricolo, avrebbe chiesto al conoscente se cercavano lui. E Messina Denaro avrebbe finalmente fatto capire la sua vera identità. Fandonie pure per i pubblici ministeri (pm), che peraltro gli hanno trovato addosso due cellulari in modalità aerea, un coltello a serramanico e alcuni documenti.

Fandonie anche secondo il GIP che, nella ordinanza di custodia cautelare in carcere deciso oggi, scrive: «La versione dei fatti fornita dall'indagato è macroscopicamente inveritiera, non essendo credibile che qualcuno, senza preavviso, si presenti alle cinque del mattino a casa di uno sconosciuto per chiedergli la cortesia di accompagnarlo in ospedale per delle visite programmate, in assenza di una situazione di necessità e urgenza. Ma al di là di ogni considerazione logica, sono le risultanze investigative a fornire il dato decisivo, nella misura in cui il possesso del coltello e dei due cellulari – entrambi tenuti spenti ed in modalità aereo – suggeriscono che Luppino fosse talmente consapevole dell'identità del Messina Denaro da camminare armato e ricorrere ad un contegno di massima sicurezza per evitare possibili tracciamenti telefonici».

Proseguono le perquisizioni a tappeto

A quattro giorni dalla cattura del boss, intanto, proseguono a tappeto le perquisizioni a Campobello di Mazara, paese in cui sono stati trovati due covi e un bunker usato dal capomafia per nascondere oggetti di valore e carte.

Stamane sono stati controllati anche l'abitazione di un legale, l'avvocato Antonio Messina, che si trova di fronte la casa di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss, e la sua villa estiva del legale a Torretta Granitola, sul litorale di Mazara del Vallo.

Ricontrollata anche la casa che Andrea Bonafede ha acquistato con i soldi di Messina Denaro, primo dei nascondigli del boss individuati. Le ricerche, fatte con il georadar, erano finalizzate a scoprire eventuali bunker sotterranei.

Nell'appartamento di vicolo San Vito, oltre a scarpe griffate, carte al vaglio dei pm, post-it con nomi e cifre e il quadro con l'immagine di Marlon Brando nei panni di don Vito Corleone ne «Il Padrino», c'era anche un quadro a colori di Joker, il famoso personaggio dei fumetti, nella versione interpretata da Joaquin Phoenix. «C'è sempre una via d'uscita, ma se non la trovi sfonda tutto», diceva invece la scritta su un quadretto più piccolo appeso proprio sotto quello di Joker.

Chemioterapia in carcere

Intanto oggi il boss, gravemente malato, è stato sottoposto in carcere alla prima seduta di chemioterapia dopo la cattura. «L'allestimento dell'ambulatorio costituisce un modello virtuoso perché permette di evitare rischi e consente un ingente risparmio di risorse. Inoltre non è stato distolto nulla dall'assistenza normale», dicono fonti della Azienda sanitaria locale dell'Aquila.

La presa di posizione riguarda anche alcune polemiche secondo cui al superboss di cosa nostra, arrestato dopo trenta anni di latitanza, sarebbe riservato un trattamento di privilegio.