Rivolte negli Stati Uniti «Al posto di tutto ciò, vediamo finestre rotte e fiamme»

Di Gil Bieler

7.6.2020

Secondo Claudia-Franziska Brühwiler, le rivolte negli Stati Uniti hanno seguito lo stesso schema di altri casi simili. L’esperta del paese a stelle e strisce all'università di San Gallo evoca la potenza della polizia, l’emergenza coronavirus e il ruolo del presidente Donald Trump.

Signora Brühwiler, è stata sorpresa dalla virulenza delle proteste?

Sì e no. Sì, perché sfortunatamente non è così raro che casi di violenza poliziesca eccessiva nei confronti dei neri vengano diffusi al pubblico. E no, perché il fatto che queste rivolte siano scoppiate in seguito a casi di violenza poliziesca rientra nello schema. È avvenuto anche nel 2014 a Ferguson e nel caso più famoso, nel 1992 a Los Angeles: all’epoca, i poliziotti che avevano brutalmente picchiato l’afroamericano Rodney King durante un arresto erano stati assolti. Questo schema, al quale si aggiungono l’attuale presidente degli Stati Uniti e l’emergenza coronavirus che ha particolarmente toccato la popolazione nera, fa temere un’escalation.

Malgrado tutte le rivolte precedenti contro la violenza razzista dei poliziotti, perché non ci sono ancora stati miglioramenti?

Ce lo chiediamo in effetti. Tuttavia, bisogna dire che questo non dipende soltanto da Washington, ma che la formazione degli agenti di polizia è responsabilità dei comuni o degli Stati – come in Svizzera. E comunque alcune cose sono state fatte: in alcuni Stati, i poliziotti devono assolvere a requisiti più esigenti, si tenta di formarli meglio, anche attraverso procedure di de-escalation, mentre in alcune regioni si bada a una più ampia diversità. Ci sono già stati quindi dei progressi, ma è ancora troppo poco.

Claudia-Franziska Brühwiler
zVg

Claudia-Franziska Brühwiler è professore di scienze politiche all’università di San Gallo. Le sue ricerche si orientano in particolare sul conservatorismo e la cultura politica statunitense.

Dov'è il problema, allora?

Sono necessarie molte risorse per cambiare qualcosa a livello di formazione, per migliorarla e per iniziare ad apportare questi cambiamenti, in particolare nei vertici dei corpi di polizia. E poi ci vuole un'enorme volontà politica, che sfortunatamente si dissolve rapidamente.

Contrariamente a ciò che è successo in precedenza, in questo caso quattro poliziotti sono stati arrestati e accusati, e il capo della polizia ha presentato delle scuse pubbliche. Si tratta di qualcosa di più di una semplice politica simbolica?

La città di Minneapolis, in cui George Floyd è stato ucciso, e lo Stato del Minnesota non sono noti per avere un grosso problema con la polizia. E il governatore Tim Walz in particolare non è qualcuno che si accontenti di una retorica vuota, vuole veramente portare un cambiamento. Il fatto che sia stato aperto un caso e ci sarà un processo è un segno positivo. La questione di sapere se possiamo anche accordare una legittima fiducia a questo procedimento giudiziario è tutt'altro.

Può spiegarci meglio?

Basta osservare come si tergiversa intorno all'esito dell'autopsia: il rapporto ufficiale ha concluso che alcune patologie preesistenti e l’uso di stupefacenti siano stati in parte responsabili della morte di George Floyd, mentre il rapporto richiesto dalla famiglia della vittima ha confermato la morte per asfissia. Di conseguenza, gli afroamericani non si fidano della giustizia e delle autorità poliziesche. Anche il fatto che la polizia alla fine se la cavi è un tema ricorrente in storie come questa. Il preludio, con l’apertura di un procedimento, è dunque cosa buona. Ma dev’essere portato avanti con la serietà necessaria.

Come ha menzionato precedentemente, la popolazione nera è già affetta in maniera sproporzionata dal coronavirus. Come spiegare il tutto?

I principali fattori di rischio sono la povertà, il fatto di avere un lavoro dove è difficile proteggersi o servizi sanitari di scarsa qualità. E questi fattori colpiscono molto di più gli afroamericani che i bianchi o i membri di altri gruppi etnici – escludendo i latino-americani. Ma è tra la popolazione nera che il tasso di povertà è più elevato. Constatiamo che le persone infettate rifiutano spesso di chiedere un aiuto medico, perché non sono assicurate. O se pure chiedono aiuto, ci vuole molto tempo prima che la loro domanda venga accettata. E nei settore dei lavori a basso salario, per esempio nei fast food, i dipendenti ora sono disoccupati perché questi lavori sono stati spazzati via dalla crisi.

Quali sono i gruppi che scendono per strada? Sembra esserci una certa confusione.

Non è facile definire quali siano, perché non ci sono dati affidabili su questo tema. Ci sono anche numerose fonti contraddittorie. Spero che ci si possa fidare di ciò che dicono i governatori, e da Minneapolis, si dice che siano soprattutto degli individui esterni che sono venuti a fare le contestazioni. Cosa che sarebbe abbastanza strana. C'è anche un certo allarme, si vuol sapere di che tipo di individui esterni si tratti. Su Twitter, un account che avrebbe fatto appello alla violenza a nome del movimento di estrema sinistra antifascista è già stato smascherato – in realtà, era sostenuto da partigiani di estrema destra. La sola cosa certa al momento è che abbiamo poche informazioni affidabili.

Questa violenza nuoce alla causa dei manifestanti?

Certamente, perché la percezione del pubblico non è dominata dalle immagini di compassione, di manifestanti pacifici che commemorano George Floyd o che testimoniano la loro esperienza della violenza. Non ci sono neppure discorsi ispiratori. Al posto di tutto ciò, vediamo finestre rotte e fiamme – un’amica che vive a Washington mi ha scritto: «America is burning» («L’America sta bruciando»). Queste immagini ci sconvolgono, invece di ispirare comprensione ed empatia. Alcune voci, come quella di John Lewis, membro nero del Congresso che rappresenta la Georgia e attivista dei diritti civici della prima ora, hanno lanciato un appello per evitare la violenza. In effetti, ciò dà a Donald Trump l’occasione di fare lo stesso – anche se non fa esplicitamente appello alla violenza, la accetta.

Lunedì sera, il presidente statunitense ha fatto disperdere i manifestanti davanti alla Casa Bianca con del gas lacrimogeno per recarsi alla chiesa di St-John, proprio a fianco. Quale genere di segnale ha voluto mandare secondo lei?

Suppongo che fosse una dimostrazione di forza. E si trattava probabilmente anche di un messaggio rivolto ai suoi elettori negli ambienti religiosi, anche se sembrava stesse utilizzando la Bibbia come un accessorio.

Notiamo che Donald Trump non ha ancora cercato di agire in veste di paciere. Come giudica la sua reazione ai disordini?

C’è anche della testardaggine. Avrebbe verosimilmente sperato che il lancio del razzo SpaceX suscitasse maggiore attenzione, ma al giorno d’oggi, sono altri i temi che fanno i grossi titoli. Sfortunatamente, non bisognava aspettarsi che cambiasse attitudine e che cercasse di predicare l’unione. Dispiace molto, perché ne avremmo avuto bisogno ora.

Il suo comportamento mi ricorda l’anno 1968, con un’atmosfera estremamente tesa in seguito ai due assassini politici di Robert Kennedy e di Martin Luther King, quando scoppiarono delle rivolte razziali. All’epoca, il presidente Richard Nixon aveva dichiarato che avrebbe difeso la legge e l’ordine. E io penso che [Donald] Trump cerchi oggi di imitare questa posizione. Ma le circostanze sono molto diverse e [Richard] Nixon non ha mai utilizzato la retorica incendiaria di [Donald] Trump. In effetti, qualunque sia la fazione politica alla quale si aderisce, bisogna ammettere che Trump tollera o incoraggia indirettamente la violenza quando introduce il secondo emendamento della Costituzione – il diritto al porto d’armi – nel dibattito politico.

Nell’emergenza coronavirus, se la sta cavando piuttosto male. Questa nuova problematica arriva giusto a pennello per lui?

Ciò permette almeno di distrarre l’attenzione dell’emergenza coronavirus. La questione è tuttavia sapere se gli elettori del partito conservatore non comincino poco a poco a rendersi conto che il presidente distrae spesso la loro attenzione – e se ciò si manifesterà nelle urne di novembre.

Non può esserci una campagna elettorale normale prima delle elezioni presidenziali. Chi ne approfitta di più – Donald Trump o il suo probabile concorrente, Joe Biden?

Per il momento, piuttosto [Joe] Biden. Negli ultimi sondaggi, è ancora salito; l’ultimo in ordine di tempo realizzato dal «Washington Post» e la rete ABC gli attribuiva il 53% dei suffragi degli elettori iscritti, contro il 43% per [Donald] Trump. Ma ovviamente, ci vuole prudenza con i pronostici, perché la situazione è senza precedenti e non sappiamo neppure come si svolgeranno le elezioni. Si parla di un maggiore ricorso al voto per corrispondenza. E ovviamente, quasi tutti gli osservatori si sono mangiati le dita in seguito all’elezione di Donald Trump nel 2016.

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