Emergenza ambientale Quando le balene mangiano i rifiuti di plastica e muoiono

dpa/mit

12.4.2019

Alcune balene giacciono esanimi su litorali abitati con diversi chili di plastica nello stomaco, altre invece muoiono lontano dagli occhi degli uomini. Alcuni ricercatori suppongono che i giganti dei mari mangino i rifiuti in plastica, scambiandoli per prede. Questi enormi cetacei non sono però le sole vittime dell’accumulo di plastica.

C’erano più di 20 chili di plastica all’interno dello stomaco di un capodoglio, recentemente ritrovato senza vita al largo delle coste della Sardegna. Il nascituro, che si trovava nella pancia della femmina di otto metri di lunghezza, era già in decomposizione.

Ormai sono sempre più frequenti i ritrovamenti di mammiferi marini spiaggiati con una gran quantità di plastica nello stomaco. A marzo, sul litorale filippino, una giovane balena con il becco di Cuvier è stata ritrovata con 40 chilogrammi di rifiuti di plastica nello stomaco, mentre alla fine del 2018, circa sei chili di rifiuti – tra cui bottiglie e sandali in caucciù – sono stati scoperti nel corpo di una balena spiaggiata in Indonesia.

Non si sa quanti mammiferi marini muoiano a causa della quantità di plastica in costante aumento negli oceani. «Si tratta probabilmente di cifre elevate poiché numerosi animali muoiono in alto mare e non costituiscono quindi oggetto di inchiesta», afferma Bianca Unger.

Un capodoglio viene caricato su un camion in Sardegna: si registrano sempre più scoperte di mammiferi marini spiaggiati con plastica nello stomaco. Ma non sono gli unici a soffrire dell’accumulo di plastica.
Un capodoglio viene caricato su un camion in Sardegna: si registrano sempre più scoperte di mammiferi marini spiaggiati con plastica nello stomaco. Ma non sono gli unici a soffrire dell’accumulo di plastica.
SEAME

La biologa per l’università di medicina veterinaria di Hannover a Büsum, nello Schleswig-Holstein (Germania), ha esaminato i rifiuti ritrovati nelle pance delle foche comuni, delle foche grigie e delle focene spiaggiate sulle rive del mare del Nord e del mar Baltico.

Animali affamati

Non si può in alcun modo determinare se una balena venga realmente uccisa dalla plastica, afferma Bianca Unger. Tuttavia, se nelle interiora ci sono 40 chili di plastica, come nel caso della balena sul litorale filippino, si potrebbe supporre che l’animale fosse affamato, prosegue.

«Il problema è che gli animali provano una sensazione di sazietà perché il loro stomaco è pieno, ma i rifiuti non apportano loro il nutrimento necessario.» Sono ugualmente riconoscibili le ferite causate da pezzi di plastica taglienti o  fili, aggiunge.

Dal 2014, il Museo tedesco del mare a Stralsund ha adottato lo slogan annuale «No ai mari di plastica». Michael Dähne, conservatore dei mammiferi marini, suppone che le balene nuotino in profondità, come i capodogli, e che per sbaglio mangino i rifiuti in plastica che trovano con l’ecolocalizzazione, scambiandoli per prede. «Il loro riflesso è simile a quello delle piovre, il loro alimento di base.»

Secondo le stime, ogni anno da cinque a 13 milioni di tonnellate di rifiuti plastici finiscono nei mari del mondo intero. La maggior parte proviene dai paesi del Sud Est asiatico, dove i sistemi di riciclaggio sono quasi inesistenti. E la produzione di plastica continua ad aumentare, secondo Bernhard Bauske, esperto marino al WWF, organismo di protezione dell’ambiente.

Il problema delle microplastiche

Secondo il biologo, centinaia di specie animali sono in pericolo per via dei rifiuti in plastica. Quelli del fulmaro boreale e dell’albatro sono casi ben documentati. Per esempio, nelle acque tedesche del mare del Nord, il 60% dei fulmari boreali studiati contenevano troppe particelle di plastica nel loro stomaco, secondo l’ultimo rapporto del governo federale e dei Länder costieri, nell’ambito della direttiva-quadro europea relativa alla strategia per l’ambiente marino.

Le tartarughe di mare muoiono confondendo i sacchi di plastica con le meduse, di cui si nutrono abitualmente. Alcune foto mostrano ugualmente delle tartarughe con il carapace imbrigliato e deformato dalla plastica. Alcune foche e balene si ritrovano in trappola a causa di «reti fantasma», reti di plastica perse o gettate intenzionalmente dai pescatori.

Ma le reti e le buste non sono gli unici pericoli. «L’inquinamento dei mari a causa dei rifiuti riguarda non soltanto i grossi oggetti in plastica, ma anche le microplastiche», spiega la ricercatrice Bianca Unger. I microorganismi la assorbono e la trasmettono a specie sempre più grandi attraverso la catena alimentare, indica.

Queste minuscole particelle sono ugualmente state rinvenute in alcuni intestini umani nel 2018. La maggior parte di questi frammenti, provenienti da pezzi di plastica più grandi o usati in aggiunta a prodotti cosmetici, proviene dall’abrasione dei pneumatici delle auto.

Sir David Attenborough, naturalista di fama mondiale, presta la voce per la versione inglese della serie di documentari originale Netflix «Il nostro pianeta», diffusa per la prima volta il 5 aprile.

Sempre più persone prendono coscienza dell’inquinamento dei mari a causa dei rifiuti, osserva Michael Dähne. «Ormai, si tratta di cambiare il proprio comportamento.» Il biologo spera in direttive politiche più efficaci. «Perché l’UE non proibisce tutti i sacchetti di plastica?» Bernhard Bauske, l’esperto del WWF, sottolinea che è soprattutto necessario evitare i rifiuti in plastica, per esempio acquistando per quanto possibile prodotti alimentari non imballati.

Una cosa è chiara: la plastica ha una lunga durata di vita. I giganti dei mari moriranno ancora per molto tempo, fra atroci sofferenze, a causa delle immondizie riversate in mare.

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