Dopo la scomparsa di Diego Maradona, Napoli ha perso il suo dio. Ottavio Bianchi, mitico allenatore del Napoli degli anni '80 ha raccontato il suo Maradona.
Napoli è oggi una città dal cuore pesante. Lo spirito di Napoli e della sua gente, nonostante tutto, si risolleverà. È così.
Per moltissimi napoletani Maradona era il loro padre. Il loro idolo. La loro storia. La loro gloria. Per molti era semplicemente un dio.
La storia del calcio è piena di idoli, di bandiere e di simboli di una squadra, ma forse nessuno ha saputo incarnare lo spirito e la vita di una città quanto l'argentino.
«Mi chiamo Diego», «Armando», «Diego Armando»
A Napoli s'incontrano molte persone con i nomi di battesimo 'Diego' e 'Armando', addirittura 'Diego Armando'.
«Sì, questo è il mio nome di battesimo», si vanta un fan di Napoli intervistato dalla televisione italiana mercoledì sera, arrivando persino a mostrare la sua carta d'identità alla telecamera per giustificarsi.
Come molti suoi concittadini, il tifoso aveva deciso di lasciare la sua casa poco dopo l'annuncio della morte della leggenda argentina. Nemmeno il coprifuoco e le restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19 hanno fermato la fiumana di gente che ha voluto ricordare Maradona per le strade di Napoli. Nel momento della commozione e delle lacrime i napoletani hanno bisogno di trovare conforto nell'altro e in quel tessuto sociale che definisce la metropoli campana.
Quella maglietta azzurra numero 10
Le magliette azzurre con il numero 10 e la scritta 'Maradona' non sono mai scomparse del tutto dalle case, dai balconi e dalle bancarelle di Napoli, ma da mercoledì sera quelle stesse maglie sono tornate a fiorire nelle vetrine dei negozi, sui tessuti degli ambulanti, sulle facciate delle case.
Dai più giovani ai più anziani, dai più fanatici ai più sobri, tutti hanno voluto unirsi per segnare questo momento storico: «Diego Maradona è morto».
Una frase difficile da accettare per i napoletani, che grazie a Maradona, 35 anni fa, avevano trovato un altro patrono oltre al santissimo San Gennaro. 35 anni fa Napoli diventò città del mondo, centro del calcio che conta, meta dei sogni di ogni bambino dell'epoca.
Ottavio Bianchi e il suo numero 10
«Maradona amava il Napoli, e il Napoli amava Maradona» ha raccontato a Eurosport Ottavio Bianchi, allenatore del Napoli nel quadriennio 1985-89 e poi ancora negli anni Novanta.
«Napoli e Buenos Aires sono due città che si assomigliano per mentalità, stile e filosofia di vita - ha asserito l'oggi 77enne Bianchi, originario della lombarda Brescia - Napoli ha sempre accettato i giocatori sudamericani con grande entusiasmo e Maradona ha permesso il riscatto sociale di un'intera città. I napoletani lo hanno reso portavoce di tutti i loro problemi: è stata un'unione indelebile. L'idolatria era totale e rimane ancora oggi».
Non servono moralismi. La traccia lasciata dal numero 10 va oltre ogni possibile confine. È quasi mistica. Maradona.
«Bisogna rendersi conto che Diego aveva una pressione enorme - ha ricordato Bianchi - forse mai nessuno al mondo ha dovuto sopportare tanto, né i politici, né gli attori... ovunque andasse, era pressato dall'opinione pubblica, dai tifosi e anche dalla gente che non conosceva il calcio».
Napoli, la scelta dell'immortalità
Acquistato dal Barcellona per 8 milioni di Euro dal presidente Ferlaino, l'argentino fu presentato il 5 luglio 1984 al San Paolo.
Avrebbe potuto guadagnare di più altrove. Avrebbe potuto scegliere un'altra formazione più blasonata. Invece, Dieguito, scelse Napoli, la sua Napoli, che si caricò sulle spalle fino a vincere lo scudetto nel 1987. Due anni dopo Maradona portò il club partenopeo al successo in Europa con un titolo di Coppa UEFA. Nel 1990, un altro titolo nazionale italiano.
Grazie a lui il piccolo scugnizzo del sud non era più lo zimbello dei grandi club del Nord. L'Europa e il mondo intero conobbero Napoli, Maradona mise la città partenopea sulla mappa del calcio mondiale.
«Insieme abbiamo vissuto i nostri momenti migliori - ha continuato l'ex allenatore del Napoli dei due scudetti - i ricordi mi tornano alla mente con il passare del tempo, e queste sono le immagini più belle. Ci eravamo abituati a vederlo cadere (Maradona ndr.) e poi rialzarsi, come è successo più volte negli ultimi anni. Riusciva sempre a scacciare via dai suoi problemi: questa volta il miracolo non gli è riuscito».
Niente moralismo, solo affetto
A Napoli Maradona ha segnato 115 gol, uno più memorabile dell'altro. A Napoli Maradona ha lasciato un'eredità inestimabile, che si tramanda da una generazione all'altra. A Napoli Maradona è più grande di Pelé, perché la sua generosità non si è mai piegata al sistema. A Napoli Maradona non è moralismo, ma un messaggio di speranza per tutti coloro che hanno creduto e credono nello splendore e nell'oscurità della nostra condizione umana.