L'intervista Kate Winslet: «Il movimento femminista mi ha dato forza»

fa, ats

8.10.2024 - 17:38

Kate Winslet alle 20esima edizione dello Zurich Film Festival ha presentato il film «Lee», del quale è l'attrice principale nonché produttrice, sulla reporter di guerra Lee Miller (1907-1977).
Kate Winslet alle 20esima edizione dello Zurich Film Festival ha presentato il film «Lee», del quale è l'attrice principale nonché produttrice, sulla reporter di guerra Lee Miller (1907-1977).
Keystone

L'attrice e produttrice britannica Kate Winslet ha presentato alla 20esima edizione dello Zurich Film Festival il suo nuovo film «Lee». Il movimento femminista degli ultimi anni l'ha spinta a realizzare un film biografico sulla reporter di guerra americana Lee Miller.

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Ieri sera Kate Winslet ("Titanic», «The Reader», «The Holiday") era ancora spiritosa e socievole alla premiazione quando le è stato conferito il Golden Icon Award. Oggi nel corso dell'intervista con l'agenzia Keystone-ATS a Zurigo, si è mostrata seria.

Il fatto che «Lee» sia più di un qualsiasi altro film per la 49enne Premio Oscar è evidente dalle sue parole nonché dai gesti. Ad esempio, quando si china pensierosa prima di rispondere, per poi sporgersi un attimo dopo dal tavolo e guardare la sua interlocutrice dritto negli occhi mentre parla.

Con questo ritratto cinematografico indipendente della fotografa di guerra americana Lee Miller (1907-1977), che non si è mai veramente liberata dell'etichetta di «ex-modella» e «musa del fotografo statunitense Man Ray», Winslet vuole lanciare un messaggio chiaro.

Ha lavorato per quasi dieci anni a «Lee». Nel frattempo si è fatto tanto nel movimento femminista. Come hanno influito gli sviluppi sul suo progetto?

Kate Winslet: «Non ho mai dubitato che avrei fatto questo film, ma ci sono stati momenti in cui mi sono chiesta come avrei fatto a gestire tutto. Il movimento femminista degli ultimi anni mi ha sicuramente incoraggiata ad andare avanti. Ma mi ha anche fatto sentire che era giusto prendermi del tempo per la sceneggiatura o per assicurare le finanze. Sì, mi ha dato forza».

Sorprendentemente, il film non si sofferma tanto su quanto debba essere stato difficile per Lee Miller affermarsi in un ambiente dominato dagli uomini.

Winslet: «Non avevamo intenzione di inquadrarlo in quel modo. Per noi era sufficiente mostrare che era una delle pochissime donne fotografe di guerra. L'unicità del suo lavoro era molto più importante per noi. La natura della sua fotografia, il modo in cui usava la sua Rolleiflex per incontrare gli occhi delle persone attraverso di essa».

Esistono documenti che testimoniano come Lee Miller si sentisse una donna del suo tempo?

Winslet: «Ho letto i diari della sua giovinezza. Lee Miller aveva gravi problemi psicologici da adolescente e una bassissima autostima. Il fatto che abbia superato queste difficoltà da adulta è notevole».

In alcune interviste ha dichiarato quanto si senta legata a Lee Miller. Ha preso decisioni che non riesce a comprendere?

Winslet: «A differenza di me, che sono diventata madre per la prima volta a 25 anni, Lee Miller durante la guerra non aveva ancora un figlio. In questo senso, ovviamente, non posso capire tutto. Ma non ho mai messo in discussione le sue decisioni. Forse è anche perché non ho mai messo in discussione la mia convinzione di fare questo film».

Cosa avrebbe potuto imparare Lee Miller da lei?

Winslet: «L'anno prossimo compirò 50 anni, il che è fantastico. E più invecchio, più imparo a cambiare marcia di tanto in tanto. A pensare prima di parlare, per esempio. Non sono diventata più attenta, ma forse più consapevole, per usare una parola un po' banale ma anche adatta. Mi sarei augurata che anche Lee riuscisse a concedersi una pausa».

«Lee» è un film su una donna che è stata a lungo ingiustamente ridotta alla sua carriera di modella. Ma è anche un film sulla guerra. Che ruolo ha per lei alla luce dell'attuale situazione mondiale?

Winslet: «Nei conflitti ci saranno sempre vittime innocenti. L'intenzione di Lee di guardare negli angoli bui, di essere la voce visiva di queste vittime, rimane estremamente importante. Credo che il film ci dia l'opportunità di riconoscere meglio l'importanza del lavoro dei reporter di guerra e di onorarlo».