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«Bötschi domanda» Bernhard Russi: «Questo è sempre stato il mio problema»
di Bruno Bötschi
25.12.2019
È una delle più celebri personalità svizzere. Bernhard Russi parla del suo fatalismo, evoca un’idea che gli piacerebbe sottoporre al Consiglio federale e riflette sul tema della morte.
Siamo al café Sprüngli, sulla Paradeplatz di Zurigo: si siede a tavola e sorride. Bernhard Russi è esile. Pensa sia assurdo che uno sciatore debba avere un fisico possente. Almeno, un tempo non era così. All’epoca, negli anni Settanta, l’agilità era più importante della massa muscolare.
Russi (71 anni) ordina una tartare, mentre il giornalista sceglie un’insalata. Per cominciare, un breve ritorno al passato e un po’ di mal di stomaco.
Signor Russi, oggi ci dedicheremo ad un gioco di domande e risposte: nel corso della prossima mezz’ora le porrò quante più domande possibile e lei risponderà il più rapidamente e spontaneamente possibile. Se una domanda non le piace, dica semplicemente: «Passo».
Ok.
Quando ero bambino, spesso mi veniva mal di stomaco per colpa sua...
… credo di sapere dove vuole andare a parare. Nel corso della mia carriera di sciatore ho vinto «soltanto» dieci gare di Coppa del mondo. Perciò deve aver sofferto abbastanza spesso.
È vero. Ero talmente nervoso durante le discese che mi veniva il mal di stomaco e dovevo quasi andare al bagno a vomitare.
Mi è capitato più spesso di sentire raccontare storie del genere dopo la fine della mia carriera di sciatore. Quando ero in attività, non mi rendevo conto del fatto che i miei tifosi avessero sviluppato una tale empatia, al punto di soffrire quando non vincevo. Oggi posso anche spiegare perché fosse così all’epoca: all’inizio degli anni Settanta la televisione era ancora un nuovo mezzo di comunicazione e le persone erano davvero entusiaste quando gli eventi venivano trasmessi in diretta.
Mia madre era meno entusiasta: riteneva che lei fosse un «seduttore arrogante».
Sorride e si concede un momento per rispondere alla domanda.
Posso immaginare quale sia l’origine di questa antipatia: coloro a cui non piacciono i seduttori li trovano spesso arroganti. Sua madre dovrebbe conoscermi personalmente un giorno: vedremo se manterrà lo stesso giudizio. Un’altra cosa: forse ero un seduttore, ma non mi sono mai considerato una persona perfetta. Quando vincevo, riflettevo sempre sui punti in cui gli altri commettevano degli errori.
Non ho mai dimenticato il titolo di un giornale dell’epoca: «[Franz] Klammer vince, [Bernhard] Russi ha la sciata più elegante».
Questa critica l’ho sentita, di tanto in tanto, durante la mia carriera. A tal proposito, posso raccontare un aneddoto. Uno dei miei primi allenatori un giorno mi ha detto: «Ad ogni salto, devi immaginare che in basso a destra ci sia un fotografo. Allora vedrai che lo farai bene». Il mio allenatore voleva che saltassi attivamente piuttosto che passivamente. E ci sono riuscito.
Grazie allo sport è diventato una persona più giusta?
Il senso della giustizia mi è stato trasmesso dai miei genitori. Con tale concetto, intendo anche il fatto di essere pronti a concedere agli altri e a sé stessi il diritto all’errore. Lo sport mi ha insegnato ad avere un obiettivo e a continuare ad allenarmi duramente dopo le sconfitte.
Ciò significa anche che gli insuccessi l’hanno resa più forte?
Assolutamente sì, ma è anche dovuto al fatto che i miei genitori mi hanno insegnato a non prendermi troppo sul serio, ovvero a mantenere i piedi per terra.
Franz Klammer è davvero uno dei suoi migliori amici oggi?
È vero. Attraverso le nostre sfide sportive ci siamo avvicinati sul piano umano. In particolare durante i Giochi olimpici di Innsbruck del 1976, nel corso dei quali Franz mi ha battuto per un soffio.
Altri sportivi rivali come voi due nel corso delle loro carriere sono rimasti avversari anche in seguito. Perché per voi è stato diverso?
Di certo all’inizio ero deluso per essere arrivato secondo. Ma dal momento che, quattro anni prima a Sapporo, ero diventato invece campione olimpico, poco tempo dopo le cose mi furono più chiare: avevo vinto l’argento e non perso l’oro. Franz Klammer era il miglior discesista del mondo da anni. Sarebbe stato un dramma se non avesse vinto a Innsbruck. Ero già giù, all’arrivo, quando è partito. Quando al primo intermedio mi accorsi che era in ritardo rispetto a me, nel profondo ero combattuto. Una parte di me voleva assolutamente vincere, l’altra diceva: «Non deve succedere, non è giusto che [Franz] Klammer perda».
Bernhard Russi ama raccontare aneddoti. Descrive le cose nel dettaglio e parla volentieri. Vuole rivelare le storie che hanno costruito la sua esistenza. Ed è una bella cosa.
Perché il nome di Bernhard Russi è ancora in voga quarant’anni dopo le sue imprese sportive?
Non saprei dirlo in questo momento. E in ogni caso la soddisfazione personale è ben più importante rispetto all’essere un nome o una celebrità. Ciò che vedo allo specchio, la sera, è una persona e non un qualunque titolone sui giornali o su internet.
«Der Spiegel» l’ha soprannominata «il Clooney delle Alpi».
Suppongo che tale appellativo sia stato un complimento. Anche se non sono di certo bravo a recitare come George Clooney. (ride)
Il capitolo sportivo è terminato, per ora. Adesso cerchiamo di conoscere meglio la persona.
La sua carriera in tv (co-commentatore alla SRF per lo sci alpino per ben 32 anni ndt.): ha avuto fortuna o l’hanno scelta per qualche altro motivo?
Anche in questo caso non posso dare una risposta precisa a questa domanda. Non mi sono presentato alla SRF, la televisione svizzerotedesca, per chiedere di lavorare. Me l’hanno proposto, poi ho maturato la cosa lentamente. Ho sicuramente avuto la fortuna di avere Matthias Hüppi al mio fianco come commentatore a partire dal 1986. Ci capiamo quasi ad occhi chiusi.
Il denaro rende felici?
Non credo. Ma troppo poco denaro può rendere infelici.
Non penso.
Pensa che sia giusto e importante che le persone ricche e famose si impegnino per altre per le quali le cose non vanno altrettanto bene?
Sì. Penso che sia fondamentale badare gli uni agli altri e, se necessario, aiutarsi a vicenda.
Lei è impegnato con l’Aiuto Svizzero alla Montagna e con il Gruppo svizzero per le regioni di montagna. Per quale motivo?
Mi è stato chiesto e ho detto di sì. Io stesso vengo dalla montagna. Amo le montagne. E penso di poter avere voce in capitolo in merito alle difficoltà che alcune persone incontrano in quei luoghi. Allo stesso tempo, c’è molto da fare lassù tra gli alpeggi, è una vita difficile. Ma so che lì le persone trascorrono anche momenti meravigliosi e rilassanti. Non è dunque la compassione che mi ha spronato ad impegnarmi a sostegno delle comunità montane.
Lei è presidente della giuria del Premio Montagna 2019: può spiegarci in due o tre frasi in cosa consiste questo riconoscimento?
Esso punta a premiare i progetti che contribuiscono allo sviluppo delle regioni di montagna. Cosa molto importante, non vengono scelte delle idee, ma delle iniziative già attuate. A cosa servono i progetti se poi non vengono concretizzati?
Un montanaro è più vicino al cielo?
Sì, in teoria.
E in pratica?
Non credo. Ma da lui, lassù tra le montagne, il cielo è più azzurro poiché c’è meno inquinamento luminoso. Possiamo vedere più nitidamente le stelle. E l’aria è più pulita.
Cosa significa per lei la parola «patria»?
La mia patria è il luogo nel quale ho le mie radici. Senza radici, per un essere umano è spesso difficile andare avanti, migliorarsi ed essere soddisfatto.
Quali luoghi in Svizzera sono i più belli?
Mi piacciono le montagne, mi piace l’acqua e mi piace la neve. Tutti i luoghi in Svizzera in cui ci sono queste cose sono belli.
Perché un bambino dovrebbe sciare?
Mi piacerebbe modificare leggermente la sua domanda, nel modo seguente: perché un bambino svizzero dovrebbe praticare sport invernali?
Ok.
La Svizzera ha qualcosa da offrire che molti altri Paesi non hanno, ovvero neve e ghiaccio. E se abbiamo la fortuna di disporre di questi due elementi, allora dobbiamo anche utilizzarli. Se un Consigliere federale volesse realizzare dei grandi progetti e mi chiedesse consiglio, gli suggerirei quanto segue: penso che dovrebbe essere obbligatorio per tutti i bambini del nostro Paese imparare a scivolare sulla neve e sul ghiaccio. Non c’è nulla da temere, il mio suggerimento non punta a renderli degli sportivi di alto livello. Ciò che desidero è semplicemente che i bambini della nostra nazione siano coscienti di tutto ciò che si può fare con la neve e con il ghiaccio.
I rischi che chiede di correre agli altri, Bernhard Russi li ha già corsi in prima persona. Nel 1969, come controfigura, ha inseguito l’agente segreto James Bond rompendosi una mano e una vertebra cervicale. Ma non è mai stato davvero un incosciente. Al contrario, ha rinunciato due volte a scalare il Cervino perché le condizioni meteorologiche si erano deteriorate.
La domanda che tutti gli amanti dello sci elvetici si pongono: perché gli austriaci sono ancora migliori di noi?
Gli austriaci hanno avuto fino a poco tempo fa nella loro squadra Marcel Hirscher, il miglior sciatore del mondo. Inoltre, l’Austria è più grande della Svizzera. E lo sci, lì, è molto più importante. Tuttavia, mi permetto di contestare il fatto che gli austriaci siano così tanto migliori di noi: anche gli svizzeri vincono regolarmente delle gare.
Soffre quando gli svizzeri perdono?
È sempre stato il mio problema in qualità di commentatore alla SRF, la televisione svizzerotedesca. Dovevo rimanere neutro anche se a volte mi piangeva il cuore quando gli svizzeri incassavano una sconfitta. Oggi, fortunatamente, mi posso permettere di vivere diversamente le cose: posso guardare una gara di sci con i miei amici in un caffè e, a seconda dei risultati, esultare o imprecare. Lo trovo divertente.
È vero che quando era un giovane sciatore è andato ad una messa anziché effettuare la ricognizione di una pista?
È vero. Fu in occasione di una gara regionale a Heiligkreuz. Mario Bergamin - uno slalomista di talento che all’epoca faceva parte della nazionale - durante le prove libere mi chiese: «Ci sarà una messa. Vuoi venire anche tu?». Non ci avrei pensato se non mi avesse posto la domanda. Ma dal momento che lo fece, mi dissi che non avrei potuto rispondere di no. Perché altrimenti avrebbe potuto trattarsi di un presagio infausto. Ho ricevuto un’educazione cattolica rigida ed ero convinto del fatto che occorresse andare in chiesa la domenica.
Grazie a tale atto di devozione ha vinto la corsa?
Sono arrivato secondo.
Lei è credente?
Sono stato chierichetto, capo chierichetto e corista di chiesa. Ma quando ho cominciato a diventare grande, a 16 anni, ho cercato di interpretare la teoria della Chiesa in modo meno letterale, meno tradizionale.
Può spiegarci cosa significa?
Sono credente, ma non parlo di Dio nel modo in cui lo fa la Chiesa cattolica. Sono convinto del fatto che esista un potere superiore. Sì, credo che non ci sia solo ciò che vediamo. Penso che esistano delle cose che non comprendiamo e che probabilmente non comprenderemo mai.
Lei prega regolarmente?
No. Chissà, forse ciò ha qualcosa a che vedere con la mia natura fatalista.
Cosa intende?
Per me non deve esserci una spiegazione a tutto. Se potessimo spiegare tutto, le nostre vite sarebbero molto meno appassionanti.
Ottimista o pessimista?
La mia convinzione è la seguente: tutto accade come deve accadere.
Quali sono i complimenti che le ha fatto suo padre, per le sue capacità sugli sci, che non dimenticherà mai?
I montanari non fanno molti complimenti. Se rimangono in silenzio generalmente vuol dire che va tutto bene. Però non dimenticherò mai il momento in cui mio padre, con le lacrime agli occhi, si congratulò con me per il mio primo titolo mondiale. Dopo quegli attimi di felicità, tuttavia, mio padre non tardava a riportarmi con i piedi per terra con un consiglio. Oggi, penso che quei suggerimenti fossero molto più importanti di tutti i complimenti messi assieme.
Suo padre le ha dato dei consigli in tema di donne?
No.
Bernhard Russi ha conservato a lungo l’immagine di un seduttore votato al successo finché un film documentario del 2017 non ha mostrato per la prima volta i lati oscuri della sua vita.
«Mio padre è morto nel momento in cui avevo più bisogno di lui. La mia prima moglie ha perso la vita a causa di una valanga. Mia sorella più piccola è gravemente disabile da quando era bambina. Uno dei miei fratelli è morto improvvisamente a causa di un’infezione. Un altro mio fratello era dotato di un immenso talento per lo sci, ma non è mai riuscito a trovare davvero la sua strada nella vita. Io sono Bernhard Russi. Si dice che sia un seduttore». È con queste parole che comincia il film documentario «Von hohen Gipfeln und dunklen Tälern», andato in onda per la prima volta nel 2017.
Quando la SRF, la televisione svizzera di lingua tedesca mi ha contattato per fare un documentario sulla mia vita, inizialmente l’idea non mi ha entusiasmato. Temevo che 40 anni dopo la mia carriera, ciascuna delle mie vittorie, ogni medaglia, ogni mazzo di fiori e ogni altra cosa tornasse ad essere celebre. Trovavo che ciò non avesse senso.
Ha avuto senso in un’altra maniera. Perché ha parlato per la prima volta dei lati oscuri della sua vita?
Il caso ha voluto che il produttore del documentario, Michael Bühler, mi abbia accompagnato in Corea del Sud a ridosso dei giochi olimpici invernali del 2018 per un progetto consacrato allo sport. A Pyeongchang, ero responsabile della costruzione della pista di discesa libera. Durante quella settimana, non abbiamo mai smesso di parlare di questioni private. Finché non ha finito per chiedermi: «Sua sorella è sposata?». Gli ho quindi raccontato la sorte di mia sorella. Dopodiché, mi ha domandato: «Come mai nessuno lo sa?». Ho risposto: «Perché nessuno me lo ha mai chiesto». In quel momento, mi sono reso conto che il film avrebbe potuto essere utile per coloro che pensano che Bernhard Russi abbia sempre successo. Ne ho avuto e ne ho ancora molto, ma esiste anche un’altra parte della mia vita.
Con l’età, voleva modificare la sua immagine di seduttore?
No, al contrario. Per molto tempo, mi sono chiesto se fosse giusto andare a trovare mia sorella a casa per il film. Per decidermi ho chiesto consiglio al personale che la accudisce. Anche mia moglie mi ha aiutato in questo senso. Alla fine, ho capito una cosa: le persone disabili fanno parte delle nostre vite, non dobbiamo metterle da parte. Esattamente come non posso mettere da parte mio fratello, anche se era alcolista.
Poco tempo dopo la messa in onda del film, ha dichiarato: «Penso che mi abbia aiutato a digerire le cose».
Confesso di fare parte di coloro che rifuggono da ciò che fa male. Tendo a bloccarmi, a scappare. Forse è legato al mio fatalismo. Perché dovrei arrovellarmi su cose che non possono essere modificate? In questo senso, devo dire che, dopo che il film è stato trasmesso, mio fratello non ha più bevuto una sola goccia d’alcol».
Il tempo guarisce tutte le ferite?
Non so se il tempo guarisca tutte le ferite, ma ne guarisce.
Quale allenamento raccomanda per la testa?
La cosa più importante è percepire con coscienza la natura.
Ha letto un buon libro questa estate?
No. (Ride) Adesso mi ha preso in contropiede, non sono un gran lettore. Lo confesso apertamente. Ho letto dei libri che molte persone avranno letto. Ma non l’ho fatto durante questa estate.
Cosa consiglia alle persone di più di cinquant’anni che finora non hanno fatto molto sport?
È ora che queste persone comincino a muoversi. E tutti coloro che lo fanno non devono di certo fermarsi a cinquant’anni. Albert Einstein un giorno ha detto: «La vita è come andare in bicicletta: bisogna andare sempre avanti per non perdere l’equilibrio». Una frase meravigliosa.
Cosa pensa del fatto che tutti vogliano invecchiare, ma nessuno voglia essere vecchio?
È qualcosa di profondamente radicato nel DNA umano. L’essere umano vuole sempre migliorarsi. Quale animale scalerebbe una montagna sulla cui vetta non c’è nulla da mangiare? Soltanto l’uomo fa questo genere di cose.
Che importanza ha il movimento fisico per lei, oggi, rispetto ad un tempo?
Ha sempre la stessa importanza, anche se ovviamente, a 71 anni, non ho la stessa mobilità di quando ne avevo 20.
La rattrista il fatto di non poter più gareggiare sulla Streif a Kitzbühel?
La Streif è una pista di discesa libera molto speciale. Per questa ragione, nella maggior parte dei casi gli sciatori sono contenti di non doversi più lanciarsi giù lungo quel tracciato, alla fine della carriera. Io sono uno di quelli.
E il Lauberhorn a Wengen?
Il tracciato del Lauberhorn è più semplice tecnicamente, ma non per questo è più facile vincere lì. Mi piacerebbe tagliare ancora una volta il traguardo.
Bellissimo, grazie! Ma, ancora una volta, dobbiamo tornare ad un classico. Passiamo a delle domande sulla morte nella parte finale.
Le capita mai di pensare al fatto di poter diventare davvero vecchio, se non addirittura malridotto?
No.
Qual è il suo consiglio personale per invecchiare con dignità?
Non smettere di vivere. (Ride) Essendo fatalista, non ho ancora riflettuto molto sulla morte.
È membro di un’organizzazione di accompagnamento alla morte?
No.
Ha espresso delle direttive in caso di condizioni terminali?
Sì, l’ho fatto, certo.
Ha fatto testamento?
L’ho fatto in parte. Per ciò che resta, ho fiducia nelle nostre leggi.
Il fatto che alla fine si debba morire secondo lei è qualcosa di cinico?
Chiunque venga al mondo non deve trovare cinico il fatto di dover, un giorno o l’altro, andarsene. Credo che gran parte di ciò che possiamo vivere nel corso delle nostre esistenze sarebbe ben meno prezioso se la vita non avesse una fine.
Cosa dobbiamo aspettarci di leggere un giorno sulla sua lapide?
Niente. Non voglio una lapide.
Le sue ceneri saranno disperse in montagna?
Molto probabilmente, ma non voglio deciderlo io stesso. Sarà la mia famiglia a farlo, un giorno.
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