Alle porte del Ticino La peste suina minaccia il settore della produzione di carne

Red / pab

23.1.2022

Immagine d'illustrazione.
Immagine d'illustrazione.
archivio Ti-Press / Samuel Golay 

La peste suina africana (PSA) è arrivata in Italia, alle porte del Ticino, dalla Georgia. Il virus si diffonde rapidamente ed è letale per gli animali. Il problema è serio perché potrebbe causare grandi danni economici nella Penisola e avere ripercussioni anche alle nostre latitudini, come sottolineato dagli esperti alla RSI.

Red / pab

La peste suina africana (PSA) è, come spiega l'Ufficio del veterinario cantonale ticinese, una malattia virale estremamente contagiosa che colpisce suini domestici e cinghiali. È incurabile e letale.

«La trasmissione del virus avviene per contatto con animali infetti o con i loro prodotti. L'uomo gioca un ruolo centrale nella propagazione della PSA trasportando il virus su lunghe distanze per mezzo di oggetti contaminati (ad es. stivali), veicoli, prodotti carnei e movimentazione di animali vivi».

Giova specificare che non è pericolosa per l'uomo e nemmeno per altre specie animali, ma potrebbe causare gravi perdite economiche nel settore che si occupa della produzione e della vendita di carne qualora dovesse arrivare negli allevamenti di suini.

Il tema è stato venerdì al centro del discorso della trasmissione d'approfondimento giornalistico Modem di Rete Uno.

Il focolaio in Italia: «Situazione estremamente grave»

In Italia il virus, che secondo il sito del Ministero della salute italiano è presente dal 2014 in Polonia, Germania, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Grecia, Lituania, Romania, Ungheria e Bulgaria, è arrivato via gomma dalla Georgia. Lo hanno confermato le analisi di laboratorio su una ventina di carcasse.

La peste suina africana è presente in diversi Paesi, soprattutto dell'Est Europa. I puntini rossi indicano gli allevamenti di suini colpiti, in blu dove la peste (per ora) ha colpito i cinghiali. La carta riporta i dati del 21 gennaio 2022.
La peste suina africana è presente in diversi Paesi, soprattutto dell'Est Europa. I puntini rossi indicano gli allevamenti di suini colpiti, in blu dove la peste (per ora) ha colpito i cinghiali. La carta riporta i dati del 21 gennaio 2022.
Screenshot dell''istituto germanico che si occupa del tema, il Friedrich-Loeffler-Institut. (www.fli.de)

«La situazione è estremamente grave. Ci è capitata la cosa peggiore che potesse capitarci», ha dichiarato ai microfoni della RSI Roberto Moschi, responsabile del servizio veterinario dell'Azienda ligure sanitaria della regione (ALISA).

Le autorità sono state costrette a confinare la zona infetta, con estrema cautela: «Siamo stati più larghi di quanto prevedono i regolamenti. Partiamo dai comuni rivieraschi fino a tutta la regione di Alessandria. Un'area di oltre 2'000 km quadrati».

Zona «isolata» per sei mesi, ma non solo

Le severe misure adottate per prevenire un'ulteriore diffusione del virus messe in atto dai Ministeri della salute e dell'agricoltura includono il divieto totale di utilizzare i boschi dei 110 comuni toccati. Per sei mesi sono vietati quindi caccia, pesca, trekking, passeggiate in bicicletta, gite per cercare tartufi o funghi. 

Sono stati pure presi provvedimenti drastici per il mondo suino: sono state ordinate macellazioni immediate (che saranno risarcite dallo Stato) e vietato il ripopolamento per lo stesso periodo di tempo.

«Moriranno tutti in pochi giorni»

Come indica Moschi, queste misure servono a non far muovere i cinghiali. «Devono rimanere lì, non vanno disturbati. In questo modo, è brutto da dire, nel giro di pochissimi giorni tutti quelli infetti moriranno. Quando poi sarà sicuro che il virus resterà confinato in quella zona boschiva, ci sarà un'abbattimento selettivo di tutto quello che c'è», conclude il responsabile dell'ALISA.

Il numero di cinghiali in tutta Italia è altissimo, almeno 2,3 milioni di esemplari. Gli esperti spiegano il fenomeno con la cattiva gestione della fauna degli ultimi anni, regolamentata con una legge vecchia di 30 anni, abbinata all'incuria dilagante dei boschi e all'abbandono dei rifiuti, che attirano gli animali nelle zone urbane.

Gravi conseguenze per l'economia

La paura che la situazione ha creato ha già avuto effetti economici nefasti. Numerosi Paesi, come Giappone, Cina e Messico, hanno bloccato le importazioni dall'Italia.

Il direttore dell'Associazione industriale delle carni e dei salumi (ASSICA) Davide Calderone spiega che questo è molto grave, poiché l'Italia è «il primo Paese al mondo per esportazione di carni e di salumi» e quindi il danno per la mancata importazione è enorme, stimato in 20 milioni di euro al mese.

Si tratta di un problema importante anche perché il settore dà lavoro a 100'000 persone e vale dai 7 ai 9 miliardi di euro. Si contano 4'000 allevamenti e 8,5 milioni di capi all'anno.

«La carne italiana, che ad esempio non può andare sul mercato cinese, si riversa su quello europeo, quindi sale l'offerta e il prezzo scende», termina Calderone.

Il Ticino mantiene un occhio vigile

Per ora la Confederazione, seguendo le direttive dell'UE, ha fermato solamente le importazioni dalla zona in questione, ma non dal resto dell'Italia.

Ma la paura per la peste suina africana è presente anche in Ticino, come ha confermato alla RSI il veterinario cantonale Luca Bacciarini: «La preoccupazione legata al virus vi era già quando aveva colpito la Germania nel 2020, quindi non può che crescere ora che ce lo troviamo fuori di casa, a 130 km».

Giova ricordare che nel 2018 la PSA è stata riscontrata in Belgio, che è riuscito a eradicare la malattia solo con grandi sforzi logistici ed economici e solo due anni dopo, sul finire del 2020.

Bacciarini ha concluso così: «La situazione è delicata e bisogna intervenire in modo corretto per non far espandere la malattia. La cosa più importante per il Ticino e la Svizzera è la prevenzione».