Grigioni Quando in Val Fex e in Bregaglia i rifugiati venivano respinti

anve, ats

15.11.2024 - 15:37

Dal 1943 al 1945 l'Hotel Helvetia vernne usato come campo di internamento.
Dal 1943 al 1945 l'Hotel Helvetia vernne usato come campo di internamento.
Keystone

Nel libro «Grenz-Erfahrungen» Mirella Carbone e Joachim Jung hanno svolto ricerche sul contrabbando in Val Bregaglia e nella Val Fex fra il 1930 e il 1948. Il ritrovamento di documenti molto rari sull'arrivo di profughi durante la Seconda guerra mondiale ha dato una svolta alle indagini. Domani il libro verrà presentato al centro di formazione Salecina.

Paesaggi idilliaci incorniciati da vette imponenti. Se si pensa alla Val Fex in Alta Engadina e la Val Bregaglia sono probabilmente queste le prime immagini che vengono in mente. Ma queste vallate durante la Seconda guerra mondiale sono state testimoni di storie tragiche.

«Dopo la nostra ricerca, guardiamo a queste regioni con occhi diversi», racconta la co-autrice del libro «Grenz-Erfahrungen», Mirella Carbone, a Keystone-ATS. All'inizio Carbone e suo marito, Joachim Jung, entrambi collaboratori dell'Istituto di ricerca sulla cultura grigionese, avevano pensato di scrivere un libro sul contrabbando.

Un fenomeno, sul quale le ricerche finora si concentravano quasi esclusivamente sul Ticino e la Valposchiavo. Con le loro indagini volevano quindi fare luce sulla situazione in Val Fex e in Val Bregaglia.

Ma poi hanno fatto una scoperta unica: hanno trovato dei documenti d'archivio delle guardie di confine della Val Fex. Un fatto straordinario, se si pensa che la maggior parte della documentazione delle dogane svizzere è sparita o è stata distrutta alla fine del conflitto.

Le testimonianze scritte a mano sono un ritrovamento storico, che documenta l'arrivo e l'espulsione di persone in cerca di rifugio in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale. Questi aprono un nuovo sguardo sulla politica d'asilo e la tradizione umanitaria elvetica a quei tempi.

Un quarto dei profughi respinti

«Nei documenti abbiamo trovato 202 nomi», racconta Carbone. «Un quarto di queste persone sono state respinte subito. Le guardie di confine certe volte scrivevano che gli davano da mangiare, li facevano riscaldare e poi, anche di notte, li rispedivano da dove erano venuti». E così queste persone ripartivano verso le montagne, ripercorrendo sentieri impervi, passi che superavano i 2500 metri di quota. Stremati lasciavano la Svizzera, e la speranza di un posto sicuro.

Un fenomeno quasi inesistente fino al 1943, anno in cui l'Italia firmò l'armistizio con gli alleati. Quando i tedeschi vennero a saperlo, invasero l'Italia settentrionale. «Da quel momento sia i cittadini ebrei che tanti soldati che non volevano più combattere per il governo fascista e a fianco dei tedeschi fuggirono dall'Italia», racconta Carbone.

«Sono cifre irrisorie, se le paragoniamo a quelle del Canton Ticino», spiega la co-autrice. «Ma se prendiamo il caso della Val Fex come un termine di paragone per tutta la Svizzera, ci rendiamo conto quanto fosse rigida e restrittiva la politica elvetica in materia d'asilo».

Otto testimonianze

Gli autori sono riusciti a contattare alcuni dei rifugiati, che allora erano bambini. Invece di percorrere le vie rischiose per raggiungere la Val Fex, viaggiarono attraverso la Valtellina fino ad arrivare in Val Bregaglia. Fra di loro c'era una comitiva di 12 persone fuggite dalla Jugoslavia alla ricerca di rifugio in Svizzera.

Il gruppo, formato da due anziani, sette adulti e cinque bambini, si presentò alla dogana di Castasegna il 13 settembre 1943. «Abbiamo intervistato tre persone, adesso anziane, che si ricordano perfettamente le ore passate nella scuola di Castasegna e la disperazione negli occhi dei loro parenti», spiega Carbone. Nella notte arrivò un barlume di speranza.

«Un soldato disse alla famiglia che avrebbe provato ad aiutarli. Conosceva un avvocato a Coira che avrebbe potuto dargli una mano.» Grazie a quel milite, le guardie di confine fecero un'eccezione e lasciarono entrare i profughi ebrei in Svizzera.

L'Hotel Helvetia, un'altra scoperta inaspettata

I due scrittori hanno trovato delle testimonianze anche fra la popolazione locale. Particolarmente toccante è quella di Sonia Bandli-Maurizio di Vicosoprano. «I suoi genitori gestivano il Crotto Albigna. Ci raccontò che quando aveva nove anni entrò in contatto con uno degli internati dell'Hotel Helvetia», continua a raccontare Carbone.

La storia della struttura, oggi sede dell'EWZ, è stata un'altra scoperta inaspettata. Dall'ottobre del 1943 al 1945 fu usata come campo di internamento per uomini anziani, soprattutto ebrei, non più abili al lavoro. In alcuni periodi ospitò fino a 140 persone.

«Quest'uomo fece nel taccuino, in cui la bambina raccoglieva pensieri e disegni di amici e parenti, un disegno ad acquerello, che ricorda i dipinti di Chagall. Sul foglio accanto aggiunse una citazione di Dante contenuta nella Divina Commedia: 'Nessun dolore più grande che ricordarsi del tempo felice nella miseria'. Veramente commovente».

Grazie a questo ritrovamento, Mirella Carbone e Joachim Jung sono riusciti a ricostruire la storia dell'avvocato tedesco Hans Eltzbacher.

Il libro in lingua tedesca di oltre 500 pagine ha riscosso molto successo finora. La prima stampa di 700 esemplari è già esaurita, la casa editrice «Hier und Jetzt» sta stampando la seconda.

Domani sera i due autori presenteranno la loro ricerca al Centro di formazione Salecina a Maloja.

anve, ats