MigrazioneDopo la morte dell'asilante suicida, la comunità afgana ticinese è sotto shock
SwissTXT / amo
15.7.2023
Quella di sabato è stata una giornata di raccoglimento per la comunità afghana ticinese, per via della tragica morte di Arash, il 20enne che qualche giorno fa è morto suicida nel centro per richiedenti l'asilo di Cadro. Un giornalista della RSI ha incontrato alcuni suoi amici.
SwissTXT / amo
15.07.2023, 19:00
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Dopo il suicidio al centro d'accoglienza di Cadro di un giovane richiedente l'asilo, Nicola Lüönd, un giornalista della RSI, ha avuto modo di incontrare alcuni membri della comunità afgana ticinese.
«Il meno che si possa dire – spiega – è che sia una comunità scossa, ancora sotto shock per la scomparsa violenta del giovane. Scossa ma anche un po' arrabbiata per come non si sia riusciti a impedire il suicidio del giovane uomo, che da circa un anno era ospite del centro di Cadro dopo essere transitato da quello di Paradiso».
La comunità afgana è anche un po' arrabbiata, continua a spiegare il giornalista, perché non è la prima volta che subisce delle perdite in questo modo, vale a dire il suicidio: infatti già negli ultimi due anni altri due giovani si sono tolti la vita. L'unica differenza con Arash era che loro non si trovavano più in uno dei centri d'accoglienza cantonali, ma erano già in degli appartamenti privati.
«È stato un momento difficilissimo»
Come rende noto l'emittente di Comano, oggi, sabato, ha avuto luogo una cerimonia commemorativa per il giovane, che la comunità afgana ha preferito trascorrere in privato, senza la presenza dei media.
Prima che iniziasse però, Lüönd è riuscito a conversare con tre giovani che vivono o hanno vissuto la stessa esperienza di Arash e che ai microfoni della RSI hanno condiviso i loro pensieri e dato la loro versione dei fatti.
«Da quando ho sentito la notizia non riesco più a dormire; ho mille pensieri: era un ragazzo giovane, aveva la mia età», racconta uno di loro. «È stato un momento difficilissimo», concorda un altro. «Non riuscivo a crederci: scappiamo dalla guerra per arrivare qui e poter costruire il nostro futuro la nostra vita, e quindi è stato veramente incredibile».
Non mancano le accuse
Da parte dei ragazzi non mancano d'altra parte le accuse, soprattutto per come è stata gestita la situazione: «Cadro (il centro, ndr) lo vedo un po’ come una prigione. I responsabili mandano i ragazzi lì un po’ come fosse una punizione: per me non è accettabile. Arash aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse psicologicamente. Aveva bisogno di qualcuno per parlare, mentre mandandolo da solo a Cadro, in una camera, si peggiora la situazione», afferma uno dei tre giovani ai microfoni della radiotelevisione.
E aggiunge che, da ciò che hanno capito, Arash era stata mandato in ospedale, ma a loro avviso né la medicina e né i farmaci potevano essere utili, quando in realtà c'era bisogno che qualcuno lo prendesse meglio a carico.
«Non sputiamo nel piatto in cui mangiamo. Rispettiamo il Cantone per l’aiuto che ci ha dato. Arash aveva un permesso F, se avesse avuto un permesso B sarebbe stato seguito di più, perché con il permesso F non puoi fare praticamente niente».
La replica della Croce Rossa
Oltre ad aver raccolto queste testimonianze, la RSI ha chiesto anche una replica alla Croce Rossa Svizzera, Sezione Sottoceneri, che gestisce per il Cantone i centri di Cadro e Paradiso. L'emittente radiotelevisiva ha riportato integralmente la risposta scritta:
«Capiamo la tristezza e la rabbia per quanto accaduto e siamo molto vicini alla famiglia e ai suoi cari. Non vogliamo entrare nel dettaglio della storia di chi non c’è più per rispetto della sua persona e dei suoi famigliari. Allo stesso tempo non vogliamo entrare neanche nel dettaglio delle storie dei suoi amici, che hanno parlato alla radio esprimendo le loro comprensibili forti emozioni, perché teniamo a tutelare le loro vite e le loro storie. Non possiamo che restare addolorati per questo triste evento».