Guerra in Medio Oriente Strage alla chiesa di Gaza, Hamas libera due ostaggi americani

SDA

20.10.2023 - 21:10

I palestinesi ispezionano il sito dove c'era una chiesa greco-ortodossa, distrutta in seguito agli attacchi aerei israeliani su Gaza City.
I palestinesi ispezionano il sito dove c'era una chiesa greco-ortodossa, distrutta in seguito agli attacchi aerei israeliani su Gaza City.
KEYSTONE

Mentre Hamas annuncia la liberazione di due ostaggi americani, madre e figlia, le bombe sulla chiesa di San Porfirio a Gaza riaccendono le polemiche su un conflitto che diventa sempre più sanguinoso.

Il tutto aggravato dal persistente blocco del valico di Rafah, tra l'Egitto e la Striscia, che tuttavia dovrebbe aprire – ha annunciato il presidente americano Joe Biden – «in 24-48 ore» con l'ingresso dei primi 21 camion di aiuti.

Il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, che oggi era presente sul posto, ha usato toni affranti per descrivere la situazione: «È impossibile essere al valico di Rafah e non avere il cuore a pezzi. Dietro queste mura ci sono due milioni di persone a Gaza senza acqua, cibo, medicine, carburante. Da questa parte, questi camion hanno ciò di cui hanno bisogno. Dobbiamo far spostare, il prima possibile, quanti sono necessari».

La liberazione degli ostaggi un atto dimostrativo

La liberazione dei due ostaggi – grazie ad una mediazione del Qatar – è stata decisa da Hamas «per dimostrare al popolo americano quanto siano errate le affermazioni di Biden e della sua amministrazione fascista».

Y. R. (59 anni) e la figlia N. (18 anni), a quanto pare anche cittadine israeliane, erano arrivate in Israele per celebrare le festività ebraiche di Sukkot e sono state prese e rapite da Hamas nell'attacco al kibbutz di Nahal Oz lo scorso 7 ottobre. Affidate dai miliziani alla Croce Rossa, in serata sarebbero già arrivate in Egitto.

«Un crimine di guerra» perpetrato da Israele

Sulla chiesa di San Porfirio, Hamas, il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme e la Caritas hanno accusato Israele, il cui attacco, a loro dire, avrebbe provocato la morte di «almeno 17 persone». L'esercito dello Stato ebraico ha ammesso solo di aver colpito un muro adiacente al luogo religioso da dove partiva il lancio di razzi.

La vicenda di San Porfirio, chiesa ortodossa nel quartiere di Sajayia di Gaza, rappresenta molto bene – com'è successo per il controverso bombardamento dell'Ospedale battista della città – lo stato attuale del conflitto. La Caritas internazionale ha fatto sapere che oltre i 17 morti ci sono «altre persone ancora sotto le macerie». Poi ha condannato «con forza il bombardamento arbitrario e deliberato di civili e infrastrutture civili».

Il Patriarcato ortodosso da Gerusalemme ha definito «un crimine di guerra» quello perpetrato da Israele: «Prendere di mira le chiese e le loro istituzioni, insieme ai rifugi che forniscono per proteggere cittadini innocenti, in particolare bambini e donne, costituisce un crimine di guerra che non può essere ignorato».

Mentre il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pizzaballa, ha lanciato l'allarme anche sui 500 rifugiati nella chiesa latina di Gaza City: «Il rischio c'è perché sappiamo che la zona e il quartiere sono obiettivi militari. Gli avvertimenti sono arrivati».

«Stiamo esaminando l'incidente»

La ricostruzione da parte di Hamas e delle istituzioni religiose è stata contestata dall'esercito israeliano. Il portavoce militare Daniel Hagari ha riconosciuto solo di «aver colpito un muro vicino» alla chiesa in un attacco aereo sulla zona.

Poi ha spiegato che l'aviazione israeliana stava conducendo raid «contro un centro di comando e controllo dell'organizzazione terroristica usato per il lancio di razzi e colpi di mortaio».

«Sappiamo che ci sono state delle vittime e stiamo esaminando l'incidente», ha aggiunto Hagari, ribadendo comunque l'accusa ad Hamas di collocare «di proposito le sue postazioni in aree civili usate dai residenti di Gaza».

L'offensiva di terra sempre più vicina

La situazione sul campo tende ad accreditare come sempre più vicino l'ingresso delle truppe di terra israeliane nell'enclave palestinese. I raid ripetuti su Gaza e l'invasione sono – ha spiegato il ministro della Difesa Yoav Gallant – la prima delle tre fasi individuate da Israele per abbattere Hamas e stabilire un nuovo regime politico nella Striscia.

Alla frontiera nord nel frattempo il clima è sempre più di conflitto aperto tra Israele e gli Hezbollah, che dal sud del Libano continuano a lanciare razzi oltre confine: 30 solo questa mattina. Per questo è stato deciso di evacuare di evacuare la cittadina di Kiryat Shmona, nel nord del Paese.

Il rilascio delle due statunitensi non ha poi modificato di molto il quadro complessivo degli ostaggi: Israele ritiene che siano 203, «ancora in vita», nelle mani di Hamas, delle altre fazioni palestinesi e anche di singoli individui entrati nei kibbutz di frontiera a rimorchio dei miliziani. Tra loro ci sono 30 minori o adolescenti e altri 20 sono anziani. Ma l'esercito stima anche tra i 100 e i 200 dispersi israeliani.

Mentre il bilancio dei morti si aggrava ancora nella Striscia: il ministero della Sanità di Hamas ne ha contati 4137, con oltre 13'000 feriti e circa 1400 persone ancora sotto le macerie. In Israele le vittime sono oltre 1400 e i feriti quasi 5000, con 48 in gravi condizioni.

Il venerdì di preghiera nel mondo islamico ha registrato proteste limitate di piazza, senza incidenti di rilievo. Domani al Cairo occhi puntati sulla conferenza internazionale promossa dal presidente egiziano al Sisi per rilanciare il «processo di pace nella regione».

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