Medio Oriente Netanyahu vuole fermarsi a Gaza, ma non sa come fare?

SDA

7.11.2024 - 22:22

Il governo israeliano ha festeggiato la schiacciante vittoria di Donald Trump negli Usa mentre Benyamin Netanyahu ha fatto un rimpasto di governo piazzando nei posti chiave ministri che non si metteranno di traverso.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu
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La destituzione del titolare della Difesa, a cui l'Alta Corte non si è opposta respingendo le petizioni contrarie, ha di fatto rafforzato la coalizione estromettendo la spina nel fianco Yoav Gallant.

Che in giornata si è tolto due sassolini dalle scarpe, riferendo ai familiari dei rapiti che soltanto Bibi detta le decisioni per trattare sulla liberazione degli ostaggi e che l'Idf sta restando a Gaza senza motivo poiché tutti gli obiettivi sono stati raggiunti.

Tuttavia, fanno notare gli analisti israeliani, supporre che il voto americano abbia spianato la strada al premier su qualsiasi decisione è un'ipotesi lontana dalla realtà.

Pensare che il primo ministro abbia le mani libere in virtù dei buoni rapporti con the Donald non è immaginabile. Funzionari vicini al governo hanno riferito al Times of Israel l'impazienza di Bibi di mettere fine alla guerra e andare avanti al più presto sull'accordo con Riad.

Non è così facile finire la guerra

Ma, pur essendo l'Arabia Saudita al primo posto dell'agenda mediorientale degli Usa oltre che di Gerusalemme, la via è incerta e lastricata di trappole.

A cominciare dalle modalità con le quali porre fine alla campagna di Gaza. Il conflitto non può finire finché Hamas non libererà gli ostaggi e continuerà a insistere sul mantenimento del potere nella Striscia.

E Netanyahu, dicono i commentatori più accorti, sa che non ci sarà nessun tavolo negoziale se prima non riporta a casa i rapiti.

Ma cosa ne pensa Trump?

Il premier israeliano deve poi fare i conti con le parole di Trump, secondo cui «le guerre le vuole finire e non iniziare»: un primo messaggio anche per Bibi, e non di facciata.

E il futuro vicepresidente Usa, James David Vance, pur facendosi fotografare con il fucile in mano, nei suoi discorsi ha fatto intendere che la futura politica estera statunitense darà la priorità ad evitare i conflitti e non privilegerà la vittoria degli alleati.

Inoltre il tycoon ha già dimostrato in passato di non gradire l'attività dei coloni: quando Netanyahu ha cercato di estendere la sovranità a tutti gli insediamenti e di annettere la Valle del Giordano nel 2020, Trump non l'ha sostenuto.

Il grattacapo Iran

Insomma, checché se ne dica, Netanyahu dovrà essere molto cauto con la nuova amministrazione, che non lo attaccherà platealmente come quella attuale ma sarà più interessata a una diplomazia basata sugli accordi commerciali che su operazioni belliche.

Il problema ora per Netanyahu è come arrivare alla tregua, con quali modalità. Intanto Joe Biden cederà il posto a Donald Trump il 20 gennaio e, secondo le stime, la guerra e lo scontro diretto con l'Iran non finiranno prima dell'insediamento del presidente eletto.

Anzi, un segnale preoccupante è arrivato oggi dall'annuncio di un incontro tra Netanyahu e il capo dell'opposizione Yair Lapid su questioni di sicurezza: colloqui che di solito avvengono alla vigilia di operazioni importanti.

Ecco alcuni scenari sull'Iran, che continua a far la voce grossa

Che qualcosa si stia muovendo sul fronte di Teheran lo dice pure l'invio di almeno sei F-15 da parte degli Usa diretti alla base aerea di Muwaffaq Salti, in Giordania.

Dopo che la scorsa settimana il Pentagono ha mandato in Medio Oriente diversi bombardieri B-52 Stratofortress, in grado di trasportare bombe anti-bunker, in evidente sostegno a Israele.

Ora, anche se attaccare direttamente l'Iran con la presidenza agli sgoccioli appare davvero improbabile, potrebbe anche essere che Biden decida un colpo di coda nelle ultime settimane del suo mandato ordinando al suo esercito di partecipare alle azioni dell'Idf contro la repubblica islamica. Scenari, certo.

Ma indicativi dell'impasse in cui si sono cacciati Israele da una parte e Washington dall'altra nei dodici mesi passati.

Teheran, da parte sua, continua a fare la voce grossa snobbando il neoeletto presidente Usa, ma i danni ingenti subiti nell'ultimo attacco dell'Idf e Trump in arrivo alla Casa Bianca sono motivo di forte preoccupazione, se non di paura, come dicono gli analisti internazionali.

SDA