Medio Oriente Netanyahu prende tempo sull'Iran, il primo Yom Kippur in guerra da 50 anni

SDA

11.10.2024 - 20:36

Proiettili lanciati dal Libano meridionale verso Israele, come si vede da una località non divulgata in Galilea.
Proiettili lanciati dal Libano meridionale verso Israele, come si vede da una località non divulgata in Galilea.
KEYSTONE

Dopo le cinque del pomeriggio, Israele si è immerso nel silenzio dello Yom Kippur, il giorno dell'espiazione, per la prima volta in guerra nella data più sacra del calendario ebraico da 51 anni a questa parte, quando il primo ministro Golda Meir informò la nazione che era stata improvvisamente attaccata su due fronti dagli eserciti di Egitto e Siria e «il Paese era in guerra per la sua esistenza».

Era il 1973. Nel giro di 20 giorni le Forze di difesa israeliane (Idf) riuscirono a riprendersi dalla sorpresa passando al contrattacco, arrivando con le sue truppe a 40 chilometri da Damasco, mentre a sud Ariel Sharon costringeva gli egiziani alla resa.

Mezzo secolo dopo, Benjamin Netanyahu ripete che Israele «è in guerra per la sua esistenza» contro Hamas, Hezbollah, Houthi, jihadisti siriani e iracheni che vorrebbero distruggerlo. Tutti sostenuti e mandati da Teheran.

Ma a 11 giorni dall'attacco missilistico iraniano – che è riuscito a colpire due basi militari e quasi a raggiungere il quartiere generale del Mossad – il premier sembra stia prendendo tempo sulla risposta militare da restituire alla Repubblica islamica.

La riunione notturna del gabinetto di governo e di sicurezza di giovedì sera, durata quattro ore, non è arrivata al voto sul piano di attacco all'Iran. Sono filtrate indiscrezioni secondo cui ci sarebbero state diverse schermaglie tra ministri sostenitori di Netanyahu e il titolare della Difesa Yoav Gallant. Ma nella sostanza, la decisione non c'è stata.

Il premier ha interamente in mano il bastone del comando

Con il risultato che l'attendista Netanyahu ha dimostrato di avere interamente in mano il bastone del comando. Prima ha umiliato Gallant impedendogli di volare a Washington per incontrare il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin ponendo due condizioni irrinunciabili: una telefonata con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, con cui non si sentiva da quasi due mesi, e una riunione del gabinetto di sicurezza per autorizzare lui e il ministro della Difesa a decidere su tempi e modalità dell'attacco in territorio iraniano (Gallant probabilmente partirà la prossima settimana, ma con un pacchetto operativo già stabilito dal premier).

Poi gli Stati Uniti sono stati costretti a cedere consentendo il colloquio telefonico e il presidente ha dovuto dichiarare che «Israele ha il diritto di difendersi».

Nonostante le differenze trapelate dopo la conversazione di una quarantina di minuti, in cui Biden non ha fatto mistero con il primo ministro della sua frustrazione per «la mancata trasparenza di Israele sui suoi piani», e ovviamente del veto a un eventuale attacco a siti nucleari o petroliferi degli iraniani.

Ipotesi che ha letteralmente terrorizzato i Paesi del Golfo, in previsione di una ritorsione di Teheran sui loro impianti di estrazione del greggio se Netanyahu mettesse davvero in atto le sue minacce.

L'operazione contro l'Iran potrebbe scattare in ogni momento

Insomma, l'operazione contro l'Iran – che il primo ministro ha annunciato ufficialmente da giorni e che preoccupa mezzo mondo per i possibili esiti, non ultimo quello di un aumento globale dei prezzi a un mese dalle elezioni Usa – potrebbe scattare in ogni momento, ma il momento a Netanyahu sembra apparire un concetto temporale dilatato e incerto.

Così come poco chiari, contesta l'opposizione israeliana al primo ministro, sono gli obiettivi della guerra a Gaza e della manovra di terra nel sud del Libano.

Poiché lo sradicamento dei due gruppi fondamentalisti, pur essendo progredito dal punto di vista militare – le perdite di Hamas e Hezbollah sul campo sono evidenti –, è un traguardo inarrivabile, come ha avuto a dire lo stesso Gallant.

Gli attacchi in Libano continuano

Il capo di stato maggiore Herzi Halevi, in visita alle truppe nel sud del Libano, ha detto che Israele ha sette divisioni che stanno operando su due fronti: tre nella Striscia (dove oggi è rimasto ucciso un sergente dell'Idf) e quattro nel Libano meridionale. Gli attacchi alle postazioni di Hezbollah a sud del fiume Litani hanno addirittura inasprito il numero di lanci di razzi sul nord di Israele.

In giornata i miliziani sciiti, nonostante vengano bersagliati da terra e da cielo, sono riusciti a sparare più di 150 ordigni sulla Galilea. Provocando distruzione e morte. Oggi è stato ucciso un lavoratore thailandese in un kibbutz, giovedì altri due civili quarantenni.

In serata il capo dell'ufficio stampa di Hezbollah Mohammad Afif ha dichiarato in una conferenza stampa nella periferia sud di Beirut, con le macerie degli edifici alle spalle, che la priorità «è sconfiggere Israele militarmente», ma l'organizzazione è aperta a qualsiasi tentativo di fermare «l'aggressione».

L'esercito libanese intanto ha denunciato l'uccisione di due suoi militari nel sud, mentre fonti anonime hanno riferito ai media che il cosiddetto ministro della Difesa di Hezbollah Wafiq Safa, colpito ieri sera dai caccia israeliani a Beirut ovest, sarebbe in fin di vita.

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