Uccisioni e contrabbandoLe prigioni statunitensi sono sovraffollate
di Christiane Jacke, dpa
31.10.2019
Le prigioni americane sono sovraffollate
A Jackson, in Georgia, un detenuto cambia cella e trasporta il proprio materasso.
Immagine: Keystone
Al momento del loro ingresso, i detenuti si fanno tagliare i capelli dal barbiere della prigione.
Immagine: Keystone
Gli Stati Uniti sono secondi al mondo per numero di detenuti rispetto alla popolazione: 706 persone ogni 100'000 abitanti. Soltanto alle Seychelles il dato è più elevato, con 799 persone incarcerate.
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Sono circa 2,2 milioni le persone recluse negli Stati Uniti. Secondo l'Ufficio federale delle prigioni a Washington, vi lavorano 35'000 guardie, ovvero una ogni 62 detenuti.
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Le prigioni americane sono sovraffollate
A Jackson, in Georgia, un detenuto cambia cella e trasporta il proprio materasso.
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Al momento del loro ingresso, i detenuti si fanno tagliare i capelli dal barbiere della prigione.
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Gli Stati Uniti sono secondi al mondo per numero di detenuti rispetto alla popolazione: 706 persone ogni 100'000 abitanti. Soltanto alle Seychelles il dato è più elevato, con 799 persone incarcerate.
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Sono circa 2,2 milioni le persone recluse negli Stati Uniti. Secondo l'Ufficio federale delle prigioni a Washington, vi lavorano 35'000 guardie, ovvero una ogni 62 detenuti.
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Il caso Jeffrey Epstein ha sollevato numerosi interrogativi sulle prigioni statunitensi quest'estate. In nessun altro Paese del mondo vengono incarcerate così tante persone come negli Stati Uniti. Le condizioni di detenzione sono a volte drammatiche. Una dipendente del sistema carcerario racconta la propria quotidianità.
La morte di Jeffrey Epstein nel mese di agosto in una prigione federale newyorkese ha acceso i riflettori sulle condizioni di detenzione nelle carceri a stelle e strisce. Il ricco uomo d'affari, accusato di abusi sessuali, si è suicidato impiccandosi nella sua cella.
Progressivamente, i dettagli hanno consentito di far luce su ciò che non è andato per il verso giusto: le guardie avrebbero in particolare infranto le regole, non sorvegliando Epstein per parecchie ore. Questo caso, del quale si è parlato molto, mostra tuttavia soltanto la punta dell'iceberg di un sistema carcerario, in molti casi in grande difficoltà.
Paula Chavez deve fronteggiare questa realtà ogni giorno. Lavora da dodici anni in una prigione federale del Texas, nella quale sono reclusi più di 1300 uomini. Prima, era insegnante in una scuola. Oggi ha 48 anni e tiene dei corsi per i detenuti in diverse materie, cercando di prepararli ad una vita normale quando avranno scontato la loro pena. È questo l'obiettivo del suo lavoro, spiega.
Paula Chavez deplora il fatto che nel corso degli anni il numero di dipendenti della prigione sia calato considerevolmente, il che comporta pesanti conseguenze. Ci sono molti casi di violenza tra i detenuti, racconta: «Non possiamo proteggerli. Non siamo neppure in grado di proteggere i dipendenti».
Il numero di aggressioni contro questi ultimi è sensibilmente aumentato negli ultimi tempi, prosegua Paula Chavez. Anche suo figlio lavora nel carcere. Lo scorso anno è stato aggredito mentre cercava di confiscare un telefono cellulare ad un detenuto. Quest'ultimo, assieme ad altri uomini, lo ha picchiato e ferito gravemente. E anche altri colleghi hanno vissuto esperienze simili.
Impotenti di fronte al contrabbando
Clifton Buchanan è rappresentante dei dipendenti dei penitenziari federali del Texas e degli Stati vicini. Lamenta un problema di mancanza di personale in numerose carceri. Secondo il suo parere, molti impiegati sono sovraccarichi di lavoro e soffrono di stress professionale, dal momento che la pressione su di loro è enorme.
Così, la frustrazione di Paula Chavez e dei suoi colleghi è crescente: «Riusciamo giusto a garantire che non evadano. Ma non siamo realmente in grado di controllarli. Non ci riusciamo», spiega, facendo riferimento ai detenuti.
Dal suo punto di vista, è impossibile porre fine al contrabbando di stupefacenti e di telefonini, nonché alla diffusione della pedopornografia. In realtà, i cellulari sarebbero vietati in carcere: «Ma il numero di detenuti che ne ha uno - ammette - è più alto rispetto al totale di coloro ne sono sprovvisti. Non ha senso». Non c'è sufficiente personale per perquisire le celle ed effettuare le confische, aggiunge Chavez.
In due occasioni nel corso degli ultimi mesi, dei droni hanno sganciato dei pacchi pieni di telefoni cellulari, schede SIM e sigarette all'interno della prigione, rivela la dipendente. In entrambi i casi la consegna è stata scoperta. Ma nessuno sa quanti siano i pacchi che sono invece entrati nella prigione - con l'aiuto di alcuni dipendenti - senza essere intercettati.
Droga ovunque
Anche gli stupefacenti riescono ad attraversare in quantità enormi le mura del carcere, si lamenta Chavez, aggiungendo che più volte alla settimana alcuni detenuti devono essere portati in infermeria a causa di un consumo eccessivo di droga.
Se la fanno consegnare direttamente in prigione, anche se è proprio qui che dovrebbero riuscire ad abbandonarla: «Non ha alcun senso». Inoltre, gli stupefacenti aumentano l'aggressività tra gli stessi detenuti.
«Non abbiamo abbastanza personale per garantire la loro sicurezza», afferma Paula Chavez, che sottolinea come il personale dedicato ai programmi di reinserimento sia ancor più insufficiente. Secondo il suo parere, quando liberati, i prigionieri si ritrovano in condizioni peggiori rispetto a quando erano arrivati. E non c'è una vera riabilitazione sociale, aggiunge.
Secondo la dipendente, le autorità non fanno nulla da anni e le cose cambiano solo lentamente.
L'organismo che gestisce le prigioni federali non risponde alle domande poste da chi denuncia la situazione. Dopo la morte di Jeffrey Epstein, la stessa autorità è stata subissata da ogni tipo di richiesta d'informazioni, arrivate anche dal dipartimento di Giustizia e dal Congresso.
Triste record mondiale
Nessun altro Paese al mondo presenta un numero di detenuti così alto. Più di 2,1 milioni di persone sono incarcerate negli Stati Uniti. Secondo la classifica internazionale stilata regolarmente dall'università di Londra, si tratta di un record mondiale, sia come valori assoluti che in rapporto alla popolazione.
Anche dei crimini relativamente minori, come nel caso di alcuni illeciti legati agli stupefacenti, possono portare a lunghi periodi di detenzione negli Stati Uniti. Il Paese a stelle e strisce da molto tempo lotta contro il sovraffollamento carcerario.
Alla fine dello scorso anno è stata approvata una riforma che punta a rendere più semplice la liberazione anticipata per chi è rinchiuso in una prigione federale, nonché a migliorare il reinserimento degli ex detenuti nella società.
Tuttavia, appunto, la norma riguarda unicamente i penitenziari federali, nei quali sono presenti solo 180'000 dei 2,1 milioni di appartenenti alla popolazione carceraria. Il dipartimento di Giustizia ha annunciato alla metà di luglio uno sconto di pena per oltre 3100 detenuti nel quadro di tale riforma. Si tratta di un inizio, nulla di più.
Un rapporto descrive il sistema come «difettoso»
Intanto, negli Stati Uniti le denunce in merito alle condizioni delle prigioni si moltiplicano da tempo. Qualche mese fa, ad esempio, alcune informazioni giunte dall'Alabama hanno sollevato un polverone.
Il dipartimento di Giustizia ha presentato un rapporto nel quale vengono rivelate situazioni terribili nei penitenziari dello stato: violenze, stupri, suicidi, aggressioni sessuali e torture tra detenuti. Il tutto, spesso, senza alcun intervento da parte del personale. Nel rapporto, si parla di «sistema difettoso» in tutto l'Alabama. Ma la situazione è giudicata allarmante anche altrove.
Non è raro infatti che negli Stati Uniti le persone possano morire in prigione per cause non naturali. Secondo i dati ufficiali, sono circa mille i detenuti uccisi nelle carceri americane tra il 2001 e il 2014, mentre oltre 3000 prigionieri si sono suicidati nello stesso periodo. Non sono state diffuse cifre più recenti.
Quanto accaduto a Jeffrey Epstein quest'estate, insomma, ha suscitato indignazione. Ma non si tratta di un caso isolato.
Eugen Weidmann fu l'ultimo criminale ghigliottinato in pubblico
Eugen Weidmann fu l'ultimo criminale ghigliottinato in pubblico
Il serial killer tedesco Eugen Weidmann fu ghigliottinato il 17 giugno 1939 davanti alla prigione Saint-Pierre di Versailles, in Francia.
Immagine: Getty Images
Sempre vestito e pettinato in maniera impeccabile, Eugen Weidmann era stato soprannominato dai media l'«assassino dallo sguardo di velluto». Mentre era in prigione, avrebbe ricevuto numerose lettere d'amore.
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Eugen Weidmann il 21 dicembre 1937, dopo un interrogatorio seguito al suo arresto: l'uomo finì per confessare i sei omicidi commessi per avidità insieme all'aiuto di alcuni complici.
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Dopo l'arresto di Eugen Weidmann, folle di gente si riunirono a Saint-Cloud, nella periferia di Parigi.
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La gente voleva vedere la villa presa in affitto dal «mostro della Voulzie».
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In occasione dell'esecuzione, i media raccontarono di scene quasi da festa popolare. In seguito le esecuzioni pubbliche furono abolite dal Primo ministro francese Edouard Daladier.
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