Ci siamo di nuovo, a Oakland. Sulla Broadway, la via commerciale principale della città sulla San Francisco Bay, e nelle vie laterali del centro, poche ore prima che la giuria si riunisse per deliberare ferveva l’attività con seghe, trapani e martelli davanti alle vetrine e alle facciate dei negozi.
Si stavano montando assi per proteggere attività commerciali e sedi societarie, ristoranti e bar, ingressi agli edifici residenziali e anche il municipio. «Le avevamo tolte qualche mese fa, ma ci aspettiamo nuove proteste», ha affermato un operaio su una scala presso la sede principale della Clorox, società che produce beni di consumo. «È un lavoraccio, ma capisco la protesta, così non si può andare avanti».
Con «così» l’operaio, che non ha voluto rivelare il suo nome, si riferiva al problema che dura da decenni dell’esercizio della forza – spesso letale – da parte della polizia nei confronti delle persone di colore, soprattutto dei neri. Le proteste di massa che si sono scatenate a Minneapolis lo scorso maggio a seguito della morte di George Floyd soffocato dal ginocchio del poliziotto bianco Derek Chauvin, per diffondersi poi in tutta l’America e infine in tutto il mondo, si erano sopite a settembre.
Oakland si stava preparando a nuove proteste. Per molti, soprattutto neri della città e del resto d’America, non c’è alcun dubbio – non da ultimo per via del brutale video del fatto mostrato all’infinito – che Chauvin si sia reso colpevole quantomeno dell’uccisione illegale del nero che stava in manette bocconi sull’asfalto. Per molti era perciò altrettanto certo che si sarebbe arrivati, come è successo martedì, a un giudizio di colpevolezza. Ma di rado i poliziotti bianchi che vessano, maltrattano o uccidono persone nere vengono chiamati a risponderne o accusati, ancora più raramente accade che vengano condannati.
«Anch’io sono assolutamente frustrato e scoraggiato»
«La faccenda sembra abbastanza chiara e già prima del verdetto credevo che sarebbe stato assolto», afferma Adi Taylor. «Ma l’ho pensato in occasione di molti di questi casi eclatanti di violenza della polizia contro i neri, e ogni volta mi sbagliavo». Il comproprietario di quattro bar alla moda di Oakland è seduto davanti al suo nuovo Sand Bar nei quartieri alti della città. Prima era un concessionario d’auto, come quelli che occupano molti fabbricati di questo tratto della Broadway, per questo chiamata «Auto Row». Al banco del Sand Bar si può effettuare l’ordinazione, ma per via della pandemia le bevande devono essere consumate all’esterno, nel parklet appositamente realizzato.
Taylor beve un sorso del suo cocktail, sorride rassegnato e tira su nuovamente la mascherina. «Una cosa è certa: se Chauvin ne fosse uscito impunito, la gente sarebbe stata giustamente furente e ci sarebbero state proteste».
In quanto proprietario di un esercizio, non lo entusiasma la prospettiva di un’escalation della protesta, ma capisce le reazioni della gente. Anche perché è nero. «Anch’io sono assolutamente frustrato e scoraggiato per il fatto che oggi, tutti i giorni persone di colore vengono vessate e uccise da poliziotti. Alla luce del giorno, davanti a telecamere in funzione, alla presenza di altri poliziotti che non intervengono, dinanzi a cittadini che devono stare a guardare più o meno impotenti».
Il tranquillo 48enne, cresciuto nella vicina Berkeley, racconta la vita quotidiana da nero in America. «Quando un’auto della polizia spunta dietro la mia, sono subito in ansia, perché il rischio che io venga fermato solo per via del colore della mia pelle, che i poliziotti si avvicinino alla mia auto arma in pugno e che la situazione subisca un’escalation è molto alto». È solo questione di fortuna, niente di più, se finora non gli è successo nulla del genere.
La polizia come minaccia
Ad esempio non chiamerebbe la polizia se qualcuno gli entrasse in casa con lui presente. Troppo grande il pericolo, in quanto nero, di essere scambiato dagli agenti sopraggiunti sul posto per lo scassinatore anziché per il padrone di casa, con il rischio di gravi conseguenze. Questo è uno dei tanti esempi del monopolio di Stato nell’uso unilaterale della forza, di cui gran parte dei bianchi non hanno idea perché difficilmente li riguarda. Difficilmente sanno anche che molti neri in America non chiamerebbero il numero d’emergenza della polizia nemmeno in casi urgentissimi, perché spesso il pericolo maggiore per loro viene proprio dalla polizia.
Nemmeno un giudizio di colpevolezza a carico di Chauvin cambierà qualcosa di tutto ciò: la violenza della polizia e il fenomeno della «death by cop» sono e restano una realtà nella vita quotidiana americana, soprattutto per le persone di pelle scura... Solo dall’inizio delle deposizioni dei testimoni nel processo contro Chauvin il 29 marzo, i poliziotti negli Stati Uniti hanno ucciso ogni giorno almeno tre persone.
La violenza della polizia è da decenni una delle più frequenti cause di morte per i neri. Dal 2015, stando a un censimento del «Washington Post», 1497 neri sono morti in occasione di interventi della polizia (dato al 17 aprile 2021). I neri, che non rappresentano nemmeno il 13 per cento della popolazione statunitense, costituiscono il 27 per cento delle persone uccise dalla polizia.
Il dato corrisponde a 36 morti su un milione di abitanti. Il numero di bianchi uccisi è pari a 2884, dato che, raffrontato alla popolazione, corrisponde a 15 vittime ogni milione di abitanti. I neri quindi vengono uccisi da agenti di polizia in misura più che doppia rispetto ai bianchi. Inoltre i neri vengono controllati, arrestati e ritenuti colpevoli più spesso e – al confronto – anche puniti più severamente.
Discriminazione geografica approvata dallo Stato
Circa il 24 per cento degli abitanti di Oakland è nero, una percentuale nettamente superiore a quella di gran parte delle città degli Stati Uniti dell’Ovest. La tendenza è però in calo per via dell’afflusso di impiegati benestanti dei gruppi tecnologici della vicina Silicon Valley, che spingono alle stelle i canoni d’affitto e i prezzi degli immobili. Nel 1966 la città di 435.000 abitanti ha ospitato la costituzione del Black Panther Party e continua a essere un centro dell’attivismo nero e dell’arte nera.
È anche un classico esempio della discriminazione geografica approvata in America dallo Stato. Mentre tra le verdi colline di Oakland sono soprattutto i bianchi a godersi, dalle loro costose abitazioni, la vista sulla baia di San Francisco, i neri sono stati confinati fin dagli anni Trenta in quartieri meno graditi e deliberatamente svantaggiati della parte pianeggiante della città.
Ancora oggi i quartieri abitati prevalentemente da neri e latini e i quartieri di East Oakland si distinguono in modo impressionante da quelli dei bianchi. Sono più poveri, presentano più criminalità e più inquinamento ambientale, scuole peggiori, dispongono di infrastrutture deteriorate, i negozi di generi alimentari sono pochi, ma in cambio a ogni angolo di strada si trova un fast-food di qualche catena e negozi di alcolici. Nei loro quartieri i neri vengono inoltre controllati con un apparato di polizia da molto tempo militarizzato, che continua ad applicare l’anticostituzionale racial profiling.
Ma anche negli altri quartieri, soprattutto in quelli abitati prevalentemente da non-neri, c’è da stare attenti. «Quando passo in auto o a piedi sulle Oakland Hills, so che vengo considerato un outsider e una minaccia, dagli abitanti e dalla polizia», dichiara un amico di Taylor che si è accomodato nel parklet. «Non importa se indosso un completo e sono al volante di una Porsche. L’unica cosa che conta è il colore della mia pelle».
Poliziotti non obbligati a rendere conto delle loro azioni
Sarebbe ingenuo ritenere che una pronuncia di colpevolezza nei confronti di Derek Chauvin rappresenti un progresso in termini di giustizia o per la riforma della polizia, avvertono anche gli attivisti di «Black Lives Matter» e di altri movimenti.
«Da decenni osserviamo uomini, donne e bambini neri uccisi dalla polizia, e i poliziotti coinvolti non hanno alcun dovere di rendere conto delle loro azioni. Quindi con la condanna di Derek Chauvin da parte di un sistema fondamentalmente iniquo non è vera giustizia», sostiene Zach Norris, giurista e amministratore dell’Ella Baker Center for Human Rights.
L’organizzazione lotta per prevenire la violenza, per la riforma del diritto penale minorile, che permette di condannare persino i bambini a pene severissime e all’ergastolo, e per una diminuzione della violenza della polizia.
Gli uffici si trovano nel sobborgo di Fruitvale, a pochi metri dalla fermata della metro dove la notte di Capodanno 2009 Oscar Grant fu ucciso con un colpo di arma da fuoco da un agente della società di trasporti pubblici BART. Un agente piantò un ginocchio sulla testa del disarmato Grant, lo gettò a terra e gli mise le manette, poi un secondo agente uccise il 22enne bocconi sul marciapiede sparandogli alla schiena.
All’epoca Norris partecipò alle marce di protesta per l’uccisione di Grant. «La polizia non ostacola la criminalità, esattamente come una condanna di Chauvin non impedirebbe alla polizia di continuare a uccidere persone disarmate», sostiene l’attivista nero. «Per rendere le nostre comunità più sicure e mettere fine alle uccisioni di neri tollerate dallo Stato, dobbiamo concentrarci su soluzioni per le comunità, non sul sistema punitivo. Non ha senso sperare di ottenere giustizia andando in questa direzione».
«Defund the Police»
Norris punta l’attenzione su uno spostamento fondamentale di risorse dalla polizia a favore di investimenti in comunità interessate, programmi e servizi con cui si possano contrastare razzismo e discriminazione consolidati da secoli in ambiti quali quello sanitario, dell’istruzione, degli alloggi, dell’ambiente, della concessione di crediti o del lavoro. Ovunque negli Stati Uniti le autorità danno mandato alla polizia di reagire alle situazioni che coinvolgono il consumo problematico di droghe, i senzatetto, i problemi di salute mentale e la povertà, invece di finanziare servizi e personale qualificati da impiegare in quei casi, ha dichiarato criticamente Human Rights Watch lo scorso anno.
Dozzine di organizzazioni lavorano da molto tempo a riforme in tal senso e dalla morte di George Floyd si sono fatti più pressanti gli appelli a un’attività di polizia totalmente ripensata. All’insegna dello slogan «Defund the Police» gli attivisti chiedono di fatto da decenni lo scioglimento di singoli corpi di polizia, il che suscita una fortissima opposizione soprattutto negli ambienti conservatori. Ancora più numerose sono però le organizzazioni che auspicano un massiccio taglio delle risorse, che dovrebbero essere invece investite in altre soluzioni e servizi.
Più di 30 Stati hanno approvato, da quel terribile giorno di maggio a Minneapolis, oltre 140 nuove leggi per la riforma della polizia e la vigilanza sulla sua attività. Le leggi spaziano dalla limitazione dell’uso della forza, alla revisione delle misure disciplinari, a una maggiore vigilanza civile sulla polizia e trasparenza in casi di comportamenti illeciti.
Ma come lamenta Norris, casi sempre nuovi, come l’uccisione del nero Daunte Wright non lontano da Minneapolis pochi giorni fa, o del tredicenne latino Adam Toledo a Chicago, o il caso del sottotenente nero dell’esercito in uniforme, recentemente trascinato fuori dalla sua auto in Virginia ed arrestato da poliziotti con armi in pugno e utilizzo di spray al peperoncino, mettono seriamente in dubbio l’efficacia di queste novità.
Nuove proteste dopo altre uccisioni
Lo scorso venerdì sera, il giorno dopo l’incontro con il proprietario del Sand Bar Adi Taylor, centinaia di dimostranti hanno protestato a Oakland contro l’uccisione di Wright e Toledo. Alcuni vandali si sono uniti alla manifestazione. Qualche vetro è andato in frantumi ed è stato dato fuoco a un’auto e a mucchi di rottami. Sabato mattina Taylor ha precauzionalmente apposto alle finestre del bar dei pannelli di compensato. Ma domenica non li aveva ancora montati.