Wikileaks Spiraglio per Assange, ma l'estradizione è solo rinviata

SDA

26.3.2024 - 20:22

Uno spiraglio per la battaglia di libertà di Julian Assange, ma limitato, reversibile, tutt'altro che blindato. La giustizia britannica lascia accesa solo a metà, per mano dell'Alta Corte di Londra, l'ultima speranza del giornalista e attivista australiano 52enne, richiuso da 5 anni nella tetra galera di massima sicurezza londinese di Belmarsh, di poter sfuggire alla contestatissima procedura di estradizione negli Usa: superpotenza che gli dà la caccia senza tregua da quasi tre lustri, rinfacciandogli «la colpa» di aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato contenenti non poche rivelazioni imbarazzanti, anche su crimini di guerra commessi fra Afghanistan e Iraq.

Un manifestante tiene un cartello dopo che Stella Assange, moglie del fondatore di Wikileaks Julian Assange, ha rilasciato una dichiarazione fuori dalla Royal Courts of Justice, a Londra, martedì 26 marzo 2024. Due giudici dell'Alta Corte hanno dichiarato che concederanno ad Assange un nuovo appello a meno che le autorità statunitensi non diano ulteriori garanzie su cosa gli accadrà. Il caso è stato aggiornato al 20 maggio.
Un manifestante tiene un cartello dopo che Stella Assange, moglie del fondatore di Wikileaks Julian Assange, ha rilasciato una dichiarazione fuori dalla Royal Courts of Justice, a Londra, martedì 26 marzo 2024. Due giudici dell'Alta Corte hanno dichiarato che concederanno ad Assange un nuovo appello a meno che le autorità statunitensi non diano ulteriori garanzie su cosa gli accadrà. Il caso è stato aggiornato al 20 maggio.
KEYSTONE/AP Photo/Alberto Pezzali

Atteso per un mese dopo le due udienze di febbraio, il verdetto dell'Alta Corte ha rovesciato il no opposto in prima istanza all'ammissibilità di un estremo appello da parte della difesa del cofondatore di WikiLeaks, fissando la discussione di merito al 20 maggio.

Il collegio si è tuttavia riservato di tornare sui suoi passi se le autorità americane e britanniche saranno in grado nelle prossime tre settimane di fornire «rassicurazioni» meno labili e più vincolanti su una serie di garanzie: a cominciare da una sorta d'impegno formale a non condannare a morte Assange, esito d'altronde inverosimile anche per i più pessimisti e che rappresenterebbe una vergogna inaudita di fronte al mondo (mentre Mosca già coglie la palla al balzo per bollare questo caso come «una farsa» giudiziaria).

I giudici Victoria Sharp e Adam Johnson hanno riconosciuto in effetti come non infondate soltanto una parte delle argomentazioni degli avvocati difensori sui timori per la vita e i diritti fondamentali di Assange in caso di consegna al braccio secolare americano.

Di qui la singolare richiesta di due rassicurazioni nero su bianco – a mezza strada fra l'intimazione e la scappatoia – sul trattamento dell'ex primula rossa oltre Oceano: quella di non finire nelle mani del boia e quella – più realistica e utile per la strategia difensiva – sulla possibilità di appellarsi al Primo Emendamento della Costituzione sulla tutela della libertà di espressione.

Sospesi i termini previsti per l'estradizione

Il risultato è che per il momento vengono sospesi i termini previsti dalla procedura britannica in base ai quali – se quest'ultimo ricorso fosse stato definitivamente rigettato – l'estradizione, già autorizzata a livello politico, sarebbe dovuta diventare esecutiva entro 28 giorni.

Resta comunque sullo sfondo l'incubo di un trasferimento ancora più che plausibile negli Usa, dove Julian, secondo i suoi sostenitori, rischia sulla carta una pena monstre fino a 175 anni di carcere, per quanto i rappresentanti di Washington lo neghino in concreto, essendo stata sollevata contro di lui persino l'accusa di violazione del vetusto Espionage Act del 1917: legge draconiana mai applicata per vicende di pubblicazione mediatica di documenti segreti.

Preoccupano le condizioni di salute di Assange

Mentre a preoccupare sono pure le condizioni di salute del ricercato, provato da 12 anni di vita da recluso (prima murato in una stanza dell'ambasciata dell'Ecuador, poi in prigione) tanto da non aver potuto presenziare neanche in video alle udienze di febbraio.

A meno che le prossime settimane non possano servire davvero a concretizzare quel fantomatico negoziato evocato dalla stampa statunitense di recente su un patteggiamento stando al quale l'artefice di WikiLeaks si dovrebbe piegare a dichiararsi colpevole (senza crederci) del reato minore di cattiva gestione d'informazioni classificate per evitare la mannaia della legge sullo spionaggio; e magari ottenere la libertà immediata, visti i quasi 5 anni di detenzione preventiva già scontati a Londra.

Dal fronte pro Assange, l'avvocata Jennifer Robinson ha accolto se non altro come una leva «importante» il riferimento nel dispositivo alla libertà di espressione, dicendo di non credere che gli Usa possano dare garanzie adeguate al riguardo dopo che Amnesty International ha liquidato come «intrinsecamente inaffidabili» tutte le loro precedenti rassicurazioni su questo caso; mentre qualche barlume di ottimismo parziale è venuto pure dal premier australiano Anthony Albanese e dall'ex leader laburista britannico Jeremy Corbyn.

Decisamente più sfiduciata, viceversa, la pur combattiva moglie sudafricana di Julian, Stella Assange, legale di formazione, secondo la quale di positivo nella sentenza c'è il riconoscimento della «minaccia» ad alcuni diritti fondamentali del marito e della sua potenziale «discriminazione» come cittadino non americano; ma lascia «allibiti» il fatto che i giudici si siano riservati di revocare il via libera all'appello laddove fra tre settimane «gli Usa presentino una semplice dichiarazione politica per dire che è tutto ok»: dichiarazione che «non varrebbe la carta su cui fosse scritta» per le sorti e la sopravvivenza di «un prigioniero politico (paragonato più volte da Stella ad Alexei Navalny) e giornalista perseguitato solo per aver rivelato al mondo i veri costi delle guerre».