Nella metropoli di Shenzhen, nel Sud della Cina, nessuno esce più senza mascherina protettiva...
... il che, ovviamente, vale anche per i doganieri alla frontiera con Hong Kong. La causa: il coronavirus.
Un migliaio di chilometri separano Shenzhen, città natale di Crystal situata nel Sud, da Wuhan, centro nel quale è apparso per la prima volta il virus.
Per ora, come spiega a «Bluewin» una giovane cittadina cinese, le autorità hanno diramato soltanto delle raccomandazioni per la popolazione di Shenzhen. Tra queste, la necessità di restare il più possibile a casa. È per questo che si vede sempre meno gente nelle strade.
La 31enne è in ogni caso convinta del fatto che le autorità saranno in grado di gestire l'epidemia. In questa foto, una ricercatrice lavora su un principio attivo a Tianjin.
Così il virus influisce sulla vita di tutti i giorni
Nella metropoli di Shenzhen, nel Sud della Cina, nessuno esce più senza mascherina protettiva...
... il che, ovviamente, vale anche per i doganieri alla frontiera con Hong Kong. La causa: il coronavirus.
Un migliaio di chilometri separano Shenzhen, città natale di Crystal situata nel Sud, da Wuhan, centro nel quale è apparso per la prima volta il virus.
Per ora, come spiega a «Bluewin» una giovane cittadina cinese, le autorità hanno diramato soltanto delle raccomandazioni per la popolazione di Shenzhen. Tra queste, la necessità di restare il più possibile a casa. È per questo che si vede sempre meno gente nelle strade.
La 31enne è in ogni caso convinta del fatto che le autorità saranno in grado di gestire l'epidemia. In questa foto, una ricercatrice lavora su un principio attivo a Tianjin.
Benché il focolaio del coronavirus sia situato a dodici ore di strada, l'agente patogeno si fa sentire anche a Shenzhen. Un'informatica descrive per «Bluewin» le conseguenze sulla sua vita quotidiana.
A dire il vero, Crystal aveva in programma dei viaggi. L'informatica originaria di Shenzhen, all'estremo Sud della Cina, voleva approfittare delle vacanze dopo il capodanno cinese per visitare il Nord della nazione asiatica. Avrebbe voluto recarsi nella Mongolia Interna, come spiega nel corso di un'intervista a «Bluewin». L'idea di vedere la neve la emozionava già.
Ma il coronavirus le ha messo i bastoni tra le ruote. Il focolaio si trova a Wuhan, a migliaia di chilometri dalla città natale di Crystal, ma tre giorni prima della partenza sono state adottate le prime misure di precauzione anche a Shenzhen. È con grande dispiacere che la donna di 31 anni ha dunque annullato il proprio volo.
Nessun timore
«Non ho paura», afferma Crystal. Si dice solo un po' preoccupata: «Non per me stessa, ma per il fatto che non mi piace vedere il mio Paese in difficoltà». Per gli abitanti della provincia di Hubei, la più colpita, la situazione è certamente complicata, aggiunge la donna. Venerdì 31 gennaio sono stati contabilizzati altri decessi dovuti al coronavirus, il che porta il bilancio complessivo a 213 morti in Cina.
A Shenzhen, ci si attiene per ora alle raccomandazioni delle autorità. Gli abitanti sono incoraggiati a restare a casa e a prendersi cura di loro stessi. Tuttavia, uscire in strada non è vietato e i negozi sono ancora aperti. Crystal, in ogni caso, passa la maggior parte del tempo nel suo appartamento. Non vuole essere costretta a respirare a lungo con una mascherina, e non vuole uscire senza indossarla: «Non voglio preoccupare gli altri».
Per altro, non è facile procurarsi delle maschere di protezione, afferma. Per comprarne quindici, ha dovuto sborsare l'equivalente di 9,40 franchi. E ha sentito dire che alcuni commercianti praticano prezzi esorbitanti, benché il governo della provincia di Guangdong abbia adottato delle misure particolarmente stringenti per lottare contro il fenomeno, spiega Crystal. Gli abitanti sono stati inoltre invitati a segnalare i negozi che praticano prezzi fuori mercato.
Strade vuote
A causa dell'epidemia di coronavirus, le ferie di capodanno della donna sono state prorogate. Lei stessa spiega che non potrà probabilmente tornare al lavoro prima del 9 febbraio. Il che, visto dalla Svizzera, potrebbe sembrare qualcosa di più gradevole rispetto alla realtà: Crystal ne ha infatti abbastanza di dover restare chiusa in casa. Nel corso della conversazione con «Bluewin», passeggia e approfitta della giornata soleggiata; benché non ci sia - spiega - molta gente in strada.
Crystal è convinta che le autorità cinesi stiano gestendo l'epidemia. Anche i suoi amici nella provincia di Hubei, la più colpita, sono fiduciosi e calmi. Lei nei è certa: «Presto sconfiggeremo il virus».
Proprio questo mercoledì è stata diffusa la notizia secondo la quale un'equipe di scienziati australiani ha per la prima volta riprodotto il coronavirus in laboratorio. Questo fatto potrebbe contribuire alla lotta contro la propagazione mondiale della patologia.
Epidemia di overdose negli Stati Uniti
Epidemia di overdose negli Stati Uniti
Prescritti come antalgici dai medici, gli oppioidi sono responsabili di una forte dipendenza. Troppo spesso, i consumatori americani continuano ad assumere eroina e fentanyl.
Le cifre sono drammatiche: nel corso degli ultimi anni negli Stati Uniti, secondo i dati del National Institute on Drug Abuse (NIDA), 115 persone al giorno sono morte in seguito a un’overdose di oppioidi, tra cui analgesici, eroina e fentanyl sintentico. «È molto più forte dell’eroina, a volte 500 volte più forte. Ciò significa che bastano piccolissime quantità che possono essere facilmente inviate per posta negli Stati Uniti», ha dichiarato Volkow.
Il presidente statunitense Donald Trump ha già decretato come «emergenza sanitaria» l’epidemia di overdose da oppioidi che devasta il paese. Per lottare contro questo flagello, vuole ricorrere alle maniere forti, secondo alti funzionari del governo: alcuni trafficanti di droga in futuro potrebbero essere condannati a morte, stando alla volontà del presidente.
In piazza, alcuni cittadini manifestano contro la politica statunitense in materia di lotta contro gli stupefacenti.
Una volontaria raccoglie siringhe usate in un campo per senzatetto abbandonato a Everett, nello Stato di Washington. Negli Stati Uniti, il 70% delle persone che sviluppano una dipendenza dall’eroina hanno cominciato a consumarne attraverso analgesici oppioidi prescritti.
I trattamenti medici esistenti, come il metadone, prodotto sostitutivo somministrato qui a un paziente, sarebbero utilizzati soltanto nel dieci per cento dei casi. Ciò sarebbe dovuto, tra le altre cose, a una mancanza di risorse e di offerte di trattamento, oltre che a una «terribile stigmatizzazione».
Nel Tennessee, un manifesto promuove una clinica di disintossicazione. Negli Stati Uniti, milioni di persone sono considerate dipendenti dagli oppioidi.
A Jeff McCoy (a destra) diversi anni fa è stato prescritto un oppioide, il Vicodin, dopo un’operazione alla schiena. Nel giro di un anno, questo autista, che ha dovuto rinunciare al suo lavoro per via dei problemi alla schiena, aveva sviluppato una dipendenza.
In seguito è riuscito a uscirne e ora si occupa della sua casa.
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