Non ci sono soffiate o rivelazioni da parte di un pentito alla base della cattura di Matteo Messina Denaro, boss di Cosa Nostra ricercato da 30 anni per molti reati gravi. È stato preso grazie a un'indagine tradizionale. Nella notte trovato e perquisito pure il suo covo. Ecco i particolari più importanti.
Dopo aver cercato in un primo momento di fuggire, Matteo Messina Denaro non ha opposto resistenza all'arresto.
L'operazione ha coinvolto diversi agenti del ROS, il Raggruppamento Operativo Speciale.
Il boss Matteo Messina Denaro al momento dell'arresto in Sicilia.
La foto ufficiale pubblicata dai carabinieri di Matteo Messina Denaro dopo la sua cattura.
Matteo Messina Denaro è stato catturato, dopo una fuga durata quasi 30 anni. Nella foto l'ultimo identikit del capomafia trapanese, latitante ormai dal 1993.
Nella foto distribuita dall'ufficio stamp ail 27 marzo 2014 l'ultimo identikit del capomafia trapanese Matteo Messina Denaro, latitante ormai dal 1993. Il Gico della Guardia di Finanza l'ha elaborato al computer grazie alle descrizioni fornite da un confidente che, recentemente, ha incontrato il boss di Castelvetrano.
Una foto composita che mostra un'immagine generata al computer rilasciata dalla Polizia italiana, a destra, e una foto del boss mafioso Matteo Messina Denaro. La polizia italiana haarrestato lunedì 16 gennaio 2023 il latitante numero 1 in Italia, il boss della mafia siciliana Matteo Messina Denaro, in fuga da 30 anni.
La cattura di Matteo Messina Denaro
Dopo aver cercato in un primo momento di fuggire, Matteo Messina Denaro non ha opposto resistenza all'arresto.
L'operazione ha coinvolto diversi agenti del ROS, il Raggruppamento Operativo Speciale.
Il boss Matteo Messina Denaro al momento dell'arresto in Sicilia.
La foto ufficiale pubblicata dai carabinieri di Matteo Messina Denaro dopo la sua cattura.
Matteo Messina Denaro è stato catturato, dopo una fuga durata quasi 30 anni. Nella foto l'ultimo identikit del capomafia trapanese, latitante ormai dal 1993.
Nella foto distribuita dall'ufficio stamp ail 27 marzo 2014 l'ultimo identikit del capomafia trapanese Matteo Messina Denaro, latitante ormai dal 1993. Il Gico della Guardia di Finanza l'ha elaborato al computer grazie alle descrizioni fornite da un confidente che, recentemente, ha incontrato il boss di Castelvetrano.
Una foto composita che mostra un'immagine generata al computer rilasciata dalla Polizia italiana, a destra, e una foto del boss mafioso Matteo Messina Denaro. La polizia italiana haarrestato lunedì 16 gennaio 2023 il latitante numero 1 in Italia, il boss della mafia siciliana Matteo Messina Denaro, in fuga da 30 anni.
Montone griffato, cappellino e al polso un Franck Muller da 35.000 euro. «Mi chiamo Matteo Messina Denaro», dice con fare arrogante al carabiniere del Raggruppamento operativo speciale (Ros) che sta per arrestarlo.
Finisce così la latitanza trentennale del padrino di Castelvetrano, finito in manette alle 8.20 di lunedì mattina mentre stava per iniziare la seduta di chemioterapia alla clinica Maddalena di Palermo, una delle più note della città.
Quando si è reso conto d'essere braccato, ha accennato ad allontanarsi. Non una vera e propria fuga visto che decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto, avevano circondato la casa di cura.
I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, si sono resi conto solo dopo di quanto era accaduto e hanno applaudito i militari italiani ringraziandoli.
«Capaci non dimentica»
Stessa scena fuori dalla caserma Dalla Chiesa, sede della Legione, dove nel pomeriggio il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, l'aggiunto Paolo Guido, il generale del Ros Pasquale Angelosanto e il comandante palermitano del Raggruppamento Speciale Lucio Arcidiacono hanno tenuto una conferenza stampa.
Una piccola folla ha atteso i pubblici ministeri (pm) e mostrato uno striscione con scritto: «Capaci non dimentica». In mattinata in Procura era arrivata la premier italiana Giorgia Meloni che ha voluto incontrare i magistrati per congratularsi con loro.
Preso con un indagine tradizionale, nessun pentito
«Siamo orgogliosi di un risultato costato tanta fatica», dicono i pm che sottolineano come si sia trattato di una indagine tradizionale. Nessun pentito, nessun anonimo, nessuna soffiata.
Messina Denaro è stato preso grazie alla stessa strategia che portò all'arresto del boss Bernardo Provenzano. Prosciugare l'acqua attorno al latitante, disarticolando la rete dei favoreggiatori.
Favoreggiatori anche eccellenti: «Una fetta della borghesia lo ha aiutato», dice il procuratore de Lucia. È accaduto questo. E i familiari del boss stretti dalla morsa degli investigatori alla fine hanno fatto l'errore fatale. Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia.
Scoperto a causa della falsa identità
L'inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati.
Un nome ha fatto saltare sulla sedia gli inquirenti: Andrea Bonafede, parente di un antico favoreggiatore del boss. Avrebbe un anno fa subito un intervento al fegato alla Maddalena.
Ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse l'identità di un altro si è fatto forte.
Lo stato di salute consente la carcerazione
La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede, per lunedì mattina, ha fatto scattare il blitz.
Messina Denaro, trasferito subito in una località segreta, sarà destinato ad un carcere di massima sicurezza, un istituto che gli possa permettere di seguire le sue cure, come ad esempio Parma, dove già furono reclusi Riina e Provenzano: la premier italiana parla di regime di «carcere duro» e il procuratore de Lucia scandisce che le condizioni del boss «sono compatibili col carcere».
Trovato e perquisito il covo del boss
Ma le indagini non si sono fermate con l'arresto. Perquisizioni sono in corso da ore nel trapanese: Castelvetrano e Campobello di Mazara vengono setacciate palmo a palmo. E proprio a Campobello i carabinieri del Ros e la procura di Palermo, come annunciato martedì mattina, hanno individuato e perquisito il covo del boss.
Alla perquisizione, durata tutta la notte, ha partecipato il procuratore aggiunto Paolo Guido che da anni indaga sull'ex latitante di Cosa nostra. L'edificio, che si troverebbe nel centro abitato, è stato setacciato palmo a palmo. Non è ancora noto cosa sia stato trovato all'interno del covo.
Centro di 11'000 abitanti in provincia di Trapani, Campobello è il paese di Giovanni Luppino, l'uomo che lunedì ha accompagnato il capomafia alla clinica Maddalena dove è scattato il blitz e che è finito in manette assieme al boss. Campobello è a soli 8 chilometri da Castelvetrano, paese di origine di Messina Denaro e della sua famiglia.
L'individuazione del covo e la sua perquisizione sono tappe fondamentali nella ricostruzione della latitanza del capomafia.
E non solo: diversi pentiti hanno raccontato che il padrino trapanese era custode del tesoro di Totò Riina, documenti top secret che il boss corleonese teneva nella cassaforte del suo nascondiglio prima dell'arresto, fatti sparire perché la casa via Bernini, a differenza di ora, non venne mai perquisita.
Le dichiarazioni dei politici
Decine le dichiarazioni di politici di tutti gli schieramenti dopo l'arresto. «Oggi è una giornata storica – ha detto il procuratore de Lucia – che dedichiamo a tutte le vittime della mafia».
Parole simili a quelle pronunciate dalla premier che ha aggiunto: «Mi piace immaginare che il 16 gennaio possa essere il giorno nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò».
Chi è Matteo Messina Denaro
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Matteo Messina Denaro, noto anche come «U siccu» e «Diabolik», è nato a Castelvetrano (Trapani) il 26 aprile 1962. Da giovane ha svolto col padre l'attività agricola presso una ricca e influente famiglia della regione. La prima denuncia per associazione mafiosa risale al 1989. Fin dall'inizio degli anni '80 però era capocosca e alleato dei Corleonesi, devoto alla causa della famiglia mafiosa. Finora non ha mai scontato un giorno di carcere. È stato condannato a più ergastoli per 7 stragi e almeno 20 omicidi, compresi gli attentati del 1992 costati la vita ai giudici Giovanni Falcone (con la moglie Francesca Morvillo) e Paolo Borsellino con le scorte, e per altri messi a segno nel 1993 a Milano, Firenze e Roma, costati la vita a dieci persone. A Messina Denaro è stato riconosciuto il ruolo di mandante. La sua latitanza è iniziata nell'estate del 1993. Nella memoria collettiva rimane in particolare un fatto molto violento. Messina Denaro fece rapire Giuseppe, il figlio del pentito Santino Di Matteo, autore di rivelazioni sulla strage di Capaci, per indurre il papà a non collaborare. Il ragazzino è stato tenuto segregato per due anni prima d'essere ammazzato. È stato poi sciolto nell'acido nel 1996 affinché il suo corpo martoriato non fosse mai ritrovato. (ATS/pab)