Cosa Nostra L'uccisione di Paolo Borsellino, l'agente sopravvissuto: «Come dimenticare?»

SDA

19.7.2022 - 18:27

Il ricordo di quegli attimi terribili, di quel boato spaventoso, l'immagine dei corpi smembrati e ridotti a brandelli dei suoi colleghi e di Paolo Borsellino continua a perseguitarlo.

«Sono passati trent'anni ma quel 19 luglio per me continua a rivivere giorno dopo giorno, notte dopo notte. È una sofferenza che non avrà mai fine».

Antonio Vullo è l'unico agente di scorta, dei sei presenti, sopravvissuto all'attentato di via D'Amelio, salvo per miracolo grazie al fatto che si trovava ancora all'interno dell'auto blindata che stava posteggiando quando i macellai di Cosa Nostra azionarono il telecomando alle 16h59. 

Il giudice antimafia Paolo Borsellino, come era sua abitudine la domenica, stava per andare a trovare sua mamma e sua sorella ed era appena sceso dalla macchina.

«Dopo l'esplosione – racconta Vullo – sono riuscito a uscire dall'auto che stava prendendo fuoco. Ero stordito ma non potrò mai dimenticare quella scena. Ho visto brandelli di carne e un piede mozzato, ho capito dalla scarpa che era quello di Claudio Traina, il collega che fino a pochi istanti prima scherzava con me. Come si fa a dimenticare questo orrore?».

Dopo 30 anni non s'è ancora fatta giustizia

A tormentare Antonio Vullo, che come ogni 19 luglio anche oggi è tornato in via D'Amelio per rendere omaggio a Paolo Borsellino e ai cinque agenti di scorta massacrati dalla mafia, non è però solo il ricordo di quell'inferno ma anche il fatto che, a trent'anni di distanza, non sia ancora stata fatta piena luce sull'attentato.

Come dimostra la recente sentenza del tribunale di Caltanissetta che ha assolto tre poliziotti (anche se per due di loro è scattata le prescrizione) dall'accusa di avere ordito quello che i giudici hanno definito «il più colossale depistaggio nello storia della Repubblica». «Un depistaggio senza colpevoli – sottolinea Vullo – come si fa a non essere amareggiati?».

Il mistero dell'agenda rossa scomparsa

Vullo parla anche delle tante «zone d'ombra» sull'attentato: «I motivi che determinarono l'uccisione di Paolo Borsellino sono molteplici – afferma – ma io credo che uno dei misteri che andrebbero chiariti è sicuramente la scomparsa dell'agenda rossa sulla quale il giudice annotava tutto».

«Purtroppo credo che ormai sarà difficile ritrovarla ma la mia convinzione è che proprio quell'agenda costituisca il motivo principale della sua morte».

Depistaggi e misteri che hanno segnato le inchieste giudiziarie sulla strage di via D'Amelio. Antonio Vullo, che in questi anni ha incontrato gli studenti delle scuole di tutta Italia per raccontare cosa accadde quel maledetto 19 luglio, dice di non avere perso la fiducia nello Stato ma aggiunge: «Quando i ragazzi mi chiedono come mai non si sia ancora arrivati a una verità completa, rispondo che quando sono coinvolti esponenti delle istituzioni diventa tutto più difficile».

I funerali e le contestazioni

I funerali dei cinque agenti della scorta si svolsero il 21 luglio, nella Cattedrale di Palermo. Gran parte della popolazione della città partecipò in modo non pacifico. I 4000 agenti chiamati per mantenere l'ordine furono contestati dalla folla poiché impedirono l'accesso alla Cattedrale.

Al grido «Fuori la mafia dallo Stato», furono accolti i rappresentanti dello Stato, compreso il neopresidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che fu costretto ad uscire da una porta secondaria al termine della messa tra spintoni, calci e pugni.

Il 24 luglio, circa 10.000 persone parteciparono ai funerali privati di Paolo Borsellino, celebrati nella chiesa di periferia di Santa Maria Luisa di Marillac. I familiari del giudice rifiutarono il rito di Stato: la moglie Agnese, infatti, accusava il governo di non aver saputo proteggere il marito, e volle una cerimonia privata senza la presenza dei politici.

Cosa Nostra decise gli attentati alla fine del 1991

La decisione di mettere in atto gli attentati contro i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, giova ricordarlo, secondo le verità processuali stabilite dai tribunali, venne presa nel corso di alcune riunioni di Cosa Nostra, tra il settembre e il dicembre del 1991 e presiedute dal boss Salvatore Riina.

Sulla lista delle persone da elimiare, oltre ai due magistrati, figuravano alcune persone ritenute «inaffidabili» dalla mafia, come ad esempio l'ex sindaco di Palermo Salvo Lima.

Dopo la sentenza emessa il 30 gennaio 1992 da parte della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso di Palermo (con oltre 400 imputati condannati), avvennero alcune riunioni in cui i capi di Cosa Nostra decisero di dare inizio alla stagione stragista. La prima vittima fu Lima, seguì la strage di Capaci in cui morì Giovanni Falcone il 23 maggio 1992.

Poco dopo, nel mese di giugno, come stabilito dalla giustizia, Totò Riina chiese l'uccisione di Borsellino, che era da «farsi in fretta».