Ecco perché Esodo di ricchi norvegesi verso la Svizzera

hm, ats

27.1.2023 - 14:02

Addio Norvegia, benvenuta Svizzera.
Addio Norvegia, benvenuta Svizzera.
Keystone

È in atto un esodo di ricchi norvegesi verso la Svizzera: dall'anno scorso non meno di 36 cittadini benestanti con un patrimonio di almeno un miliardo di corone (l'equivalente di 90 milioni di franchi) si sono trasferiti nella Confederazione.

Keystone-SDA, hm, ats

Lo riferisce oggi la Neue Zürcher Zeitung (NZZ), che è andata a caccia dei motivi di questi movimenti, incontrando uno dei protagonisti.

Si tratta di persone che voltano le spalle alla loro patria perché il governo guidato dai socialdemocratici ha aumentato drasticamente le tasse sul patrimonio dopo essere salito al potere un anno fa, spiega la testata zurighese. Esempi di primo piano sono il miliardario della pesca e del petrolio Kjell Inge Rokke, che ha trasferito il suo centro di vita da Oslo al luganese, Bjorn Daehlie, il pluricampione olimpico e del mondo di sci di fondo che si è trasferito a Zugo, o il grande investitore Jens Rugseth, che ha optato per Lucerna.

«Ci sono momenti nella vita in cui devi decidere quanto vuoi essere onesto: vuoi impacchettare il messaggio in modo gentile o dire la verità e assumerti la responsabilità?», afferma Tord Ueland Kolstad, un imprenditore incontrato dai cronisti della NZZ. In un primo tempo a casa sua, a Bodo, aveva redatto un comunicato stampa in cui affermava di voler seguire un master in Svizzera, prendersi più tempo libero, fra l'altro per andare in bicicletta: ma aveva poi capito che stava mentendo. Il 51enne ha finalmente deciso di parlare apertamente del perché si è trasferito nella Confederazione. «C'è un solo motivo: l'imposta sul patrimonio. Chiunque dica il contrario sta dicendo una bugia o non rivela tutta la verità. È solo che è un po' stigmatizzante ammetterlo», osserva. «Ma come imprenditore serio, devo scegliere ciò che dà sicurezza alla mia impresa e ai dipendenti. Anche se ci sono sia vantaggi che svantaggi nel farlo».

Kolstad ha un patrimonio di 2 miliardi di corone norvegesi (circa 180 milioni di franchi svizzeri). Parte della famiglia è partita da Bodo all'inizio di ottobre: madre, padre e la figlia di nove anni. Gli altri tre figli sono più grandi e lavorano o vanno a scuola in Norvegia e all'estero. All'aeroporto di Zurigo la famiglia ha preso un'auto a noleggio per raggiungere l'appartamento in affitto a Lucerna. Ora vivono lì mentre cercano un posto fisso dove stare.

«La mia vita erano gli affari. Ora ho più tempo libero. Non è necessariamente negativo, ma è un po' strano», confida. L'umore è buono in famiglia, ma il passo non è stato del tutto semplice. «I sentimenti in famiglia sono un po' contrastanti. In realtà, non vogliamo separarci da ciò che ci circonda. Allo stesso tempo, ci siamo trasferiti in un paese che funziona molto bene».

L'uomo d'affari ammette che taluni hanno sentimenti di vergogna per essersi trasferiti all'estero. «L'uomo è un animale da branco e ama avere una buona reputazione». «Vi sono singole persone che non capiscono, anche se credo si tratti principalmente di troll online: molti di loro non si sono occupati veramente del tema».

Il numero di almeno 36 arrivi di ricchi norvegesi in Svizzera è stato calcolato dal Financial Times. Il fenomeno è ormai vasto: sul giornale economico norvegese Dagens Naeringsliv compaiono inserzioni di immobili di lusso situati nel paese di Guglielmo Tell. Uno dei cantoni più ambiti è Zugo, dove la fiscalità è particolarmente bassa. Negli ultimi tempi in Svizzera arrivano quindi sempre più persone dal nord. «Scherzosamente dico che sono venuto qui senza amici, ma ora siamo un bel po' e ci si può incontrare per un caffè ogni tanto», dice Kolstad. Stando all'ambasciata norvegese – contattata dalla NZZ – in Svizzera vivono 5000 norvegesi.

L'imprenditore spiega che con le nuove regole tributarie avrebbe pagato il doppio di imposte sul patrimonio rispetto al 2021. Il problema è che quasi tutti i suoi beni sono rappresentati dalle azioni della società che ha fondato e di cui è proprietario al 100%. «Quindi per pagare le imposte dovrei chiedere un prestito o farmi versare dividendi e quindi ridurre il valore dell'azienda. Se opto per i dividendi, c'è inoltre un'imposta anche su quelli».

Kolstad ritiene che questa sia la situazione della stragrande maggioranza degli imprenditori. «Questa è la spiegazione: non volevo trasferirmi in Svizzera, volevo rimanere a casa e lavorare», racconta. Perché la nuova sistemazione significa anche che non può più incontrare ogni giorno il personale della sede centrale dell'impresa a Bodo. Da Lucerna non si è molto vicini.

«Il capitalismo e il nostro sistema economico non sono perfetti, devono essere regolamentati. Ma il modello che abbiamo è quello che funziona meglio. È quindi paradossale che la sinistra voglia punire e smantellare le imprese private in questo modo. Dopo tutto, sono loro a contribuire alla creazione di valore e a preparare la torta, che a sua volta può essere distribuita per il benessere di tutti e i nuovi posti di lavoro», osserva.

Kolstad si è diplomato durante la crisi bancaria del 1991 ed è partito come disoccupato. Ma sognava di avviare un'attività in proprio. Nel 1992 ha acquistato il suo primo appartamento a Bodo per 40'000 franchi. L'ha ristrutturato la sera, quando non guidava un taxi e non faceva altri lavori saltuari. Poi ha affittato l'appartamento. Il valore dell'alloggio è aumentato e in questo modo ha ottenuto un prestito un po' più consistente e ha potuto acquistare l'appartamento numero due. E così ha continuato. Oggi la sua azienda gestisce circa 60 stabili per una superficie totale di 230'000 metri quadrati a Bodo e altrove in Norvegia. L'azienda dispone di 240 appartamenti in affitto e costruisce case.

«Ho iniziato da zero e ho lavorato molto duramente. Da 400 franchi di affitti mensili a 23 milioni di franchi all'anno», spiega. L'intervistato dice di essere fortunato ad essere cresciuto e ad aver vissuto in Norvegia. «Ma abbiamo una mentalità un po' speciale. Quando un imprenditore privato ha successo, la gente pensa che sia merito della società; quando invece fallisce, gli sta bene, non è mai colpa della società», conclude.