Il primo di aprile del 1946 nasceva Arrigo Sacchi, colui che alla guida del Milan delle meraviglie divenne un immortale del calcio.
Oggi, esattamente 74 anni fa nasceva a Fusignano - un paese di circa 8'000 anime in provincia di Ravenna - Arrigo Sacchi, uno degli allenatori più vincenti e popolari del calcio italiano e internazionale.
Vi porteremo attraverso la vita di Arrigo Sacchi usando come filo conduttore le sue frasi più celebri.
«Per diventare un buon allenatore non bisogna essere stati, per forza, dei campioni; un fantino non ha mai fatto il… cavallo»
Da ragazzo Arrigo Sacchi gioca come difensore nella squadra dilettantistica del suo paese, mentre lavora nell'azienda di calzature di famiglia. La sua passione per il calcio lo porta poi a fungere da allenatore di diverse squadre amatoriali, fino a quando, nel 1982, conquista lo scudetto Primavera con la squadra giovanile del Cesena, e da lì si iscrive ai corsi d'allenatore a Coverciano. Nel 1985 arriva la prima chiamata su una panchina di Serie B: si tratta del Parma che stava pian piano affacciandosi sul palcoscenico del grande calcio italiano. Accortosi di lui, l'imprenditore Silvio Berlusconi lo chiama a Milano nel 1987, affidandogli la squadra che diventerà di lì a poco una delle formazioni più straordinarie della storia del calcio.
«Noi al Milan coniugavamo tre verbi: vincere, convincere, divertire. La Juventus ne coniuga uno: vincere. È una debolezza. Si dirà: ma in Italia continua a vincere. E io dirò: anche il Rosenborg vince sempre lo scudetto in Norvegia. Ma cosa conta è la Champions League e in Europa la Juventus fatica»
Il Milan di Arrigo Sacchi, quello del quadriennio 1987-1991, vinse uno scudetto nella stagione 1987-1988 e una Supercoppa italiana nel 1988. Fu però a livello europeo e mondiale che la formazione rossonera scrisse la storia andando a conquistare 2 Coppe dei Campioni (1988-89 e 1989-90), 2 Supercoppe Uefa (1989 e 1990) e 2 Coppe Intercontinentale (1989 e 1990).
Un biennio durante il quale il diavolo di Milano fu imbattibile, fenomenale e stupendo da vedere. Sacchi compì una vera e propria rivoluzione nel modulo di gioco e nelle tecniche di allenamento. Maniacale nell'organizzazione difensiva a cui si aggiungeva un asfissiante pressing a centrocampo, Sacchi sposò le caratteristiche del gioco a zona, ispirato al calcio totale della nazionale olandese di Johann Crujff, che ammaliò il mondo a cavallo degli anni '70.
L'allenatore italiano portò inoltre a Milano il 'Cigno di Utrecht', all'anagrafe Marco Van Basten: un attaccante - che con l'aiuto di Massaro e Simone -portava scompiglio nelle retroguardie avversarie, segnando valanghe di reti. Un attaccante, che sorretto dai centrocampisti Gullit e e Donadoni, diventò la fortuna offensiva del Milan.
«Marco è stato il più grande attaccante che abbia mai allenato», disse quel Fabio Capello che in carriera allenò tra gli altri Raul, Suker, Weah, Ronaldo e Trezeguet.
«Non sono certo razzista e la mia storia di allenatore lo dimostra, ma a guardare il torneo di Viareggio mi viene da dire che ci sono troppi giocatori di colore, anche nelle squadre Primavera. Il business ormai ha la meglio su tutto»
Alla fine degli anni '80 in Italia si potevano portare solo tre giocatori stranieri. I calciatori di colore che si misero a servizio delle formazioni italiane negli anni '80 non furono certo molti: ricordiamo il peruviano Barbadillo (Avellino) e il brasiliano Junior (Torino).
Sacchi portò due olandesi di colore da affiancare al connazionale Marco Van Basten: Frank Rijkaard e Ruud Gullit.
Entrambi centrocampisti dalle caratteristiche diverse. Rjikaard era un mastino del centrocampo dedito a fornire quel pressing tanto voluto da Sacchi, mentre Gullit era un mix di potenza e rapidità.
«Quando partiva in progressione si portava via anche il vento», disse di lui Arrigo Sacchi.
«Ricordatevi, però, che anche ai rigori vince quasi sempre chi lo merita. Non è vero, come si dice, che sono una lotteria. Se una squadra ha giocato meglio, e si sente penalizzata dal risultato, li va a calciare con una carica interiore che la squadra avversaria non ha»
Dopo aver allenato il Milan delle meraviglie Sacchi fu chiamato a rivestire il ruolo di ct della nazionale italiana. Gli azzurri si qualificarono per USA 1994 e Sacchi decise di dare fiducia e responsabilità al suo uomo più geniale, quel Roberto Baggio che non stava attraversando un bel periodo. Baggio, a far suo, prese in mano la squadra e la trascinò fino in finale: due reti alla Nigeria negli ottavi, una alla Spagna nei quarti e doppietta alla Bulgaria di Stoichkov in semifinale. Nella finale giocata a Pasadena contro il Brasile dei vari Leonardo, Dunga, Romario, Bebeto e Ronaldo - Sacchi decise di mettere nella mischia anche Baggio, nonostante il 'Divin Codino' fosse stato vittima di uno stiramento al termine della partita di semifinale.
La finale si trascinò fino ai calci di rigore. Oggi, rimane il ricordo di Baggio che spara alto il pallone sopra la porta difesa da Tafarel, consegnando la Coppa del Mondo alla nazionale verdeoro. Un piccolo uomo che si sentì addosso tutte le speranze di una nazione, lo sguardo del mondo, la fiducia di Arrigo Sacchi, che contro l'opinione di molti , decise di metterlo in campo, comunque, quel giorno a Pasadena.
«I rigori li sbagliano soltanto quelli che hanno il coraggio di tirarli», dirà Baggio a posteriori.
Sacchi abbracciò i suoi ragazzi con fare paterno e con l'orgoglio di chi sa che non sono bravi solo i primi, ma anche i secondi.
Arrigo Sacchi fu un lampo di genio nel panorama calcistico internazionale. A 55 anni si ritirò dopo aver servito un ultima volta sulla panchina del Parma che lo aveva lanciato. Un ritorno alle origini prima di seguire il calcio da fuori... come solo i grandissimi sanno fare.