Pandemia«L'ultima cosa di cui la Svizzera ha bisogno è l'autosufficienza»
Gil Bieler
24.5.2020
Commercio con la Cina e divieto di esportazioni: l'emergenza coronavirus sta colpendo duramente l’economia. Se i responsabili politici affermano di voler riportare «in patria» la creazione di valore, il professore Simon Evenett dell’università di San Gallo si mostra invece scettico.
Professor Evenett, le esportazioni della Cina ad aprile sono state più elevate rispetto a quelle dello scorso anno. Sembra paradossale, ma la Cina approfitterà della pandemia di coronavirus?
Penso che si sia trattato più di una ripresa delle esportazioni rispetto al crollo precedente, piuttosto che di un incremento di quote di mercato sull'estero. Ciò, d’altronde, non è per nulla sorprendente, considerato che le esportazioni di tutti gli altri Paesi hanno subito una flessione.
In quale misura la crisi colpirà il commercio mondiale?
Almeno quanto fece la crisi finanziaria del 2008-2009, penso. All’epoca, i volumi degli scambi mondiali sono crollati del 20% tra il picco e il fondo, e credo che oggi assisteremo a un declino simile. Probabilmente ancora più grave.
La pandemia modificherà anche le catene di approvvigionamento internazionali? Per esempio, le imprese cercheranno di essere meno dipendenti dalla Cina?
Alcune aziende adatteranno le loro reti di approvvigionamento, visti i notevoli rischi aziendali, mentre alcuni responsabili politici tenteranno ugualmente di riportare la creazione di valore «a casa». Anche se questa politica è abbastanza pericolosa.
Cosa intendete per «pericolosa»?
Simon Evenett
Keystone
Simon Evenett è docente di Commercio internazionale e di Sviluppo economico presso l'università di San Gallo (HSG).
È pericoloso cercare di forzare le aziende ad agire così, perché esse concepiscono questi canali di approvvigionamento tenendo conto di diverse considerazioni, come ad esempio la volontà di risparmiare, da una parte, e il rischio di fronteggiare difficoltà di approvvigionamento, dall'altra. Le aziende fanno questo genere di calcoli da anni, dunque sanno quello che fanno. Sarebbe ingenuo pensare che qualunque responsabile politico possa far meglio le cose.
Vede già dei segnali che indicano che le aziende stiano adattando le loro reti di approvvigionamento?
Non ancora. La maggior parte delle aziende che sono oggi colpite da difficoltà commerciali cercano semplicemente di sopravvivere per il momento. Qui stiamo dunque parlando di decisioni che saranno prese tra dodici mesi o tra due anni, quando il peggio di questa crisi sarà passato.
Ci sono dei settori specifici nei quali questi adattamenti saranno possibili?
Probabilmente quello dei prodotti sanitari.
C’è un certo numero di aziende svizzere che sono fortemente implicate in questo settore…
È vero, e tendono a fare notevoli esternalizzazioni. Tuttavia, anche in questo settore, le aziende rifletteranno forse sulla quantità di attività che delocalizzano in Cina. Ma, allo stesso tempo, non vogliono diventare troppo dipendenti da altre fonti. Questa è la ragione per cui penso che i cambiamenti saranno in assoluto meno importanti di quelli che molti si aspettano oggi.
Per via della crisi, numerosi Paesi hanno limitato o in alcuni casi vietato l’esportazione di prodotti sanitari. Un tale protezionismo è normale in tempo di crisi?
La tentazione del protezionismo è sempre presente. Le domande che affiorano su questo tema riguardano la forma e l’estensione di tale fenomeno, oltre che la reazione degli altri Paesi. Ora dovremo assistere di nuovo a tale dibattito. I blocchi sulle esportazioni di farmaci e di prodotti sanitari sono considerevoli e preoccupanti. Tuttavia, è interessante notare che il problema non si è ancora esteso ad altri settori: cosa importante, anche se ciò può cambiare in un futuro prossimo.
In quale misura la Svizzera potrebbe orientare maggiormente l’economia verso l’autosufficienza?
Una transizione verso l'autosufficienza comporterebbe un abbassamento notevole del benessere in Svizzera. Il nostro Paese è ben orientato verso le importazioni e il miglioramento significativo di parti e componenti prodotte altrove. O nella concezione e vendita di prodotti che possono essere fabbricati in altri luoghi a prezzi ben più vantaggiosi. L'ultima cosa di cui la Svizzera ha bisogno è dunque l'autosufficienza.
È anche probabile un aumento dei prezzi, giusto?
Sì, i prezzi potrebbero aumentare, la scelta nei negozi potrebbe diminuire e ne risentirebbe il nostro tenore di vita.
Il Vietnam e altri Paesi hanno limitato o bloccato le esportazioni di prodotti alimentari per via della crisi. Quali sono state le conseguenze?
Il Vietnam ha imposto un divieto sulle esportazioni di riso, che ha in seguito trasformato in una limitazione parziale. E anche quest'ultima sarà presto eliminata. È un buon esempio di Paese che ha reagito in modo eccessivo in materia di approvvigionamento alimentare e che ha alla fine fatto marcia indietro. Il solo stop alle esportazioni alimentari che ha avuto un impatto notevole è stato quello imposto dalla Russia sul grano. Ma l'Unione Europea e l'Australia hanno potuto compensarlo, il che spiega perché il prezzo della materia prima non è cresciuto troppo. Fin qui, per quanto riguarda le derrate alimentari va tutto bene.
I cambiamenti climatici modificheranno però il modo in cui il Pianeta si nutrirà. In che modo saranno commercializzati i prodotti alimentari nel futuro prossimo?
La pressione esercitata dai cambiamenti climatici non scomparirà. E queste modifiche sul lungo periodo, che erano già presenti prima della pandemia, proseguiranno. Ma penso che i prodotti alimentari continueranno a percorrere ampie distanze. Le iniziative a favore di un approvvigionamento locale non avranno gli effetti che i loro sostenitori sperano: le persone amano avere a disposizione alimenti a buon mercato e un'ampia scelta. Le cose non dovrebbero cambiare. Penso anche che alcuni alimenti di alta qualità saranno prodotti maggiormente da noi, ma non mi aspetto rivoluzioni.
Malgrado la pandemia, i mercati finanziari appaiono in salute: come se lo spiega?
Gli indici delle Borse sono davvero molto distanti da ciò che accade nell'economia reale. Credo che la spiegazione di questa crescita, in particolare nel mondo anglosassone, risieda nel sostegno concesso alle imprese dalle banche centrali. Se questo stimolo dovesse essere eliminato, i valori azionari si ritroverebbero sotto pressione. Potremmo perfino affermare che tale sostegno delle banche centrali rappresenti un elemento di destabilizzazione, tenuto conto del fatto che alimenta la speculazione sui mercati azionari.
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