Coronavirus «Gli svizzeri non sono più abituati all’incertezza»

di Gil Bieler

25.4.2020

Gli svizzeri tra speranza e confinamento: un balcone a Losanna.
Gli svizzeri tra speranza e confinamento: un balcone a Losanna.
Keystone

La crisi del coronavirus è difficile da sopportare per gli svizzeri: gli abitanti dei Paesi più poveri sono meglio preparati di noi, dichiara il futurologo Andreas Krafft. Con il quale parliamo di inventività, opportunità e della divisione nazionale in materia di speranza.

Signor Krafft, il nostro futuro non è mai apparso così imprevedibile. Cosa suscita tutto questo in noi?

All’inizio, ovviamente ciò crea dell’incertezza. Non abbiamo mai vissuto niente di simile in precedenza. Noi, gli svizzeri – come gli europei in generale – viviamo in società talmente sicure che non siamo più abituati a situazioni di incertezza. Almeno dai tempi della Seconda guerra mondiale. In altri Paesi, la popolazione ha maggiore esperienza in materia. Penso all’Argentina, mia nazione d’origine, ma anche all’India, alla Colombia, al Messico o ad altre nazioni nelle quali viaggio spesso.

In Svizzera ce ne siamo dimenticati?

È così. Le nostre ricerche sul tema della speranza mostrano anche che nei Paesi più poveri – come il Sudafrica o gli Stati sudamericani – le cifre in materia di speranza risultano più elevate rispetto alla Svizzera.

Come è possibile?

Vanno considerati due aspetti. In primo luogo, gli abitanti dei Paesi più poveri sono diventati spesso più flessibili. In secondo luogo, in Svizzera abbiamo vissuto negli ultimi dieci anni una stagnazione rispetto all’evoluzione della qualità delle nostre vite, in termini di ricchezza come di benessere, benché il livello rimanga molto elevato.

In altri Paesi si sperimenta di certo meno prosperità e gli ostacoli da superare sono più importanti. Penso ad esempio alla lotta contro il regime dell’apartheid in Sudafrica. Ma, una volta superato l’ostacolo, ciò ha generato una sensazione di rinnovamento. Le persone hanno visto che le loro vite potevano migliorare. È qualcosa che noi, in Svizzera, non avvertiamo da molti anni.

Ciò significa che non siamo abbastanza coscienti dei nostri privilegi?

Andreas Krafft

Andreas Krafft è copresidente di Swissfuture, l'Associazione svizzera di futurologia, e membro del consiglio d'amministrazione della SWIPPA (Società svizzera di psicologia positiva). In qualità di professore presso l'università di San Gallo, insegna, tra le altre cose, la «psicologia della speranza e dell'ottimismo».

Sì, è qualcosa che attiene alla psicologia: il passaggio da una situazione difficile a qualcosa di migliore è meno frequente da noi, guardando la società nel suo complesso. Oggi, per la prima volta, molte persone si trovano in una situazione che mostrerà a che punto siamo in grado di resistere e ciò che saremo in grado di realizzare tutti insieme. In particolare grazie alla coesione sociale. Spero che ciò porti con sé una forza positiva per la società.

Da dove arriva il suo ottimismo?

Il Paese è sano sul piano economico, molti di noi hanno goduto di una buona istruzione e possono contare su altre risorse. Inoltre, chi vive qui può contare su opportunità e possibilità che si aprono sempre. Il che non esclude evidentemente il fatto che alcuni gruppi possano dover fronteggiare sfide particolarmente dure all’inizio.

Da cosa gli svizzeri possono trarre speranza?

Sono gli stessi dati a dimostrarlo di continuo. In primo luogo, dalle loro stesse capacità e dal loro potenziale. Le persone sono ben istruite e hanno numerose qualità che oggi possono riscoprire. In secondo luogo, dalle istituzioni politiche. Molti pensano che lo Stato ci abbia guidati in modo efficace finora, attraverso la crisi attuale. E, in terzo luogo, dalle relazioni sociali, dai legami personali nelle famiglie, nelle reti professionali e private.

Cosa vede negli svizzeri nel corso di questa crisi?

Ho osservato due cose in queste settimane. Da un lato, ci sono persone che non si sentono per nulla coinvolte e dicono: «Stiamo piuttosto bene e tra qualche settimana tutto sarà finito e riprenderemo la nostra vita normale». Dall’altro, quelli che si sono trovati improvvisamente di fronte a situazioni difficili, ad esempio per aver perso tutte le loro entrate finanziarie. In un primo momento, si sono manifestati dei timori esistenziali. Ma ora so, grazie alle testimonianze di numerose persone, che dopo lo shock iniziale hanno scoperto qualcosa che ha restituito loro speranza e ottimismo.

Di cosa si tratta?

L’inventiva, ad esempio, gli ha permesso di scoprire come vendere i loro prodotti su internet. Si può inoltre constatare una grande solidarietà. Persone e imprese hanno cominciato a tessere delle reti con le quali si sostengono le une con le altre. Si tratta di un gesto forte. E se queste reti e questa cooperazione proseguiranno dopo la crisi, allora vorrà dire che davvero avremo imparato qualcosa.

Per ora, però, siamo ancora nel pieno dell’emergenza. Potrà davvero esserci un ritorno alla normalità in seguito?

In numerosi settori torneremo di certo ad una forma di normalità. Da un punto di vista sanitario, rimarremo probabilmente prudenti ancora per qualche mese, eviteremo di prendere chiunque sottobraccio e di stringere le mani. Ma il ritorno alla normalità dovrebbe arrivare rapidamente. Tuttavia, le lezioni positive che trarremo da questa crisi resteranno, almeno lo spero. Parlo di questioni del tipo: come posso posizionarmi in modo migliore dal punto di vista commerciale? Come posso trarre un beneficio da queste nuove reti? E forse ormai in molti si sono interrogati anche su ciò che è davvero importante nella vita. E dopo rivedranno le loro priorità sul lavoro e nella vita privata.

Il suo barometro annuale della speranza mostra che gli svizzeri desiderano soprattutto salute e un ambiente positivo. Proprio le cose che oggi sono dilaniate da questa crisi.

È così. Ma è anche la cosa più appassionante: la speranza di rimanere in salute o di avere buone relazioni interpersonali è spesso così grande perché le persone non vi dedicavano abbastanza tempo. Tutti parlano dell’importanza della salute, ma cosa facciamo concretamente per garantircela? Dal momento che questi valori sono minacciati dalla crisi, oggi siamo anche più coscienti del loro significato.

Questo ci rende da una parte vulnerabili, ma dall’altra faremo di più per realizzare questi obiettivi: passare più tempo con la famiglia, investire di più nelle relazioni interpersonali, ecc. Perché esiste una grande differenza tra lo sperare qualcosa e l’agire concretamente.

Molte persone passano oggi più tempo con la loro famiglia senza averlo scelto. Coppie e famiglie intere sono insieme in ogni momento: non ci legge anche un elemento di tensione?

Sì, certo, esiste un elevato potenziale di conflitto. Ma ciò può comportare due evoluzioni: ci si può incastrare completamente, oppure si può imparare a comportarsi in modo diverso con gli altri, a sostenersi e rispettarsi. E allora ci avremo guadagnato qualcosa. Certo, tutti coloro che non ci riusciranno, per via di disaccordi troppo profondi, ne soffriranno. Ma sono convinto che la maggior parte delle coppie e delle famiglie usciranno rafforzate da questa crisi.

Mi rendo conto che lei preferisce concentrarsi sulle opportunità che offre questa crisi, piuttosto che sui rischi.

Sì, perché ce lo insegna la storia. Tutte le crisi sono state superate. In Europa, dagli anni Trenta agli anni Cinquanta, i conflitti e la guerra rappresentavano qualcosa di quotidiano, anche se la Svizzera è rimasta neutrale. Oggi, tuttavia, quasi nessuno vorrebbe una guerra. Sono gli insegnamenti che ci sono giunti dalle due guerre mondiali. Mi riferisco a [Emmanuel] Kant e ad altri filosofi, e sono convinto che l’essere umano sia in grado di imparare e di migliorarsi.

Qual è il livello di speranza in Svizzera rispetto alle altre nazioni?

Gli svizzeri non sono troppo ottimisti, sono piuttosto moderati. Esiste però una differenza importante tra la Svizzera tedesca e quella romanda.

Ovvero?

Nella Svizzera romanda, la fiducia nelle istituzioni politiche ed economiche è meno pronunciata. Il che comporta un calo dei valori in termini di speranza. Purtroppo, abbiamo cominciato soltanto lo scorso anno a raccogliere dati sulla Svizzera italiana. Ma anche in questo caso, esiste una mancanza di fiducia nelle istituzioni.

Eppure il sistema è solido. Che cosa manca dunque alla Svizzera latina?

Penso che nella Svizzera romanda e in quella italiana le persone si aspettino altro dalla politica. Nella Svizzera tedesca aspettiamo che la politica crei delle condizioni che ci permettano di fare buoni affari, condurre una vita agiata e assumerci le nostre responsabilità. Nella Svizzera latina le persone si aspettano dallo Stato maggiore sicurezza e una distribuzione più equa della ricchezza. Ai loro occhi, lo Stato si adopera solo in parte in questo senso. È per questo che gli abitanti della Svizzera romanda e di quella italiana sono piuttosto delusi dalla politica. Ma ora la fiducia potrebbe aumentare grazie alla gestione della crisi da parte dello Stato.

Sarebbe interessante verificarlo.

In questo momento sto conducendo un’indagine con degli studenti dell’università di San Gallo e sono molto curioso di vedere cosa ne uscirà. Al contempo, in particolare nelle situazioni di crisi, è possibile che la soddisfazione diminuisca, ma che la speranza aumenti. Dopo tutto, anche le persone che vivono in contesti di guerra sperano soprattutto nella pace.

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