UE e GB tremano Trump lancia la guerra dei dazi a Messico, Canada e Cina

SDA

26.11.2024 - 20:40

Nel mirino del tycoon ci sono la Cina e i due alleati nordamericani, Messico e Canada.
Nel mirino del tycoon ci sono la Cina e i due alleati nordamericani, Messico e Canada.
KEYSTONE

A Donald Trump sono bastati un paio di post sul suo social Truth per dichiarare una nuova guerra dei dazi prima ancora di insediarsi, mandando in fibrillazione le cancellerie e l'economia del pianeta.

Con il dollaro che sale a scapito delle altre valute e le Borse in rosso – a partire dalle case automobilistiche – dopo che lunedì avevano brindato sperando che la nomina del moderato Scott Bessent al Tesoro potesse temperare la temuta offensiva tariffaria.

Nel mirino del tycoon ci sono la Cina e i due alleati nordamericani, Messico e Canada, mentre per ora l'Ue e la Gran Bretagna sono stati risparmiati, anche se già cominciano a tremare.

Il presidente eletto ha annunciato che il giorno stesso del giuramento, il 20 gennaio, uno dei suoi primi ordini esecutivi sarà imporre una tariffa extra del 10% su tutti i suoi prodotti cinesi finché Pechino non metterà fine al narcotraffico negli Stati Uniti, in particolare di fentanyl, dopo aver disatteso la promessa della pena di morte per i trafficanti di droga. Una tariffa che si dovrebbe aggiungere a quella del 60% già minacciata in campagna elettorale.

Il tycoon ha inoltre promesso dazi del 25% su tutta la merce proveniente da Messico e Canada finché non stopperanno non solo il flusso di stupefacenti, ma anche di migranti illegali negli USA. Anche questa una tariffa addizionale, da sommare a quella minima del 10% evocata nei mesi scorsi da The Donald contro i prodotti di tutti i Paesi.

La più grossa guerra commerciale della Storia americana

Si tratterebbe della più grossa guerra commerciale fra gli Usa e i suoi due maggiori partner commerciali (l'interscambio complessivo si aggira sui 1500 miliardi di dollari), facendo impallidire quella del 2018 con i dazi su acciaio e alluminio.

E violerebbe i termini dell'accordo trilaterale Usmca sul commercio che esclude i dazi dalla maggioranza delle merci, firmato in pompa magna proprio dal tycoon nel 2020 («una vittoria monumentale») dopo la rinegoziazione del vituperato Nafta.

Una mossa che quindi aprirebbe la porta a sfide legali, minacciando lo stesso patto commerciale e sollevando un interrogativo cruciale per tutti i Paesi che cercano un accordo di libero commercio con gli Usa.

Anche perché questa volta Trump userebbe i dazi non come arma commerciale per riequilibrare il deficit e difendere i posti di lavoro americani, ma come clava diplomatica per risolvere altri problemi, non legati al commercio globale.

Cina: «Nessuno vincerà una guerra commerciale»

Pechino è stata la prima a reagire, ammonendo tramite la sua ambasciata a Washington che «nessuno vincerà una guerra commerciale», nella convinzione che «la cooperazione economica e commerciale bilaterale sia reciprocamente vantaggiosa».

Il Dragone dice di restare «aperto al mantenimento del dialogo» ma respinge l'accusa di consentire consapevolmente l'ingresso di precursori del fentanyl negli Stati Uniti.

«I dazi non risolveranno il problema di migrazione e droga»

La presidente del Messico Claudia Sheinbaum ha letto in una conferenza stampa la lettera che manderà a Trump, sostenendo che né le minacce né i dazi risolveranno il fenomeno della migrazione o il consumo di droga in Usa e promettendo eventuali ritorsioni tariffarie che «metterebbero a rischio le imprese comuni».

Più cauto il premier canadese Justin Trudeau, che si è precipitato a chiamare subito il tycoon riferendo al parlamento di una telefonata «buona», «produttiva», e convocando per questa settimana un incontro con gli allarmati leader delle province del Paese. Del resto Ottawa è il Paese che forse rischia di più per il volume di merce esportata, a partire dal greggio (117 miliardi nel 2022).

Verso una nuova impennata dei prezzi?

I nuovi dazi fanno temere un'impennata dei prezzi e quindi dell'inflazione negli Usa (secondo una ricerca della multinazionale Ing, potrebbero costare 2'400 dollari in più pro capite all'anno agli americani).

Con ripercussioni in tutto il mondo, ancor più forti se dovessero estendersi anche all'Europa: «Non è una buona notizia», ha ammesso l'alto rappresentante Ue Josep Borrell a margine del G7 di Fiuggi, prevedendo una spirale di ritorsioni che non aiuterà l'economia mondiale.

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