Medio OrienteGelo sui negoziati a Doha, Netanyahu ritira la delegazione israeliana
SDA
26.3.2024 - 21:20
Sui negoziati per Gaza in Qatar è sceso il gelo. Anzi, di fatto sembrano siano saltati del tutto, visto che il premier Benjamin Netanyahu ha ritirato la delegazione israeliana a Doha. I motivi, secondo lo Stato ebraico, risiedono non solo nelle richieste ribadite da Hamas al tavolo delle trattative, ma anche nella risoluzione sull'immediato cessate il fuoco nella Striscia e il rilascio degli ostaggi approvata dal Consiglio di sicurezza dell'Onu con l'astensione – la prima volta in assoluto – degli Usa.
26.03.2024, 21:20
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Per questo il team guidato dal capo del Mossad David Barnea ha lasciato il tavolo negoziale, anche se il Qatar ha negato che i colloqui siano definitivamente morti e una fonte israeliana ha riferito che i tecnici della delegazione sono ancora lì.
La mossa di Israele è seguita alla presa di posizione di Hamas poche ore dopo il voto all'Onu. La fazione islamica ha fatto sapere di aver informato i mediatori che «il movimento si attiene alla sua visione presentata il 14 marzo, perché l'occupazione non ha risposto a nessuna delle richieste fondamentali». Tra queste ha confermato «un cessate il fuoco completo, il ritiro totale dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati e un vero scambio di prigionieri».
«La posizione di Hamas – ha attaccato l'ufficio di Netanyahu – dimostra in maniera chiara che non è interessata a continuare le trattative e rappresenta una prova dolorosa dei danni causati dalla decisione del Consiglio di sicurezza». Gli Usa hanno contestato questa ricostruzione definendola – secondo il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller – «inaccurata sotto ogni aspetto». Ma l'ufficio del premier ha insistito che «Israele non si arrenderà alle richieste strampalate di Hamas e continuerà ad agire per raggiungere gli obiettivi della guerra».
Israele: «Solo la vittoria porterà alla fine della guerra»
Non a caso il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, che si trova negli Usa anche in relazione all'annunciata offensiva a Rafah ha subito avvertito il segretario di Stato Antony Blinken che «Israele non cesserà di operare a Gaza fino al ritorno degli ostaggi: solo una vittoria decisiva porterà alla fine della guerra». È stato il segretario alla Difesa Lloyd Austin a ribattere a Gallant e a ribadire che a Gaza «il numero delle vittime civili è troppo alto e la quantità di aiuti umanitari è troppo bassa».
Nella ragnatela diplomatica tessuta da Hamas, intanto, il leader della fazione islamica Ismail Haniyeh è andato a Teheran per incontrare il suo maggiore alleato, l'Iran. E ha rivendicato il documento approvato all'Onu: «Nonostante sia arrivato tardi e ci potrebbero essere delle lacune da colmare, la risoluzione indica che l'occupazione di Israele sta subendo un isolamento politico senza precedenti», ha dichiarato con apparente soddisfazione.
La risoluzione, ha continuato, mostra inoltre che gli Usa non sono più in grado di imporre la loro volontà alla comunità internazionale ed è «un segno della resistenza unica del popolo palestinese».
La situazione nella Striscia è drammatica
Al 172esimo giorno di guerra intanto, l'Onu ha insistito sull'ingresso di aiuti a pieno ritmo, vista la drammatica situazione. Hamas ha chiesto la fine dei lanci dei soccorsi dagli aerei e l'apertura di accessi terrestri per i convogli umanitari: secondo le autorità locali, nel tentativo di recuperare i pacchi sono morte 18 persone, di cui 12 annegate in mare e altre 6 in incidenti legati all'atterraggio degli aiuti paracadutati.
Mentre la Mezzaluna rossa ha annunciato che l'ospedale al-Amal di Khan Yunis, nel sud della Striscia, ha «smesso di operare» dopo che le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno «evacuato la struttura e bloccato gli ingressi».
Israele ha invece confermato la morte di Marwan Issa, il numero delle Brigate Qassam, ala militare di Hamas, centrato lo scorso 11 marzo in un bunker a Nesseirat nel centro della Striscia. E non si attenua la tensione con il Libano: dopo il lancio di razzi da parte degli Hezbollah, l'Idf ha di nuovo colpito «nel profondo» del territorio libanese obiettivi del Partito di Dio.