Speciale intervista a Arno del Curto"Una volta bastava guardarsi negli occhi ..."
bfi
29.12.2017
Arno Del Curto e Patrick Fisher sono due allenatori svizzeri di successo. Fischer, che dirige la nazionale, ha già centrato la semifinale a questa Spengler Cup, mentre l’iconico del Curto, deve ancora portare i grigionesi avanti, laddove il pubblico li aspetta.
Così, più rilassato forse, Patrick Fischer si è tolto i panni del coach per mettere quelli del giornalista che intervista l’oggi quasi leggendario Arno del Curto.
Perchè sei diventato allenatore?
A 22 anni, in seguito ad un serio incidente, ho dovuto smettere la mia carriera di giocatore. Con il piede rotto ho iniziato ad allenare una squadra di junior di Wallisellen, anche se non avevo nessuna idea di come farlo. Nonostante ciò vincemmo molte partite: probabilmente sono riuscito a trasmettere divertimento e motivazione a quei ragazzini.
Non hai mai provato a tornare a giocare?
Certo, un anno dopo ci ho provato con il Lucerna, ma non andava più. Sono dunque diventato allenatore, per la profonda passione verso questo sport che non potevo più praticare da giocatore.
Essere un giocatore è bello, ma da allenatore mi sento quasi meglio, se le cose vanno bene. È il raggiungimento dei risultati la cosa più importante?
Direi che è arricchente quando si percepisce che il lavoro fatto in allenamento si riflette sul ghiaccio. Allora tutto è perfetto. Ancora meglio sarebbe se potessi allenare ancora per vent’anni e poi ringiovanire per poter di nuovo tornare a giocare: questo sarebbe l’ideale.
Per me tu sei un modello a cui aspirare. Chi era il tuo?
Non ci sono dubbi: l’eterno allenatore della nazionale russa Wiktor Tichonow, e prima ancora Anatoli Tarassow.
Tu li hai potuti seguire da vicino: come hai fatto?
Grazie a Alpo Suhonen. Suhonen è diventato un amico e mi ha aperto tutte le porte. Sono potuto andare in Finlandia a seguire i massimi club e la nazionale. Suhonen mi ha pure permesso di andare in Russia. Tichonow avrà probabilmente pensato che anche spiandolo non sarebbe successo molto, che invece di vincere 15:1 contro la Svizzera magari il match sarebbe terminato sul risultato di 14:2. Sono stato pure in Svezia, alla corte di John Slettvoll, l’artista del sistema difensivo. In Canada invece, ho vissuto nuove tendenze: la rapidità nell’arrivare sotto porta. Ho sempre portato tutto a casa e ho fuso quelle esperienze con le mie idee e piano piano è nato il mio stile.
Da dove arriva la capacità di caricare i giocatori da un punto di vista emotivo?
Probabilmente perchè sono un buon uomo. Se adottassi una linea troppo rigida, fatta di immediate conseguenze, perderei i miei giocatori. Se mi fossi sempre attenuto alle normative diffuse dalle accademie per allenatori, forse oggi sarei lì da solo sul ghiaccio.
"Una volta era sufficiente guardarsi negli occhi, oggi le coppie si lasciano per sms"
Come te la cavi con la nuova generazione? Non sei più giovanissimo.
Da quasi un anno lotto contro i risultati altalenanti. E da un anno a questa parte sento che i tempi sono cambiati. Prima i giocatori stessi mi davano una mano, c’era una sorta di auto-pulizia all’interno della squadra. Questo non me lo posso più aspettare, ma spero, che i messaggi continuino a passare senza incappare in crisi profonde.
Tu sei l’allenatore che più ha avuto successo negli ultimi decenni. Prima era più semplice grazie a dei leader come Reto Von Arx?
Sì, prima era certamente più semplice. Quella generazione non era nata con i computer, iPhone, iPad, Facebook, Twitter, Fake-News e così via. Se oggi vuoi avere successo come allenatore devi adattarti ai tempi che corrono.
È oggi più difficile creare delle relazioni personali?
Prima si era più vicini. Oggi si viene, ci si allena, si gioca e si va. Bisogna sapere sfruttare questo tempo. Non ce n’è di più. Oggi uno è sdraiato da solo davanti alla Tv, con il computer accesso e allo stesso tempo è in chat con i suoi amici. Io telefono ancora e comunico per sms. Quindici anni fa non avevo ancora un telefonino.
Ti mancano quei tempi?
No. È interessante e intrigante vedere come si può cambiare, come ci si adatta. A volte, sul ghiaccio, tento di portare vecchi valori ai miei ragazzi: non reagiscono più alla stessa maniera. Oggi bisogna agganciarli in maniera diversa.