L'intervista «Quando muore, l’uomo è più autentico che in qualsiasi altro momento della sua vita»

Sulamith Ehrensperger

3.2.2020

Guidano le persone nei loro ultimi momenti di vita: gli accompagnatori alla morte vogliono permettere alle persone gravemente ammalate di godere della qualità di vita più alta possibile fino al decesso.
Guidano le persone nei loro ultimi momenti di vita: gli accompagnatori alla morte vogliono permettere alle persone gravemente ammalate di godere della qualità di vita più alta possibile fino al decesso.
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Si evita volentieri di parlare di morte. Per Philippe Daucourt, invece, la fine della vita è parte integrante del suo lavoro. Una conversazione con un accompagnatore alla morte sulla sua vocazione, sulle persone e il trapasso.

Signor Daucourt, lei si definisce accompagnatore alla vita, ma guida le persone verso la morte. Come è arrivato a questa denominazione?

Anche se qualcuno sta per morire, io sono accanto a lui quando è ancora vivo. Quindi sono un accompagnatore alla vita e questo viene associato a un’immagine più positiva rispetto a quella dell’accompagnatore alla morte. Nella nostra società, la morte è sempre qualcosa di negativo.

Perché evitiamo di parlare della morte?

Molti hanno paura di morire, forse è per questo che è ancora un tema tabù. Nei media, invece, si parla sempre più spesso di morte, ma sempre più spesso in extremis. Però tutti sappiamo che la morte fa parte della vita.

Come è arrivato ad accompagnare i moribondi?

In passato ho lavorato nel settore assicurativo per tredici anni. Solo all’età di 30 anni ho deciso di intraprendere la professione di infermiere. Ho iniziato dal basso, come assistente infermiere nel settore geriatrico e più tardi ho lavorato in una casa di riposo per pazienti con patologie gravi. Lì ho capito di poter dare qualcosa alle persone in fin di vita e che stare con loro è un arricchimento anche per me. Sono venuto a contatto con la morte anche nella mia famiglia: mia madre è morta di cancro, mio padre aveva la SLA. (N.d.R.: La sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una malattia degenerativa del sistema nervoso centrale e periferico a rapida progressione.)

Philippe Dacourt è accompagnatore alla vita e alla morte e anche direttore regionale della Croce Rossa del Canton Berna, nella regione del Mittelland.
Philippe Dacourt è accompagnatore alla vita e alla morte e anche direttore regionale della Croce Rossa del Canton Berna, nella regione del Mittelland.
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La maggior parte delle persone si sente a disagio quando si trova di fronte a moribondi. Perché nel suo caso la situazione è diversa?

È difficile da descrivere (riflette a lungo). Col senno di poi mi rendo conto che mi sono sentito bene in quella situazione perché si tratta di un dare e ricevere reciproco. Anche le persone in punto di morte possono dare tanto. Quando muore, l’uomo è più autentico che in qualsiasi altro momento della sua vita.

Come si rivolge alle persone che se ne vanno o che spesso devono andarsene?

Il mio elisir di lunga vita è la mia curiosità costante. Ogni persona è diversa, anche nella morte. Alcune sono felicissime quando fai loro dieci domande, altre non vogliono proprio parlare. Per me è importante comprendere quali persone ho davanti, mettendo da parte i miei valori. Non dico di riuscirci sempre, ci mancherebbe.

Mio nonno aveva un atteggiamento ostile perché alla fine non era più in grado di muoversi. Quali momenti meno rosei ha vissuto?

Ci sono situazioni che bisogna sopportare. Attualmente assisto una donna che spesso mi insulta per via della sua malattia. A volte mio padre colpiva il tavolo per attirare l’attenzione perché non riusciva più a parlare. Pensavo che fosse arrabbiato, ma oggi so che cercava di comunicare.

Come affronta una simile ostilità o rabbia?

A volte emerge una storia particolare che tormenta i moribondi. Quindi mi dico che non posso sistemare tutta la storia della vita di un’altra persona all’ultimo momento. E non dovrebbe succedere neanche, perché è compito di ognuno porvi rimedio. A volte i valori cambiano radicalmente, come nel caso di mio padre. Lui aveva un atteggiamento critico nei confronti di Exit. Con la malattia, il suo pensiero poi è cambiato. La sua capacità verbale era fortemente compromessa e poiché non era più in grado di alzarsi mi chiese se potessi organizzare la sua dipartita con Exit.

Come è stata questa esperienza per lei? Normalmente lei accompagna le persone fino alla morte con cure palliative.

Non ho riflettuto neanche un secondo se la cosa fosse giusta o meno, perché non spettava a me giudicare la sua decisione. Naturalmente, da figlio, sono rimasto turbato, ma alla fine è il diretto interessato a decidere. Non credo di essere favorevole a Exit in ogni caso, ma non spetta a me persuadere gli altri delle mie convinzioni.

Ho letto racconti di persone in fin di vita che hanno dato una festa d’addio con spumante e sigarette.

Sì, è vero. Tuttavia, nella maggior parte dei casi la morte non è così spettacolare. Molti se ne vanno in silenzio, quando non c’è nessuno nella stanza. È successo a mia madre. Sono stato seduto al suo fianco per cinque giorni. Poi mio fratello mi ha chiesto se volessi accompagnarlo a prendere un caffè. Quando sono tornato, lei non c’era più.

Di solito, probabilmente non sta seduto tutto il giorno accanto al letto di morte. Cosa fanno gli accompagnatori alla morte?

Controllo di cosa le persone hanno bisogno e che cosa vogliono. Questo può variare dall'insegnare a scrivere SMS, preparare pagamenti, andare a fare acquisti, guardare insieme lo stesso film per l’ennesima volta fino semplicemente allo stare seduti ad ascoltare.

Cosa ci preme negli ultimi mesi, giorni, ore della vita?

Chi ha figli vuole essere sicuro che questi siano accuditi e che stiano bene. Molti continuano a chiedersi cosa ci sia dopo la morte, è uno dei quesiti più frequenti. Una donna si domandava se avrebbe sposato di nuovo suo marito, sapendo prima di tutte le sue relazioni. Lui a quanto pare è stato gentile e non le aveva fatto mancare nulla in vita, ma lei non era sicura.

Chi sta per andarsene teme la morte?

Alcuni hanno paura che morire possa fare male. Ho visto persone lottare fino all’ultimo momento. Altri muoiono in silenzio, sembra che lascino che succeda e basta. Ad essere sincero, devo dire che nella maggior parte dei casi non so se le persone che muoiono abbiano paura poco prima, spesso non sono lì in quel momento.

Mia nonna ha scoperto nei suoi ultimi giorni che le piacevano i crostini al salmone. L'altra mia nonna se n’è andata inaspettatamente, ma ha mostrato orgoglio fino all’ultimo minuto. In base alla sua esperienza, moriamo come abbiamo vissuto?

Penso di sì. Mi ricordo di una donna a cui piaceva giocare a «Non t’arrabbiare». Mi telefonò nel pomeriggio chiedendomi se potessi portarle una torta della Foresta Nera di Migros – le piaceva tantissimo. Giocammo davanti alla stufa in maiolica e mangiammo della torta. Poi mi salutò calorosamente come non mai e disse che forse non ci saremmo più rivisti. Non mi venne in mente niente da dire. Il mattino seguente ricevetti una telefonata da sua figlia: sua madre si era semplicemente addormentata durante la notte.

Quali sono stati alcuni degli ultimi desideri dei malati?

Una signora voleva che spingessimo il suo lettino fino alla finestra per poter guardare la luna piena. Altri hanno chiesto il loro cibo preferito, nel caso di mio padre un pezzo di camembert. Una donna voleva andare allo zoo per vedere di nuovo le giraffe. Una volta abbiamo decorato tutto il letto di una signora con animali di peluche perché ne collezionava centinaia. Nella maggior parte dei casi si tratta di desideri che possono essere soddisfatti.

Come posso sostenere qualcuno la cui vita sta per finire?

Penso che la cosa più semplice da fare sia chiedere di cosa ha bisogno. Osservare, ascoltare, percepire, vedere. A volte si nota anche che una persona non riesce più a comunicare dalla postura e dalle espressioni facciali.

Si può diventare insensibili al trapasso se si è accompagnatori alle persone in fin di vita?

Credo che la cosa non debba stressarmi, ma ci penso spesso. Non sarebbe bello se non fosse così. Lo scambio con i colleghi e la mia compagna mi aiuta, ma anche ascoltare musica, così posso immergermi per un attimo nel mio mondo. A volte mi ritrovo a non pensare a nulla.

Ha paura della morte?

Non della morte stessa, non mi preoccupo tanto di questo. Ho più paura del dolore - di incidenti o malattie, per esempio. Quello che mi turba molto è il pensiero di cosa succederebbe se non dovessi più essere capace di intendere e di volere e qualcuno dovesse decidere per me. Infatti ho già organizzato tutto. Decidiamo della nostra vita quando viviamo - perché non dovremmo decidere anche quando stiamo morendo? Dopotutto, viviamo fino all’ultimo momento della vita.

Qui trovate servizi di assistenza e consulenza della Croce rossa svizzera (CRS) e i referenti della vostra zona.

La CRS offre dei corsi per coloro che vogliono fare gli accompagnatori alla morte volontari con regolarità.

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