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Intervista Bradley Cooper: «Ho saputo subito che sarebbe stata lei»
Marlène von Arx a Los Angeles
6.9.2018
«A Star Is Born», il primo film diretto da Bradley Cooper, è stato appena presentato a Venezia, in anteprima mondiale, davanti ad un pubblico particolarmente entusiasta. Prima di arrivare al festival italiano, il regista ha parlato con una giornalista di «Bluewin» a Los Angeles. Ha ricordato il giorno in cui scoprì gli occhi di Lady Gaga, la sua esperienza nei festival all’aperto e il suo debole per le storie d’amore che finiscono male.
La fine dell’estate si avvicina. Mentre, in questo tardo pomeriggio, la maggior parte dei dipendenti della Dolby Studio di Burbank è già partita per il week-end, Bradley Cooper ha ancora alcune cose da terminare: oggi è un venerdì 13 e tra poco presenterà alla stampa il film «A Star Is Born», la sua prima produzione in qualità di regista. Ma lui non è scaramantico.
«Bluewin»: Bradley Cooper, «A Star Is Born», il suo primo film da regista, sarà presto presentato al pubblico. È nervoso?
Bradley Cooper: Sinceramente no, perché ho fatto il film che volevo fare. Se mi fossi lasciato influenzare, sarebbe stato certamente molto diverso. Ma sono io ad aver preso ogni decisione. La riuscita del film dipende interamente da me.
È la prima volta che indossa i panni del regista. Non aveva diretto nulla prima, neanche un cortometraggio, eppure si è lanciato.
È vero. Mi era stato consigliato di provare prima con la regia di un episodio di serie tv, ma non sapevo da dove cominciare. Non avevo un’idea chiara, idea che avevo invece per «A Star Is Born», poiché ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura. Col senno di poi, ho avuto la conferma che occorresse seguire il proprio istinto. Farò tutto nello stesso modo in futuro. Istinto e volontà formano una combinazione perfetta.
«A Star Is Born» è stato adattato già più volte al cinema, in particolare con Kris Kristofferson e Barbara Streisand. Perché ha scelto proprio questa storia, che parla di una coppia nel mondo della musica, riadattandola ai tempi attuali?
La musica ha avuto sempre un ruolo chiave nella mia vita. Già da bambino, sapevo che un giorno avrei potuto recitare la parte di un musicista. Inoltre, adoro le storie d’amore, soprattutto quelle autentiche e che finiscono male. D’altra parte, sapevo che un giorno mi sarei dovuto mettere alla prova nella regia. Avevo 41 anni e la Warner Bros aveva fiducia in me. Il momento era arrivato.
Perché le piacciono le storie d’amore che finiscono male?
Auguro a tutti di conoscere l’amore e la perdita dell’essere amati. L’amore può metterti in ginocchio o darti un paio di ali. Per me, i film hanno una funzione curativa. Se amo così tanto il mio lavoro, è perché raccontare delle storie è un po’ come organizzare una terapia di gruppo. Penso che non esista migliore tema dell’amore tra due persone per favorire la guarigione.
Lei recita la parte di una rockstar dimenticata che aiuta Lady Gaga, una sua scoperta, a sfondare nel mondo della musica. Beyoncé e Jennifer Lopez erano state selezionate per questo ruolo. Perché alla fine ha scelto Lady Gaga?
Ho sentito Lady Gaga cantare «La vie en rose» nel corso di un galà di beneficienza a favore della ricerca sul cancro. È stato incredibile. Il giorno dopo, ho chiesto ai suoi agenti di organizzarmi un colloquio. Non sapevo chi fosse: l’avevo incontrata una volta sul palcoscenico della trasmissione «Saturday Night Live», ma non sapevo che volto avesse. Sono così andato verso di lei e per la prima volta ho scoperto i suoi magnifici occhi. Ho un debole per gli occhi! Non so cosa mi sia preso, ma nel giro di cinque minuti le ho chiesto se potevamo cantare qualcosa insieme. Perché se non avesse funzionato, sarebbe stato impossibile nel film. Abbiamo intonato «Midnight Special» con il suo pianoforte e ho subito capito che sarebbe stata lei e non un’altra.
E come sono state le riprese con lei?
Si è mostrata molto aperta. È incredibilmente intelligente e dotata di una voce sublime. Non avevo mai realizzato a che punto sia straordinaria. Nonostante tutto, mi sono potuto identificare in lei. Veniamo da situazioni molto simili, poiché siamo entrambi di origini italo-americane: la chiamo Stefani, poiché si chiama in realtà Stefani Germanotta. Penso che sia la prima volta che ho trovato così tante affinità con un’attrice.
È vero che ha voluto che tutte le canzoni fossero cantate live?
La formula forse non è stata scelta bene. Mi ha supplicato e io stesso mi sono reso conto che era il solo modo per far sì che le cose apparissero autentiche. Non vorrei neppure cambiare il modo in cui abbiamo girato. Ho deciso di filmare i concerti dal palcoscenico. Parecchi anni fa, avevo assistito ad un concerto dei Metallica da dietro le quinte ed ero rimasto impressionato da quella prospettiva, alla quale gli spettatori non hanno mai accesso. Dal momento che volevo mostrarla nel film, la telecamera era molto vicina agli attori. In un contesto simile, non si può fare finta di cantare.
Quali sono le sue preferenze e influenze in materia di musica?
Per il ruolo di Jackson, ho voluto riprendere i suoni potenti della chitarra di Neil Young. La voce era un misto: un po’ di Eddie Vedder, di Tom Petty e di Bruce Springsteeen. E la musica si situa tra il country e il rock. Se avessi avuto più tempo per la preparazione, sarebbe stata ancora più rock. Se mi avessero lasciato fare, avremmo avuto anche diritto a un po’ di heavy metal (ride). In ogni caso, la musica si intensifica nel corso del film. Detto ciò, Thom Yorke e i Radiohead sono quelli che mi hanno influenzato di più: Jackson è dunque il risultato di 43 anni di musica.
Per le necessità del film, vi siete esibiti in parecchi festival all’aperto. Come ha vissuto questa esperienza?
Forse non dovrei dirlo, ma abbiamo girato l’inizio del film sul palcoscenico Stagecoach di Coachella. Willie Nelson ci aveva concesso otto minuti del suo tempo nel corso del concerto. Tuttavia, il festival che ho amato di più è quello di Glastonbury, nel Regno Unito. Ci vado ogni anno. È stato creato negli anni Settanta. All’inizio, i musicisti erano pagati con del latte, perché il festival era organizzato nel bel mezzo di un allevamento di bovini. Oggi si tratta del più grande evento privato all’aperto del mondo. Ai miei occhi, ogni musicista che si rispetti dovrebbe suonare lì un giorno. Sognavo di vedere Jackson cantarci, davanti a 80.000 persone. Kris Kristofferson ci ha suonato l’anno scorso e ci siamo accordati per quattro minuti di girato all’inizio del suo concerto. Ho ancora la pelle d’oca quando ci penso. Poi ho avuto l’immenso onore di poter annunciare: «Signore e signori, mister Kris Kristofferson!». Il che andava al di là dei miei sogni più folli.
«A Star Is Born» uscirà nelle sale svizzere il 3 ottobre.
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