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Sanità «I bravi chirurghi sono coscienti che il contributo dell'anestesista è vitale»
Bruno Bötschi
27.3.2019
L'anestesia spaventa molti pazienti. Peter Müller, dirigente medico del reparto Anestesia presso l'Ospedale cantonale di Aarau, spiega come funziona la fase preoperatoria. E racconta tutto ciò che ha vissuto in sala operatoria negli ultimi 30 anni.
Signor Müller, i medici delle serie TV sono quasi sempre chirurghi. Quale potrebbe essere la ragione per cui il pubblico televisivo è meno interessato al suo lavoro di anestesista?
Probabilmente noi anestesisti siamo dei personaggi un po’ troppo discreti; e poi tutto è iniziato con la chirurgia. L'anestesia è, invece, un reparto relativamente giovane. Fino al primo intervento con anestesia eseguito nel 1846 a Boston, negli Stati Uniti, il paziente veniva operato in piena coscienza oppure gli venivano somministrati erbe medicinali o alcool come anestetici.
La maggior parte delle persone ha molta paura dell'anestesia. Sa dirci perché?
Molti pazienti, sia uomini sia donne, hanno un approccio più rigoroso nei confronti dell'anestesia piuttosto che nei confronti dell'intervento in sé. E sebbene io lavori da oltre 25 anni come anestesista nell'Ospedale cantonale di Aarau, non riesco ancora a spiegare esattamente il perché. Probabilmente il motivo può essere collegato al fatto che, durante un'anestesia generale, il paziente si affida completamente alle mani di persone che non conosce e rinuncia alla propria autonomia per un certo lasso di tempo.
Il primo incontro tra il paziente e l'anestesista avviene durante la visita anestesiologica. In quell’occasione, vengono forniti dei chiarimenti solo per il paziente o anche per il medico?
Obiettivo della visita è cercare di conoscere meglio il paziente, capire se ha qualche timore e, se si, di quali paure si tratti. In questo modo ci rendiamo conto del suo stato fisico preoperatorio e capiamo se abbiamo a che fare con una persona «peccatrice» oppure disciplinata (ride).
Perché il paziente non deve sottostimare il suo peso?
Perché in questo modo possiamo prevedere meglio il dosaggio dell'anestetico. Ma, onestamente, con me nessun paziente ha mai sottostimato il proprio peso di oltre cinque o dieci chili.
Cos'altro deve sapere l'anestesista riguardo al paziente?
L’anestesista esegue l'auscultazione di cuore e polmoni e verifica anche lo stato di mobilità delle articolazioni. Tra le altre cose, esamina il volto del paziente e verifica il corretto funzionamento dell'articolazione temporo-mandibolare nonché lo stato di mobilità del collo.
Come mai viene eseguito proprio questo genere di esami?
Se la mobilità del collo è limitata, potrebbero verificarsi dei problemi in fase di intubazione, nel senso che potrebbe essere più difficile introdurre e posizionare correttamente il tubo endotracheale.
Per lo stesso motivo, è prevista anche un'analisi dello stato dentale in fase preoperatoria?
Esattamente. Se i denti sono cariati o addirittura traballanti, vi è il rischio che l'intubazione possa causare danni dentali fino alla caduta dei denti stessi. Ma niente paura: con una dentatura sana, ciò non accade quasi mai.
La psiche del paziente gioca un ruolo ugualmente importante per la sicurezza dell'intervento?
Si. Durante la visita anestesiologica, faccio del mio meglio per non spaventare il paziente e mi limito a illustrargli quali siano le possibili complicanze più importanti legate all’intervento. Per esempio, non direi mai a un paziente che con un'anestesia locale la probabilità di malriuscita di un intervento è del 5%; piuttosto preferisco dirgli che al 95% delle probabilità l'intervento viene eseguito con successo.
Nel suo caso, dunque, il bicchiere è sempre mezzo pieno anziché mezzo vuoto.
Si, esatto.
Prima la compressa, poi l’iniezione: è vero che al paziente viene somministrato un tranquillante prima dell'anestetico?
Si, è così. Di norma al paziente viene somministrato un tranquillante per via orale nel locale dove viene effettuata la preanestesia. Dunque il paziente è già abbastanza calmo nel momento in cui viene portato in sala operatoria. Ma è ancora in grado di conversare e comunicare i propri dati personali.
È vero che oggi si tende a dare un tablet ai bambini in fase preoperatoria perché si ritiene che sia in grado di attirare del tutto la loro attenzione, ottenendo lo stesso effetto della somministrazione di un tranquillante?
Ho già sentito parlare di questa manovra diversiva, ma noi dell'Ospedale cantonale di Aarau non la pratichiamo. Tuttavia, molti dei nostri aiuti primari sono padri di famiglia e di solito hanno dei video di breve durata sul loro smartphone che i bambini possono guardare. Mettiamo a disposizione dei pazienti più piccoli anche delle bambole di pezza con cui poter giocare. A volte canto qualcosa ai bambini. In ogni caso, il tranquillante viene somministrato anche a loro prima di operarli.
Esiste un metodo altrettanto delicato per tranquillizzare gli adulti prima dell'operazione?
No. Per gli adulti, l'anestesista ricorre all'intervento di un animatore. Noi anestesisti riteniamo, infatti, che l’umorismo possa avere la stessa efficacia di un sedativo. Il mio repertorio di base per i pazienti apprensivi è un aforisma di Linus van Pelt tratto dalla striscia a fumetti umoristica «Peanuts »: «La puntura d'ago non fa male se si impugna l'ago dal lato giusto.» Tutte le volte sfrutto il momento in cui il paziente reagisce alla battuta per iniettare l'anestetico, tanto che a malapena egli riesce a sentire l'ago entrare nella pelle.
C'è davvero chi desidera confessarsi negli ultimi secondi che precedono l'iniezione?
A me non è mai successo di dover rispondere a una richiesta del genere. Di tanto in tanto, i pazienti cercano di raccontare qualche aneddoto della loro vita quotidiana prima che l'anestesia faccia effetto. Spesso si tratta di pazienti molto tesi. Ma la maggior parte delle volte, solo le prime parole dei loro racconti vengono pronunciate chiaramente: subito dopo il loro linguaggio inizia ad assopirsi e diventa incomprensibile. In questi casi, tendo a mettere la mia mano sulla loro spalla. Questo serve a tranquillizzarli e assicura, tra l'altro, che si addormentino rapidamente.
Capita che i pazienti vogliano chiamare qualcuno prima dell'anestesia?
I pazienti di emergenza fanno spesso questa richiesta. E naturalmente la accogliamo.
È previsto un lasso di tempo massimo entro il quale il paziente debba necessariamente risvegliarsi dall'anestesia generale?
Non ci sono limiti di tempo in tal senso. Conosco gemelli siamesi che sono stati anestetizzati per 36 ore durante l'intervento di separazione. Questo è un caso estremo, naturalmente. L'anestesia più lunga che ho somministrato personalmente è durata dodici ore.
In quest'arco di tempo, è sempre stato accanto al paziente?
Si, quasi per tutto il tempo. Certamente faccio qualche pausa per andare in bagno o mangiare qualcosa al volo, ma in sala operatoria resta sempre un sostituto adeguato in grado di fare le mie veci.
Ciò che accade nel cervello durante l'anestesia è ancora un mistero.
Perfino per me (ride).
Così come tuttora non sappiamo perché noi umani sogniamo.
Gli umani sono esseri davvero complicati.
Finora sono stato sottoposto a tre anestesie generali: alla prima, subito dopo essermi svegliato, ho pensato che avrei potuto riprendere semplicemente la conversazione iniziata prima dell’intervento e che, quindi, avevo soltanto chiuso gli occhi per un breve lasso di tempo. Anche i suoi pazienti sperimentano questo tipo di sensazione?
Non si tratta di qualcosa di atipico. Ci sono pazienti che, dopo l'anestesia, raccontano i loro sogni. Anni fa ho dovuto anestetizzare un collega per via endovenosa. Quando si è risvegliato, mi ha raccontato di aver sognato di essere un medico di guardia della Rega (Guardia aerea svizzera di soccorso) e di essere atterrato su un ghiacciaio. In cima al ghiacciaio c'era una bionda con indosso solo un bikini ed era lei la persona che avrebbe dovuto soccorrere. L'ho trovato molto divertente.
Cos'altro succede dopo il risveglio?
Ci sono pazienti che si risvegliano molto euforici e dicono: «Wow, ho dormito davvero bene.» Quando succede lo trovo meraviglioso, perché significa che sono riuscito a dosare gli anestetici e gli antidolorifici in modo tale che il paziente fosse a malapena consapevole di essere sotto i ferri.
Come fa a rendersi conto se, durante un intervento, il paziente è sufficientemente anestetizzato?
I classici elementi chiave sono una circolazione e una frequenza cardiaca costanti. Segni vegetativi come sudorazione o lacrimazione possono essere segnali di stress, mentre l'ipertensione è la manifestazione sintomatica del dolore. Oggigiorno la profondità anestetica può essere controllata anche tramite elettrodi che misurano le onde cerebrali. Questo metodo facilita il compito di capire quando l'effetto del farmaco sta diminuendo.
In media, ogni 2 anestesie su 1.000, il paziente si sveglia durante l'intervento, ma la maggior parte delle volte il risveglio è impercettibile perché i suoi muscoli sono del tutto debilitati. Una scena decisamente terrificante anche solo immaginandola.
Comprendo la paura, ma questi casi sono davvero molto rari. Inoltre, il fattore cruciale è determinare se l’«anesthetic awareness» sia associata o meno al dolore.
Le è mai capitato qualcosa del genere con un suo paziente?
Una volta: è successo circa 15 anni fa, durante un intervento di routine. Dopo il suo risveglio, ho notato che il giovane paziente si comportava in modo completamente diverso rispetto a prima dell'inizio dell’intervento. Sembrava stressato e spaventato. Durante il consulto che ho poi avuto con lui, il giovane è stato in grado di citare i singoli passaggi della conversazione che abbiamo avuto nel corso dell'intervento.
È bastato quel consulto a tranquillizzarlo o il caso ha richiesto ulteriori trattamenti per consentirgli di elaborare l'esperienza al meglio?
Il consulto ha avuto esito positivo, ma io e i miei colleghi abbiamo preferito richiedere comunque una consulenza psicologica per il paziente. Volevamo giocare sul sicuro. In seguito, l'uomo per fortuna non ha avuto ulteriori problemi.
L'anestesista di Monaco Dirk Schwender fece leggere ai suoi pazienti la storia di Robinson Crusoe in formato audiolibro durante l'anestesia. Una volta risvegliati, i pazienti naturalmente non ne sapevano nulla, ma quando è stato chiesto loro che cosa associassero alla parola «venerdì», molti di loro hanno risposto significativamente: Robinson Crusoe.
Questo lavoro mi ha impressionato molto. Tra le altre cose, ha dimostrato che, a seconda dell'anestetico, la funzionalità delle vie uditive non viene compromessa durante un intervento. Oggigiorno si utilizzano anestetici che, ad un determinato dosaggio, pregiudicano la funzionalità delle vie uditive.
Durante gli interventi eseguiti presso l'Ospedale cantonale di Aarau viene riprodotta della musica. Me lo conferma?
Si, certo.
I medici hanno tutti gli stessi gusti musicali?
No. Ogni tanto insorgono delle discussioni sul gusto musicale del chirurgo e, se serve molta concentrazione, la musica viene spenta.
Che musica ascoltate?
Radio Argovia, ma onestamente non mi piace molto.
Non le piace la musica in generale?
Al contrario: amo la musica. Ma ritengo che i miei colleghi potrebbero non avere i miei stessi gusti musicali.
Quali sono i suoi generi preferiti?
Jazz e musica classica.
Se c'è un addormentamento ottimale, esiste anche un risveglio ideale?
Certamente: un minuto dopo l'applicazione della fasciatura, senza pressione alta, senza tachicardia, molto delicatamente: questo è il risveglio ideale.
Di solito fa in modo che l'ultima persona con cui il paziente parla prima di sottoporsi all’intervento sia anche la prima a parlargli al suo risveglio?
Considerato l’attuale andamento delle cose, questo non è più possibile. Nell'Ospedale cantonale di Aarau lavorano 70 anestesiste e anestetisti e la chirurgia centrale consta di 14 sale operatorie. In ogni sala, operano quotidianamente da tre a otto persone in parallelo.
Lei lavora come anestesista nell'Ospedale cantonale di Aarau da oltre 25 anni. Quali sono stati i cambiamenti più importanti avvenuti in questo lungo arco di tempo?
Il lavoro è diventato sempre più impersonale. Oggi ci prendiamo cura di molti più pazienti, sia donne che uomini, e nell'Ospedale lavorano molte più persone, di entrambi i sessi. In passato, il paziente veniva accolto in ospedale per poi essere operato il giorno successivo ed essere sottoposto, il terzo giorno dall’accettazione, a un’ulteriore visita prima delle dimissioni. Oggi la situazione è completamente diversa: il day hospital è ormai il nostro pane quotidiano.
La infastidisce, ogni tanto, che il cittadino medio non sia quasi per nulla interessato al suo ramo di specializzazione?
No.
Dopo un intervento ben riuscito, i chirurghi sono sempre visti come eroi.
Questo non è un problema per me, perché i chirurghi di un certo livello sanno esattamente che importanza abbia l'anestesia ai fini della buona riuscita dell'intervento.
Quindi i «semidei in bianco» non esistono più?
In realtà sono in via di estinzione e questa è davvero una buona cosa.
Modella con entrambe le gambe amputate