Pandemia Covid, la Svizzera deve rivedere la sua strategia sui dati?

Valérie Passello

14.4.2021

Immagine d'illustrazione / archivio
Immagine d'illustrazione / archivio
KEYSTONE/PETER KLAUNZER

Per Monique Lehky Hagen, co-presidente della Conferenza delle Società Mediche Cantonali (CMC), la modalità di raccogliere e presentare i dati scelta dal nostro paese rende impossibile il confronto tra la prima, la seconda e la terza ondata pandemica. I cambiamenti sulla strategia dei test rendono difficile la possibilità di anticiparne correttamente l’evoluzione. I medici di famiglia, inoltre, dovrebbero essere più coinvolti.

Dall’arrivo nelle nostre vite del Covid-19 ormai più di un anno fa, la popolazione, così come il personale sanitario, ha dovuto adattarsi a regole basate su dati lacunosi, incertezze e costanti ripensamenti. L'emergenza attuale, invece, potrebbe portare l'essere umano a sviluppare le sue competenze, ad adattarsi, ad apprendere dai suoi errori, a comprenderli e a migliorarsi, come in ogni nuova situazione.

Ma per Monique Lehky Hagen, l'emergenza pandemica «mette in luce anche tutti i problemi del nostro sistema e la nostra mancanza di alfabetizzazione sociale» che ostacolano questo processo. Evoca in particolare il «caos delle cifre» in Svizzera e a livello mondiale, che impedisce di rispondere in maniera adeguata alle questioni legittime che si pongono, quando invece dovremmo disporre di dati diversificati per comprendere meglio questo virus che si presenta in maniera molto diversa a seconda dei pazienti che lo contraggono.

Monique Lehky Hagen
Monique Lehky Hagen
La dottoressa Monique Lehky Hagen è medico di famiglia che esercita a Briga-Glis, in Vallese. Oltre ad essere la co-presidente della Società Mediche Cantonali (CMC) è anche la presidente della Società medica vallesana.

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Di fronte alla complessità della crisi e a dati poco comprensibili, la copresidente della CMC osserva una tendenza generale: «Le polarizzazioni si verificano ovunque. Assistiamo a diverse frustrazioni che si accumulano da una parte all’altra e ci fa male vedere che stiamo progressivamente diventando una società che perde l’orientamento e la fiducia nei confronti del mondo scientifico e politico. Se questa crisi non si risolverà rapidamente, diventerà sempre più difficile gestire la situazione.

La teoria degli «Smarties»

Per Monique Lehky Hagen, la penuria di test durante la prima ondata ha condotto a un comportamento di screening molto mirato: «All’epoca si testavano soltanto le persone a rischio che presentavano dei sintomi forti e un alto rischio di ospedalizzazione», ricorda.

Per visualizzare la sua idea, la dottoressa paragona la popolazione a una confezione di Smarties. «All’inizio, si analizzavano unicamente gli Smarties rossi, e dunque le cifre riflettevano solo questa parte del 'pacchetto di caramelle'. Ed è giustamente questa che ci interessa, poiché è quella che può causare i ricoveri e il lockdown».

«I medici di famiglia possono fornire delle informazioni molto importanti, più ampie di semplici statistiche»

Monique Lehky Hagen

Nell'estate 2020, essendo la Svizzera ormai sufficientemente fornita in materia di test, essi vengono estesi a una più ampia frangia di persone, con un profilo di rischio diverso. «Osservando i grafici della Confederazione, ci accorgiamo che tutti i “casi” appaiono nella stessa curva. Tuttavia, non possiamo paragonare i dati della prima e della seconda ondata, poiché facendo così, analizziamo tutti i colori degli Smarties con le proporzioni fluttuanti degli Smarties rossi», osserva la dottoressa.

L’arrivo degli autotest cambia per la terza volta le carte in tavola: «Ecco che si modificano di nuovo tutti i riferimenti. La gente si testa da sola, cosa che aggiunge ancora più colori agli Smarties, ma alcuni non si annunceranno più e così perderemo dei rossi, quei sintomatici a rischio che finora andavano a farsi testare in strutture appropriate.»

La copresidente della CMC è rammaricata: «Manca una strategia di rilievo dei dati consistente, proattiva e di qualità sufficiente che sarebbe indispensabile per permettere delle previsioni utili. Malgrado questo, utilizziamo comunque questi dati per fare delle previsioni sofisticate.»

Autotest: «Un miliardo gettato dalla finestra»

Dal 7 aprile, sono disponibili in farmacia gli autotest, una nuova offerta che costa 1 miliardo di franchi alla Confederazione e che si inscrive nella sua strategia di screening massiccio, con l’obiettivo di arginare la propagazione del virus nel paese.

Se da un lato l’intenzione è lodevole, Monique Lehky Hagen osserva però che la misura può rivelarsi controproducente e addirittura indurre in errore una popolazione male informata: «Per me, è un miliardo gettato dalla finestra. Questi test presentano dei margini di errore considerevoli a seconda del contesto di utilizzo. Una persona che perde l’olfatto otterrà forse un risultato negativo e sarà rassicurata. Tuttavia la perdita di olfatto nel contesto attuale è un segno che non trae in inganno: questa persona avrà dunque contratto il virus, ma penserà che non sia così.»

Diventa così cruciale avvisare i cittadini: in caso di sintomi, anche se un autotest è negativo, è raccomandato l’isolamento, oltre che un test PCR ad hoc. Sul suo sito internet, l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) rileva infatti la minore affidabilità degli autotest rispetto ai PCR. «È giudizioso utilizzare un autotest prima di un incontro che deve aver luogo (per esempio prima di un barbecue all’esterno o prima di una seduta di allenamento in un club sportivo per giovani) e questo dev’essere effettuato immediatamente prima dell’incontro», precisa.

Coinvolgere i medici di famiglia

Lei stessa medico di famiglia a Briga-Glis in Vallese, Monique Lehky Hagen si mostra critica nei confronti di un sistema «ospedalecentrico», che, a suo dire, non lascia sufficientemente la parola ai medici di base, che sono quelli in prima linea: «C’è talmente tanto potenziale in ambito ambulatoriale. I pazienti si fidano dei medici di famiglia e questi ultimi conoscono bene le persone che frequentano il loro studio. Possono fornire informazioni molto importanti, molto più ampie di semplici statistiche, che permetterebbero di apportare delle sfumature alle cifre, oltre ad elementi utili per evitare di essere invasi dalle urgenze in seguito.»

Dei progetti di ricerca in ambito ambulatoriale riguardo le cure e i trattamenti applicati ai pazienti in maniera precoce, con una considerazione globale del loro profilo medico, permetterebbe così di migliorare le conoscenze di tutti.

Confusione tra digitalizzazione e alfabetizzazione dei dati

Già nel luglio 2020, un appello a una campagna nazionale urgente di alfabetizzazione dei dati (capacità di raccogliere, gestire, valutare e applicare i dati in maniera critica) è stato lanciato da una cinquantina di medici, statistici e personalità di diverse professioni. «Nel bel mezzo di una crisi dalle proporzioni enormi, abbiamo bisogno con urgenza di dati e statistiche degne di fiducia e di buona qualità. Al posto di ciò, invece, disponiamo di una marea di dati e informazioni nella quale rischiamo di annegare», avvisava in particolare il testo.

Interpellato dal Consiglio degli Stati, il Consiglio Federale rispondeva nel novembre scorso di aver «già attivato» un numero sufficiente di misure che puntava alla padronanza dei dati. Ma Monique Lehky Hagen lamenta: «Il Consiglio Federale ha confuso i concetti di digitalizzazione e di alfabetizzazione dei dati. La Svizzera fa dei grandi sforzi di digitalizzazione, senza preoccuparsi sufficientemente dell’alfabetizzazione dei dati. È un po’ come se si insegnasse alle persone a scrivere a macchina, quando non sanno leggere né scrivere. Noi sappiamo utilizzare le macchine, senza coltivare il nostro spirito critico. E questo mi fa molta paura.»

«Ridiventare umili»

La dottoressa si è inoltre espressa sulla questione dei dati che riguardano la pandemia che viviamo, presentando all’UFSP, a fine gennaio 2021, un progetto battezzato «Covid-Sentinella-plus». L’idea è quella di instaurare un partenariato tra tutti gli attori in campo, politici, statistici, medici e pazienti, per una raccolta di dati a valore aggiunto, che permetterebbe un’analisi critica e costruttiva.

«Non si tratta di colpevolizzare chiunque su ciò che è stato fatto fino ad ora, ma di ridiventare umili e chiedersi cosa si sa, cosa si ignora e come possiamo agire insieme. L’arrivo degli autotest sarebbe un’opportunità di ripartire su nuove basi», riassume.