Intervista Un nuovo libro per Yari Bernasconi: «In poesia non servono grandi parole»

sifo, ats

17.6.2021 - 12:19

Un incontro con Yari Bernasconi, giovane poeta ticinese, in occasione dell'uscita del libro «Neue staubige Tage/Nuovi giorni di polvere» (Limmat Verlag 2021) che oltre ai testi in italiano contiene la traduzione in tedesco dell'omonimo libro pubblicato nel 2015.

17.6.2021 - 12:19

Tradotto in francese nel 2018, «Nuovi giorni di polvere» ha riscontrato un ottimo successo ottenendo nel 2016 il Premio Terra Nova della Fondazione Schiller e il Premio Castello di Villalta Poesia Giovani 2015. Bernasconi non si definisce cambiato in seguito a questi riconoscimenti ma senz'altro più incline a dedicare tempo alla scrittura, forse con qualche senso di colpa in meno.

Come afferma lui stesso, si muove «quasi nella clandestinità» ritagliandosi momenti per scrivere nel tempo libero, non senza il «timore di essere prima o poi smascherato». Come scrive Yari Bernasconi? Annota sensazioni e frasi sul suo taccuino, altre volte si mette davanti al computer e cerca di riordinare i suoi versi, lasciandosi sempre guidare dalla necessità della scrittura.

Ha scelto la poesia perché «è un linguaggio che ha le sue peculiarità e tocca fra le altre cose le corde delle emozioni». Quello che più lo affascina è lo «spazio bianco» che offre, ciò che non è detto e può essere completato dai lettori. Provocatoriamente dice inoltre che «i libri sono sempre infinitamente più interessanti di chi li ha scritti»: sono infatti i lettori, leggendo e interpretando, a dare vita ai libri.

Le radici ticinesi risalgono al papà del nonno paterno

Nato e cresciuto in Ticino, con un cognome tipicamente ticinese, ma da madre italiana e padre metà italiano e metà bernese, le radici ticinesi risalgono infatti al papà del nonno paterno. Bernasconi potrebbe definirsi come «il classico figlio di migranti cresciuto però lontano dallo stereotipo».

Un'eredità che lo porta a riflettere sulla sua identità lungo tutto il libro e in particolare nell'ultima sezione, «Se camminiamo». Perché «Nuovi giorni di polvere» non è pensato come una mera raccolta di poesie, bensì come un percorso, un'evoluzione nella costruzione della propria identità.

In «Conosci il mare», una delle poesie a cui Bernasconi è più legato e che è dedicata alla terra d'origine della madre, scrive di «un nodo passeggero che è nostalgia / ma di seconda mano». Si fa così portatore di un sentimento identitario acquisito per eredità.

Un libro anche cupo e contenente temi traumatici

Un libro anche cupo e contenente temi traumatici agli occhi del lettore, «Nuovi giorni di polvere» rappresenta per Bernasconi piuttosto una certa «aderenza alla realtà, che non è sempre felice» tenendo conto pure della sua complessità.

Testimone di questi traumi è ciò che accade a Dejevo, villaggio situato sull'isola di Saaremaa, in Estonia, un luogo che sta molto a cuore a Bernasconi siccome proprio lì ha sentito per la prima volta l'urgenza di scrivere. «Lettera da Dejevo», che apre il libro, è una poesia ricca di cemento e asfalto che testimonia il suo fascino per la materia.

Anche ciò che normalmente non è fatto di questo materiale grigio e solido muta, come indicano «il muro di piante» o ancora «le voci incementate». Ma il cemento di Dejevo ha un significato che va al di là delle sue mura e delle macerie, portando con sé le testimonianze della guerra.

Dieci anni dopo, il poeta è tornato nel luogo in cui tutto ebbe inizio, scoprendo però che le rovine erano state definitivamente smantellate. Bernasconi ci ha confidato che questo secondo viaggio sarà uno dei temi del prossimo libro, la cui uscita è prevista a settembre.

Oltre al cemento, la polvere è onnipresente nel libro e come indica lui stesso «è uno dei materiali che più si insinuano nelle nostre vite». Che sia sotto forma di vera e propria polvere, polveri dovute all'inquinamento, ai cantieri o di cenere vulcanica come nella sezione «La montagna di fuoco».

L'appartenenza a una «geografia mobile»

Nel libro, Bernasconi racconta anche l'appartenenza a una «geografia mobile», come la definisce lui, che permette di sentirsi a casa anche in luoghi lontani e momenti insospettabili, come succede in «Warschauer Strasse» o «Connemara».

Considerando il testo e la sua traduzione in tedesco si può notare in alcuni passaggi come quest'ultima si discosti dall'originale per precisare un significato dei versi, come avviene per «Il furgone» tradotto sia nel titolo che nel testo con «Der Leichenwagen» (il carro funebre). Bernasconi ha discusso con la traduttrice Julia Dengg, per chiarire alcuni passaggi del libro. In ogni caso, egli ritiene che il traduttore sia un lettore privilegiato: quando il testo prende un'ulteriore direzione grazie alla traduzione, Bernasconi pensa che sia «l’espressione più luminosa ed affascinante della letteratura».

Un'ulteriore particolarità del libro è l'uso del negativo, una formula cui Bernasconi ricorre spesso: certe volte non abbiamo la possibilità di affermare qualcosa, eppure sappiamo quello che non vogliamo, come direbbe Eugenio Montale. Ne è un esempio il verso che chiude «Cartolina notturna», una poesia che testimonia il suicidio di un uomo e che termina con «quella solita via di fuga che noi non prenderemo».

Ci lasciamo con una dedica di ciò che la poesia può essere, tratta da «Cartolina notturna n.2»: «Non servono grandi parole: la strada è questa, / bagnata. Siamo insieme e inseguiamo la notte».

sifo, ats