Un anno dopo Si complica il rompicapo sulle origini del Covid-19

ATS

12.1.2021

Il medico Li Wenliang era stato accusato dalla polizia di aver «diffuso delle voci», prima di soccombere al Covid-19 nel febbraio 2020 (AP Photo).
Il medico Li Wenliang era stato accusato dalla polizia di aver «diffuso delle voci», prima di soccombere al Covid-19 nel febbraio 2020 (AP Photo).
Keystone

Dapprima il panico in Cina, poi l'opacità del sistema comunista, infine le accuse di Donald Trump: un anno dopo la morte della prima vittima del Covid-19, la strumentalizzazione politica dell'epidemia allontana la possibilità che un giorno si conosca finalmente l'origine del virus.

L’11 gennaio 2020, Pechino annunciava che due giorni prima era deceduta la prima vittima a causa del nuovo coronavirus: si trattava un uomo di 61 anni che faceva regolarmente la spesa in un mercato di Wuhan, metropoli di 11 milioni di abitanti nella Cina centrale.

La morte di quest’uomo, il cui nome resta sconosciuto, sarà seguita dal decesso di circa 1,9 milioni di persone in tutto il globo nell'arco di un anno.

Sconosciuta la data della comparsa

Se da un lato è chiaro che l'epidemia si è manifestata per la prima volta alla fine del 2019 nel vasto mercato Huanan di Wuhan, dove venivano venduti animali selvatici, l'origine del nuovo coronavirus non è però da situare necessariamente lì.

Semplicemente perché ci vuole molto tempo perché un virus possa mutare al punto da diventare altamente contagioso, sottolinea l’epidemiologo Daniel Lucey, dell'Università Georgetown a Washington.

Il fatto che il virus fosse molto contagioso durante la sua segnalazione nel dicembre 2019 significa che circolava già da molto tempo.

«Non è assolutamente plausibile» che il virus sia stato generato nel mercato di Wuhan, secondo il professore Lucey. «È comparso naturalmente diversi mesi prima, forse un anno prima, forse ancora prima».

L'OMS tenuta in disparte

Il problema: le autorità cinesi, desiderose di sbarazzarsi di qualsiasi responsabilità nella comparsa del virus, tentano di accreditare senza prove una teoria secondo la quale l'epidemia sarebbe stata introdotta in Cina dall’estero.

Esse mostrano come alcune tracce del virus siano state scoperte in acque utilizzate in Italia o in Brasile prima della comparsa della malattia a Wuhan. Ma queste analisi non provano nulla circa l’origine del virus, secondo alcuni esperti.

Dal gennaio 2020, gli stessi ricercatori cinesi designano il mercato di Huanan come l'origine dell'epidemia, contrariamente a studi precedenti che rivelano che alcuni tra i primissimi pazienti non avevano legami con questo sito.

La città di Wuhan è posta in quarantena il 23 gennaio, poi è la volta di tutta la sua provincia, l’Hubei, che ospita più di 50 milioni di abitanti. A marzo, il racconto delle autorità comincia a cambiare: il patron dei servizi antiepidemiologici cinesi, Gao Fu, spiega che il mercato non è la fonte, bensì «la vittima» del virus. Il luogo in cui l’epidemia non avrebbe fatto che amplificarsi.

Ma Pechino da allora non ha fornito nessun’altra spiegazione plausibile sulla comparsa del virus, dando solo poche informazioni sui campioni prelevati a Wuhan.

Quanto agli esperti stranieri, vengono mantenuti a una certa distanza: un’équipe dell'Organizzazione mondiale della sanità, che sarebbe dovuta arrivare in Cina la settimana scorsa, è stata bloccata all’ultimo momento, mentre Pechino sostiene di «negoziare» ancora con l'OMS sullo svolgimento della missione.

Tuttavia, si è da poco saputo che la visita potrà cominciare questo giovedì, nella speranza di conoscere esattamente il programma riservato agli esperti dell'OMS sul campo.

Tracce cancellate

Scoprire l'origine del virus è tuttavia cruciale per prevenire la ricomparsa di un’epidemia. Ciò permetterebbe di orientare le misure di prevenzione verso tali o talaltre specie animali, proibire la loro caccia o il loro allevamento ed evitare le interazioni con l’uomo.

«Se riusciamo a comprendere perché (le epidemie) compaiono, potremmo combattere i loro vettori», sostiene Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance, un’associazione con sede negli Stati Uniti e specializzata nella prevenzione delle malattie.

Il ruolo puramente scientifico della Cina è inizialmente stato lodato all’estero, poiché il paese aveva rapidamente condiviso il genoma del virus, in contrasto con la sua gestione opaca dell’epidemia di Sars negli anni 2002-03.

La Cina «si è mostrata relativamente aperta», riconosce la biologa Diana Bell, dell'Università d'East Anglia nel Regno Unito.

Il problema è che nel caos che si è diffuso a Wuhan all’inizio del 2020, alcune tracce del virus possono essere state cancellate o spostate, complicando ancora di più il rompicapo. «Ciò non ha nulla di stupefacente. Ogni epidemia si svolge nella stessa maniera. Nel caos e nel panico», osserva Peter Daszak.

Zittite le voci critiche

A livello politico, tuttavia, il regime del presidente Xi Jinping non vuole esprimersi sulle prime settimane dell’epidemia, dopo essere stato criticato all’epoca per aver tentato di spegnere le allerte dei medici sin dal dicembre 2019.

Uno di essi, Li Wenliang, era stato accusato dalla polizia di aver «diffuso delle voci», prima di morire di Covid il 7 febbraio 2020 in un ospedale di Wuhan. Il suo decesso ha scatenato un'accesa collera contro il regime sui social network.

Ma avendo affrontato e sconfitto l’epidemia sin dalla scorsa primavera, Pechino si pone ormai come salvatore dell’umanità, offrendo i suoi vaccini ai paesi poveri a titolo di «bene pubblico mondiale».

Non è possibile in questo contesto tollerare le voci critiche. A fine dicembre, una «giornalista cittadina» che aveva coperto la quarantena a Wuhan è stata condannata a quattro anni di prigione.

«Virus cinese»

A peggiorare le cose, l'attitudine dell'amministrazione statunitense, che ha contribuito a dissuadere le autorità cinesi dal condividere le loro conoscenze sul virus, stima Peter Daszak, il quale spera in un disgelo dopo la partenza di Donald Trump dalla Casa Bianca.

Quest’ultimo ha avvelenato l’atmosfera di cooperazione parlando di «virus cinese» e suggerendo che quest’ultimo sarebbe potuto sfuggire dal laboratorio di virologia di Wuhan – una possibilità scartata dalla comunità scientifica.

Gli studiosi ritengono che il virus provenga dal pipistrello, ma ignorano sempre quale altro animale sarebbe potuto servire come intermediario per trasmetterlo all’uomo.

«Sono convinto che finiremo per trovare la specie di pipistrello che l’ha trasmesso, così come il probabile canale della contaminazione», spera Peter Daszak. «Non ne avremo mai la certezza, ma avremo sicuramente delle prove solide».

Ma la questione della specie è secondaria per Diana Bell. «La fonte importa poco: bisogna semplicemente metter fine a questo diabolico miscuglio di specie nei mercati. Bisogna interrompere il commercio di animali selvatici destinati all’alimentazione».

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