Dopo le elezioni In Francia la gauche si spacca, ma alza il tiro contro Macron

SDA

9.7.2024 - 20:41

Si aprono crepe nel campo dei vincitori delle legislative, che al tempo stesso alzano il tiro contro Macron e il suo prolungato, insolito, silenzio dopo aver prorogato il premier Gabriel Attal temporaneamente alla guida del governo. Intanto, un nuovo candidato si dice «pronto» ad assumere l'ambita carica di premier: Olivier Faure, segretario dei socialisti.

Il presidente francese Emmanuel Macron (immagine illustrativa d'archivio). 
Il presidente francese Emmanuel Macron (immagine illustrativa d'archivio). 
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Tensione in crescita insomma in tutto il panorama politico in Francia, con i macronisti che temono la partenza del loro leader per il vertice della NATO a Washington: «La sinistra – avvertono – potrebbe approfittare della sua assenza».

A 48 ore dall'annuncio dei risultati del ballottaggio, è ancora il caos a regnare a Parigi. L'elemento nuovo è il silenzio del presidente della Repubblica, un atteggiamento che non è abituale per Macron ma che molti ritengono una strategia precisa: innervosire gli avversari della gauche e farli «cuocere nel loro brodo».

«Non ci ha fatto neppure una telefonata», si lamentava lunedì sera Marine Tondelier, la leader dei Verdi. Oggi le prime crepe nel Fronte Popolare si sono aperte platealmente con un gruppo di dissidenti de La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon che hanno annunciato di voler più sedere sui banchi del loro partito ed hanno proposto ad ecologisti e comunisti di creare un nuovo gruppo parlamentare.

Fra i dissidenti ci sono dirigenti di primo piano di Lfi come Clémentine Autain, François Ruffin e Alexis Corbière. Le distanze che i dissidenti prendono dal partito e dall'ipotesi di Mélenchon premier è stato interpretato da alcuni come il primo spiraglio verso una possibile soluzione dell'impasse.

Inasprito l'atteggiamento del Fronte Popolare

Quasi in reazione a questo segnale di timido cedimento, l'atteggiamento dei duri del Fronte Popolare si è inasprito: Olivier Faure, segretario dei socialisti, fedele all'unità del Fronte e al programma elettorale firmato anche da Lfi, si è detto «pronto a ricoprire la funzione di premier».

È soltanto uno dei nomi che di ora in ora si aggiungono ai pretendenti, dopo che in mattinata i fedelissimi di Mélenchon, Manuel Bompard e Mathilde Panot, hanno ribadito che il tribuno di Lfi è quanto mai in corsa per l'incarico. Nella giornata, altri momenti caldi: un documento del Front Populaire ha messo in guardia «solennemente» Macron dal suo tentativo di «deviare le istituzioni» dopo la proroga temporanea di Attal nelle funzioni di premier.

E, addirittura, un ex deputato di Lfi, Adrian Quatennens – che ha fatto parlare di sé ultimamente soprattutto per essere stato accantonato anche da Mélenchon dopo una condanna per violenze domestiche – ha invocato «una marcia popolare su Matignon» per «far cedere» Macron.

Molti pretendenti al posto di premier

Oltre a Faure, la lista di pretendenti al posto di premier ha continuato ad allungarsi: si sono aggiunti, fra gli altri, l'ecologista Clemence Guetté e il socialista Boris Vallaud. Ma nulla, ricordano i costituzionalisti, obbliga il presidente a dare l'incarico di formare il governo a un premier della coalizione di maggioranza relativa.

E, al di là dei nomi, le distanze si misurano sul muro che continua più che mai a separare i macroniani e i repubblicani dai componenti dell'alleanza di sinistra. Un muro invalicabile e impermeabile, al momento, che nessuno ha provato né a scalare, né a demolire.

Nel Fronte popolare dei vincitori, Mélenchon continua ad essere lo spauracchio che fa dissolvere all'istante ogni speranza di conciliazione. Ma lo stesso Faure o la leader dei Verdi Tondelier continuano a patrocinare il programma del Fronte Popolare, che vede fra i principali provvedimenti iniziative che non raccoglierebbero mai la maggioranza dei voti, dall'abrogazione della riforma delle pensioni con il ritorno ai 60 anni all'aumento del salario minimo a 1'600 euro.

Ci sono socialisti, ecologisti, moderati, per i quali «si tratta di proposte da discutere, non urgenti da approvare». Altri, come Raphael Glucksmann, non hanno neppure partecipato alle riunioni del Fronte Popolare di questi giorni per evidente incompatibilità. Ma, al momento, la loro voce non risuona alta come quella dei proclami dei melenchoniani.