KazakhstanIn Kazakhstan arrivano i parà russi, si spara ad altezza uomo, i morti si contano a decine
SDA
6.1.2022 - 20:25
Il palazzo presidenziale e il municipio di Almaty che continuano a bruciare, altri edifici governativi in rovina, veicoli della polizia carbonizzati nelle strade, bossoli di proiettili a cospargere il terreno. E ancora, di tanto in tanto, il rumore di spari proveniente dalla Piazza della Repubblica, nel cuore della città.
06.01.2022, 20:25
06.01.2022, 20:51
SDA
L'ex capitale e centro economico del Kazakhstan, avvolta nella nebbia, appare come un girone dantesco. Immagini da guerra civile più che da proteste di piazza, con un bilancio che si aggrava di ora in ora. Decine i morti, almeno un migliaio i feriti e circa 2.000 arresti, secondo le ultime cifre fornite dalle autorità.
Intanto, guidate dai paracadutisti russi, arrivano le avanguardie delle forze dei Paesi del Trattato collettivo di sicurezza (Csto), chiamate in soccorso dal presidente Kassym-Jomar Tokayev, secondo il quale il Paese è vittima di un attacco di gruppi terroristi addestrati e guidati da potenze straniere.
Dello stesso avviso Mosca, secondo la quale «formazioni armate organizzate» sono all'opera per «minare la sicurezza e l'integrità» del Kazakhstan, finora considerata la più stabile e prospera Repubblica ex sovietica dell'Asia centrale, alleata della Russia ma che negli anni ha attirato enormi investimenti, anche americani ed europei, per sfruttare le sue risorse energetiche.
E non è un caso che il ministero degli Esteri abbia tenuto ad assicurare che «gli investimenti esteri e gli affari delle società straniere saranno protetti».
Avere un quadro preciso della situazione, e capire come sia evoluta dopo le prime proteste scoppiate domenica per l'aumento dei prezzi del Gpl, non è facile, anche per il blocco quasi continuo di Internet e delle linee dei telefoni cellulari.
Ma le scene di distruzione e diverse testimonianze indicano che almeno dalla giornata di mercoledì le manifestazioni pacifiche hanno lasciato posto a scontri sempre più violenti, tra oppositori anche armati e forze di sicurezza che non hanno esitato ad aprire il fuoco ad altezza d'uomo.
«Decine di morti»
Nella notte tra mercoledì e giovedì, ha detto la portavoce della polizia di Almaty, Saltanat Azirbek, molti manifestanti hanno cercato di dare l'assalto a sedi governative e commissariati di polizia per impadronirsi delle armi. «Decine» di loro sono stati uccisi, ha ammesso la stessa fonte. Mentre sul fronte opposto le autorità parlano di almeno 18 morti (di cui due decapitati) e 700 feriti tra le forze di sicurezza.
Intanto le forze governative hanno ripreso il controllo dell'aeroporto di Almaty, che mercoledì era stato abbandonato nelle mani di alcune decine di oppositori. Ma nel tardo pomeriggio gli scontri sono ripresi in città. Incidenti sono segnalati anche nelle città d Shymkent e Taraz, dove, secondo il ministero dell'Interno, ci sono stati tentativi di assaltare sedi governative.
E a calmare la situazione non è bastato finora l'annuncio delle autorità kazake della decisione di calmierare per i prossimi sei mesi i prezzi del gas, insieme con la conferma dello stato d'emergenza che rimarrà in vigore almeno fino al 19 gennaio.
Cosa dice la comunità internazionale?
Dalla comunità internazionale si rinnovano gli appelli perché la crisi venga risolta con il dialogo. Compreso quello del segretario di Stato statunitense Antony Blinken, che assicura il pieno sostegno americano per le istituzioni kazake, ma chiede che vengano rispettati la libertà dei media e i diritti umani.
L'Unione europea chiede tuttavia alla Russia e agli altri membri del Csto di «rispettare la sovranità e l'indipendenza» del Kazakhstan, con l'Alto rappresentante per le relazioni esterne Josep Borrell che sottolinea come «gli aiuti militari esterni riportino alla memoria situazioni che vanno evitate».
Mentre la Turchia manifesta piena solidarietà al governo kazako. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha telefonato al suo omologo Tokayev per esprimergli solidarietà da parte del Consiglio di cooperazione dei Paesi turcofoni, di cui fanno parte entrambi i Paesi.