Assalto al CongressoBiden sfida Trump: «L'America non è terra di re e dittatori»
SDA
6.1.2022 - 21:38
«Voglio essere chiaro: gli Stati Uniti non sono terra di re, dittatori o autocrati». A un anno dai tragici fatti dell'assalto a Capitolo Hill Joe Biden non usa giri di parole per inchiodare Donald Trump alle sue responsabilità, spiegando come l'ex presidente sia stato e sia ancora oggi una grave minaccia per la democrazia.
06.01.2022, 21:38
06.01.2022, 21:52
SDA
Sono parole durissime quelle dell'inquilino della Casa Bianca, taglienti come le lame di quel pugnale che – afferma – The Donald continua a tenere «alla gola dell'America».
Mai Biden si era spinto così tanto nell'attaccare il suo predecessore e nel denunciare il suo ruolo per quanto accaduto prima, durante e dopo il 6 gennaio 2020. Questo nonostante la commissione di inchiesta del Congresso non sia ancora giunta a delle conclusioni.
Ma per l'inquilino della Casa Bianca, a picco nei sondaggi, è arrivato il momento di dire la sua verità, anche in vista di un possibile ritorno in campo di Trump nella campagna elettorale per il voto di metà mandato e per le presidenziali del 2024.
L'occasione è il messaggio al Paese trasmesso in diretta tv dalla National Statuary Hall, accanto all'iconica rotonda di Capitol Hill cuore della democrazia americana.
Come Pearl Harbor e il 9/11
Luogo sacro che esattamente un anno fa fu profanato da centinaia di rivoltosi indemoniati che volevano impedire al Senato la certificazione della vittoria di Biden alle presidenziali.
Un attacco che costò la vita a cinque persone e che la vicepresidente Kamala Harris accosta alle due date più buie della storia americana: il raid su Pearl Harbor del 1941 e gli attentati dell'11 settembre 2001.
Per Biden non ci sono dubbi: quella del gennaio scorso «fu un'insurrezione armata», una cosa «mai successa nemmeno durante la guerra civile», con un ex presidente che non mosse un dito per fermarla e per la prima volta nella storia americana cercò «di rovesciare elezioni libere, sovvertire la costituzione e la volontà del popolo, fermare il trasferimento pacifico dei poteri. Tutto il mondo ha visto!».
Un piano – ha incalzato Biden – portato avanti «attraverso un gruppo di balordi e malviventi», quelli che Trump continua a chiamare «patrioti» o a considerare semplici «turisti»: «Sono dei patrioti quelli che seminarono distruzione tra queste mura, defecarono in questi corridoi e inscenarono una vera e propria caccia a deputati e senatori? O i patrioti sono i milioni di americani che hanno votato e i poliziotti che hanno difeso il Congresso?».
Obama: «La democrazia è a rischio»
Ma Biden guarda avanti, convinto più che mai che quello attuale sia «un momento decisivo della storia», quello della resa dei conti tra democrazia e autocrazia, in America e nel mondo.
E la Casa Bianca vuole essere paladina estrema nel difendere la prima, sia contrapponendosi al modello proposto da Russia e Cina sia contrastando la minaccia interna di un uomo che «pone il suo ego al di sopra degli interessi e della Costituzione del Paese» e che persegue i suoi scopi attraverso «una rete di menzogne».
Del resto anche per l'ex presidente Barack Obama, ancora seguitissimo e popolarissimo, «oggi la democrazia in America è più a rischio di un anno fa».
E Trump?
La replica di Trump, che all'ultimo ha rinunciato alla conferenza stampa che era stata annunciata dalla sua residenza in Florida di Mar-a-Lago, è per ora affidata a poche righe: «Biden usa il mio nome per dividere ancora di più il Paese. Le sue parole sono solo teatro politico per coprire e distrarre dal suo completo e totale fallimento».
Così a un anno dalla pagina più buia della storia americana recente il Paese, complice anche una dilagante pandemia, resta più che mai spaccato su linee politiche e ideologiche ben marcate, con i repubblicani che di fatto hanno snobbato la commemorazione del 6 gennaio: «I democratici ne fanno solo un uso politico», hanno attaccato il leader dei senatori Mitch McConnell e il senatore Lindsay Graham, uno dei più stretti alleati di Trump.
Ma se tra i democratici aumentano i timori in vista delle prossime sfide, anche tra i repubblicani serpeggia il malumore per un partito che di fatto sembra rimanere ostaggio dell'ex presidente.