Un accordo migliore per il dopo Brexit o niente pagamento del conto di divorzio.
Boris Johnson sfida l'Ue e mette sul tavolo l'arma dei soldi, squadernando con i consueti toni baldanzosi la prima bozza del suo programma da aspirante inquilino di Downing Street alla vigilia del via ufficiale della corsa a 11 che al momento lo vede favorito per la successione a Theresa May come leader Tory e prossimo primo ministro del Regno Unito.
Forte dal sostegno crescente fra i notabili di partito, l'ex sindaco di Londra ed ex capo del Foreign Office si ripropone dalle colonne del Sunday Times come la garanzia più certa del rispetto del risultato del referendum del 2016 e dell'uscita del suo Paese dal club europeo alla scadenza della proroga del 31 ottobre senza ulteriori rinvii, «deal o no deal».
L'obiettivo, assicura, è quello di trovare un'intesa migliore con Bruxelles, facendo cenno in effetti non tanto all'accordo di recesso (che i 27 hanno detto e ripetuto di considerare immodificabile) quanto alla dichiarazione allegata sulle relazioni future. Ed è proprio riferendosi alle relazioni future che non esita a rimettere in dubbio almeno a parole il versamento dei 39 miliardi di sterline sottoscritti dal governo May come liquidazione delle pendenze dovute per poter lasciare il club europeo.
«I nostri amici e partner devono comprendere che questo denaro resterà custodito qui fino a quando non avremo maggiore chiarezza sulla strada dell'avvenire», è il suo messaggio. Accompagnato peraltro subito dall'ammiccamento verso «un buon accordo, nel quale i quattrini sono un solvente eccellente e un ottimo lubrificante».
A incoraggiarlo arriva l'endorsement non solo di brexiteer di spicco quali il ministro Chris Grayling o i falchi Steve Baker e Priti Patel, ma anche di centristi come James Brokenshire, già fedelissimo della May.
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