Tensione alle stelleFrancia: Barnier respinge l'ultimatum, Le Pen pronta alla sfiducia
SDA
29.11.2024 - 20:17
A tre giorni dalla scadenza dell'ultimatum di Marine Le Pen al premier Michel Barnier, «il ricatto» come lo definisce oggi Le Monde nel suo editoriale, la tensione politica in Francia è alle stelle.
29.11.2024, 20:17
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Oggi il capo di quello che potrebbe diventare il governo dalla vita più breve nella Quinta repubblica (è stato nominato appena 84 giorni fa) ha provato ad abbassare i toni e a cercare compromessi, come faceva abilmente ai tempi in cui era il Monsieur Brexit di Bruxelles.
Ma la pattuglia dell'esecutivo, stretta sul centrodestra con una maggioranza di pochi seggi, è stritolata nella morsa dell'estrema destra e della sinistra: Le Pen che detta «linee rosse» da non superare e la sinistra che grida alla «vergogna» se quelle linee non vengono oltrepassate per non urtare l'estrema destra.
Le due opposizioni, apparentemente inconciliabili, troverebbero un terreno comune soltanto nel sommare i loro voti per mandare a casa Barnier e il suo governo.
Macron verso le dimissioni?
A dimostrazione di una situazione fluida a 360 gradi, dove tutto diventa possibile e i mercati tremano, i mélenchoniani si sono anche pubblicamente informati, presso il ministro dell'Interno, Bruno Retailleau, sulle procedure da seguire nel caso di dimissioni del presidente della Repubblica. Un'eventualità inedita ma che ormai nessun può escludere.
A gettare ancora più benzina sul fuoco, l'assalto fallito della sinistra all'odiata riforma delle pensioni con la quale Macron, nel 2023, ha portato l'età minima da 62 a 64 anni. A mezzanotte scadeva il tempo necessario per votare, ma il muro di emendamenti presentati all'Assemblée dai deputati che sostengono il governo e sono ormai denominati comunemente «socle commun», base comune, ha retto all'assalto.
Di notte, i deputati hanno alzato la voce e le mani, quasi una rissa in aula fra i deputati de La France Insoumise (LFI) e la maggioranza, accusata di ostruzionismo.
«Non sono nello stato d'animo da ultimatum»
«Non sono nello stato d'animo da ultimatum nei confronti delle forze politiche in Parlamento – ha detto ostentando calma il premier – sono in uno stato d'animo di rispetto e dialogo. L'ultimatum che sento oggi è innanzitutto quello dei lavoratori che mi dicono di tenere duro. Abbiamo bisogno di stabilità e visibilità per poter investire».
Dopo aver fatto un passo indietro sulle pensioni e sugli oneri a carico degli imprenditori, il governo ha fatto dietrofront ieri anche sull'aumento delle bollette dell'elettricità per andare incontro alle richieste di Le Pen.
Ma la leader del Rassemblement National (RN) non sembra orientata a rinunciare a sfiduciare il governo lunedì, rimproverandogli fra l'altro di aver annunciato concessione «non finanziati da tagli strutturali» e – così facendo – «precipitare la crisi finanziaria».
«Indebolire le imprese, rifiutare qualsiasi economia strutturale sul funzionamento dello Stato, punire tutti i francesi è la strada maestra verso il collasso», ha ammonito Le Pen.
Sfumati tre miliardi di euro nella manovra di bilancio
Barnier, con la rinuncia ad aumentare le tariffe dell'elettricità, ha di fatto rinunciato a 3 miliardi di euro in più nella manovra di bilancio. E tenta di ammorbidire l'ultimatum della Le Pen tagliando la copertura medica agli immigrati irregolari e annunciando per la primavera un progetto di legge destinato a introdurre la proporzionale nelle elezioni legislative.
Tutti «regali» a Le Pen – accusa la sinistra – ma dai quali il premier non trae alcun vantaggio per ora. Anche perché la leader del RN è irritata dal non essere mai nominata come colei che è all'origine delle richieste che hanno portato alle concessioni.
«Non è un negoziato ma una forma di ricatto» quella di Le Pen – scrive Le Monde nell'editoriale – sottolineando che l'estrema destra «sfrutta il vicolo cieco in cui si trova Michel Barnier: quasi 10 miliardi di euro sono già stati concessi durante la discussione sulla manovra di bilancio, mentre la Francia ha necessità di riportare il suo deficit pubblico dal 6 al 5% del Pil nel 2025».