La Svizzera allenta le misure contro il Covid nonostante l'aumento del numero delle infezioni. Il bel tempo e le temperature più calde potrebbero dare una mano alla decisione del Consiglio federale, ma non è per nulla scontato. Ecco perché.
16.04.2021, 15:51
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La prospettiva di sedersi insieme al sole sulla terrazza di un ristorante è probabile che sollevi il morale di molti. E il pollice di alcuni esperti punta in alto anche per questo. Un gruppo di ricercatori concentratosi sugli aerosol ha recentemente riaffermato che le infezioni di gruppo all'aperto sono rare. Inoltre, gli scienziati ritengono che il clima più caldo potrebbe fornire sollievo dalla pandemia.
Viola Priesemann, per esempio, fisica e consigliera della cancelliera tedesca Angela Merkel, ha affermato recentemente di ritenere possibile un effetto positivo sulla pandemia grazie all'aumento delle temperature. Dalle pagine del giornale «Osnabrücker Zeitung», la 38enne ha sottolineato: «Il sole e il calore aiuteranno, ma è difficile prevedere quando».
Nel migliore dei casi, secondo la ricercatrice dell'Istituto Max Planck per la dinamica e per l'auto organizzazione di Göttingen, il clima stagionale potrebbe addirittura avere un effetto frenante del 20% sulla pandemia. In certe circostanze, questo potrebbe anche compensare l'improvviso aumento di contagi causato dalle mutazioni del Covid-19.
I tedeschi, che si dibattono ancora fra misure severe, avranno probabilmente accolto con piacere della dichiarazione di Viola Priesemann secondo cui «il sole e il tempo potrebbero aiutare a risparmiarci il lockdown totale». La maggior parte delle persone in Germania, così come in Svizzera, ricorda bene come i numeri dei contagi siano scesi significativamente tra maggio e ottobre dello scorso anno, per poi riesplodere letteralmente da metà ottobre in poi.
Rimangono grandi incertezze
Molti esperti sono convinti che il clima possa avere un impatto sulla pandemia. Tuttavia, c'è anche grande incertezza su quanto potrebbero essere forti gli effetti. In un recente studio riportato da «Der Spiegel», i ricercatori guidati da Kieran Sharkey dell'Università di Liverpool hanno studiato l'effetto di maggiori radiazioni UV sul cosiddetto valore R. Il valore R indica quante persone contamina in media una persona infetta. Se è inferiore a 1, l'incidenza dell'infezione diminuisce.
Per il loro studio, gli scienziati hanno valutato il valore R di 359 grandi città con più di 500'000 abitanti in 43 Paesi dove, l'anno scorso, ci sono stati focolai significativi di Covid. Hanno scoperto che per ogni 10 kilojoule di radiazione UV supplementare per metro quadrato, il valore R è diminuito in media di 0,05. Nelle città oggetto dello studio, la radiazione UV variava da 30 a 130 kilojoule per metro quadrato al giorno - di conseguenza, la luce solare potrebbe ridurre il valore R tra 0,15 e 0,65.
Durante una pandemia, questo può fare una grande differenza, come calcola «Der Spiegel». Così, il valore R per il coronavirus Sars-CoV-2 in una società senza contromisure e un'ampia immunità delle persone è circa di 3. Ciò significa che 100 persone infette contaminerebbero in media altre 300 persone. Se il valore scende di 0,5 a causa di una maggiore radiazione UV, per esempio, la cifra sarebbe solo di 250.
Non solo il fattore sole entra in gioco
I risultati indicano che il coronavirus è soggetto a effetti stagionali, scrive lo stesso Sharkey in un articolo sullo studio. Tuttavia, questo non significa che la radiazione UV sia l'unica causa di una diminuzione dell'incidenza dell'infezione, ha affermato il ricercatore. Potrebbe anche essere correlata ad altri fattori causali, come la temperatura e l'umidità.
Infatti, gli scienziati hanno già scoperto che l'involucro virale del Sars-CoV-2 è particolarmente stabile a circa 10 gradi e diventa più fragile con l'aumentare della temperatura. Il pericolo di infezione è anche più basso nelle aree interne con maggiore umidità, poiché le particelle del virus permangono nell'aria per meno tempo e cadono a terra più rapidamente. Soprattutto, però, è valida l'argomentazione espressa dai ricercatori che hanno condotto studio sull'aerosol: con il bel tempo la gente passa meno tempo in casa, dove il pericolo di contrarre il Covid è significativamente maggiore.
Ma come sottolinea lo stesso Sharkey, l'effetto calcolato della luce del sole, o del clima in generale, è piuttosto piccolo rispetto ad altri fattori: «Le caratteristiche demografiche delle città, come le loro dimensioni e l'entità dell'inquinamento atmosferico, così come le misure di salute pubblica, rappresentano una parte maggiore delle variazioni osservate del valore R», afferma nel suo contributo per la rivista online «The Conversation».
Le misure del Governo hanno un effetto quattro volte maggiore della meteo
Inoltre, sottolinea Sharkey, le misure governative in Germania hanno avuto quattro volte l'effetto dei raggi UV sulla diffusione del virus. Nel prossimo futuro, ulteriori ondate pandemiche sarebbero quindi determinate dalle vaccinazioni e «prevalentemente da regole pubblicamente valide e non dal clima», stima il matematico.
Tuttavia, le radiazioni UV potrebbero «far pendere l'ago della bilancia», sottolinea la rivista «Spiegel». Questo è il caso quando il valore R è appena superiore a 1. Se invece il virus si diffonde molto più fortemente, allora «gli effetti del bel tempo rallenterebbero solo un po' l'infezione», ma non la fermerebbero.
Il virologo di Berlino Christian Drosten, diventato noto in patria attraverso il suo podcast Coronavirus Update, si è espresso diversamente in un'intervista con la rivista alla fine di gennaio: «Il fatto che abbiamo avuto un'estate così rilassata nel 2020 ha probabilmente qualcosa a che fare con il fatto che il nostro numero di casi è rimasto sotto una soglia critica in primavera. Tuttavia, ora non è più così». Per esempio, ha continuato, in Spagna le nuove infezioni sono aumentate di nuovo in estate dopo un lockdown - e questo nonostante il bel tempo e il caldo.