Giustizia Ecco le ragioni della Corte di Londra che dà una possibilità ad Assange

SDA

20.5.2024 - 17:47

L'Alta Corte di Londra ha concesso un ulteriore appello a Julian Assange contro l'estradizione negli Usa, riconoscendo come non infondate le argomentazioni della difesa del cofondatore di WikiLeaks sul timore di un processo non giusto oltre oceano.

L'avvocato Stella Assange (al centro), moglie di Julian Assange, parla ai media dopo l'udienza finale dell'appello per l'estradizione del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, a Londra, Gran Bretagna, 20 maggio 2024. Il 20 maggio Julian Assange ha ottenuto il diritto a un nuovo appello contro la sua estradizione negli Stati Uniti presso l'Alta Corte di Londra.
L'avvocato Stella Assange (al centro), moglie di Julian Assange, parla ai media dopo l'udienza finale dell'appello per l'estradizione del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, a Londra, Gran Bretagna, 20 maggio 2024. Il 20 maggio Julian Assange ha ottenuto il diritto a un nuovo appello contro la sua estradizione negli Stati Uniti presso l'Alta Corte di Londra.
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20.5.2024 - 17:47

Il verdetto dei giudici d'appello Victoria Sharp e Jeremy Johnson non entra nel merito del ricorso, che sarà a questo punto dibattuto più avanti.

Ma riapre la partita dell'estradizione, dopo che già a marzo era stato introdotto un primo spiraglio con il rovesciamento del no secco opposto in primo grado dalla giustizia britannica all'istanza di ricorso della difesa.

Dopo la lettura del breve dispositivo, gli avvocati di Assange si sono abbracciati in aula tra loro, mentre reazioni sorridenti riecheggiavano anche da parte della moglie dell'ex primula rossa australiana, Stella Morris, da suo padre e fra i sostenitori radunati fuori dal palazzo di giustizia.

Il cofondatore di WikiLeaks avrà ora «alcuni mesi» per preparare un nuovo «processo d'appello» con tutti i crismi, come precisa la Bbc. Ma, almeno per il momento, resta in custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza londinese di Belmarsh.

Due i punti cardine

I giudici Sharp e Johnson non hanno ritenuto evidentemente adeguate le presunte «rassicurazioni» messe sul piatto dagli avvocati del Dipartimento di Giustizia di Washington sui due punti sollevati dai difensori rispetto alla garanzia di un giusto processo negli USA.

Il primo riguarda il rischio di una condanna a morte, prevista se non altro sulla carta per il reato contestato ad Assange di violazione dell'Espionage Act del 1917, mai contestato in oltre un secolo a un giornalista.

Il secondo è il timore di non poter invocare il Primo Emendamento della Costituzione americana in materia di libertà d'espressione e d'informazione.

Cosa aveva detto finora i legali di Washington

Sul primo punto i legali di Washington hanno garantito, almeno verbalmente, che la pena capitale non sarebbe stata chiesta dalla pubblica accusa statunitense.

Sul secondo punto si sono però in effetti limitati a riconoscere ad Assange un vago diritto di fare istanza per ottenere la protezione del Primo Emendamento, pur in veste di cittadino australiano, rinviandone tuttavia la concessione concreta o meno alla futura pronuncia di «una Corte» d'oltre oceano.

SDA